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Ostaggi, la guerra del logoramento

Publie le giovedì 23 settembre 2004 par Open-Publishing

Dazibao


di Salvatore Cannavò

Non possiamo che con-dividere le parole espresse ieri da "Un ponte per... " in
un appello significativamente titolato: «La nostra speranza». «Tutte le notizie
e letture possono avere elementi di verità, scrive il Ponte, ogni tentativo di
chiarire è il benvenuto. Ma la somma rimane zero. Continuiamo a non credere a
nulla. Solo il sorriso di tutti e quattro davanti ai nostri occhi ci potrà rasserenare».

E’ molto difficile, infatti, essere sereni in questo momento, riuscire a mantenere
una lettura adeguata dei fatti, quando dei fatti non si hanno notizie certe ma
solo illazioni, ricostruzioni arbitrarie, a volte strumentalizzazioni. Nei fatti
però si possono rintracciare alcuni elementi di valutazioni, per quanto generali.

La vicenda dei due americani e del britannico rapiti da Tawid wal Jihad si distingue "solo" per l’agghiacciante sorte dei sequestrati ma si inserisce in un quadro complessivo di acutizzazione della "guerra degli ostaggi". Al Jazira ha diffuso il video con dieci ostaggi che lavorano per una azienda turco-americana. A rapirli, il gruppo Abu Bakr Al Seddiq che minaccia di ucciderli. A nord di Bagdad sono stati sequestrati anche due caminonisti. Domenica scorsa ben 18 soldati della guardia irachena sono stati sequestrati e liberati in poche ore dopo un appello in tal senso di Moqtada al Sadr. Un balletto di tragedie e terrore che non può che far pensare a una strategia multipla, a una sorta di "competizione" interna in cui alla mossa di un gruppo ne corrisponde immediatamente un’altra, uguale e se possibile più forte, di un gruppo concorrente.

La stessa richiesta della liberazione delle detenute irachene, proveniente da Tawid wal Jihad, si associa a quella avanzata dal sedicente Answar al Zawahiri a proposito di Torretta e Pari. Il che può far pensare certamente a un collegamento tra i due sequestri, ma può essere anche interpretata come una rivendicazione di maggiore attendibilità da parte di al Zarqawi corroborata dall’uso terrificante della decapitazione consegnata in video. Una sorta di supremazia, rivendicata sul campo, per affermare il proprio ruolo. Così come al Sadr dimostra la propria capacità di influenza ottenendo in poche ore la liberazione dei soldati iracheni.

Sugli ostaggi, quindi, si gioca una partita interna, molto complicata e dai contorni indefinibili. Del resto è la natura delle forze in campo a rendere complesso questo gioco. La guerriglia anti-americana si compone, a detta di tutti gli esperti, di almeno quattro settori: le tribù del triangolo sunnita, che hanno giocato un ruolo rilevante a Falluja; gli ex ufficiali di Saddam Hussein, che detengono ancora molte armi, per lo più leggere, ma anche granate varie; la guerriglia sciita, rappresentata da al Sadr; il terrorismo islamista, quasi tutto proveniente dall’estero e insediatosi in Iraq dopo la guerra di Bush. Questi gruppi non hanno alcuna strategia unitaria e nessuna leadership in comune. Non hanno finora dato vita a nessun collegamento, anzi sembra siano piuttosto in competizione. Ad accomunarle, oggettivamente, c’è l’avversione per l’occupazione angloamericana e il governo Allawi.

Che, dunque, sia in atto uno scontro interno alla guerriglia è una delle interpretazioni possibili. E siccome la strategia militare più redditizia è quella del logoramento e dell’attesa, la "rendita" di posizione garantita dal rapimento di ostaggi stranieri - va ricordato che per la maggiorparte si tratta di lavoratori delle ditte occidentali, molti di loro sono turchi, nepalesi, egiziani, giordani e così via - è molto alta e permette di incassare un logoramento dell’avversario senza esporsi troppo.

Tutto ciò, ovviamente, non indica quale sia la strada più diretta per ottenere la liberazione di Torretta, Pari e dei loro compagni iracheni. Nemmeno può far escludere ragioni più sofisticate, come un ruolo "deviante" di servizi segreti occidentali e non. Ma anche questo non aiuta a risolvere il problema. La sola "buona azione" che noi possiamo fare e continuare a rivendicare l’unica mossa che può sbloccare davvero la situazione, e cioè il ritiro delle truppe e la fine dell’occupazione. E’ l’unica iniziativa di cui siamo capaci e che possiamo mettere in atto. L’unico modo di continuare a sperare.

http://www.liberazione.it/giornale/040923/LB12D6C8.asp