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Ostaggi, obiettivi, movimento. Un dibattito sul "che fare?"

Publie le martedì 14 settembre 2004 par Open-Publishing

di Antonio Caronia

Il rapimento delle due Simone e dei due iracheni ha improvvisamente messo in luce limiti e difetti del movimento. Esso chiama in causa ognuno di noi, la sua emotività come la sua razionalità, la sua sensibilità come la sua inventività. Le manifestazioni della scorsa settimana hanno già creato discussioni nelle associazioni, nelle componenti, in gruppi di amici. Anche in socialpress si è aperta una discussione, che vogliamo in qualche modo rendere pubblica, per dare un piccolo contributo a una situazione che, ci auguriamo, non si dimostri troppo più grande di noi.

Tutti i nostri lettori sono dunque invitati a dire la loro nei commenti a questa prima, schematica introduzione al dibattito.

1) Credo che sia sbagliato demoralizzarsi o trarre conseguenze affrettate dall’esito poco esaltante (in termini numerici e politici) delle manifestazioni italiane di questi giorni. Reputo anche ingeneroso accollare alla cosiddetta "direzione" del movimento questo esito (percepito da alcuni come un fallimento). "Movimento" è una parola terribilmente ambigua che anche noi usiamo, ma dobbiamo essere coscienti di questa ambiguità. Quando si stava preparando la guerra all’Iraq, e mentre essa era in corso, le opzioni e le scelte erano chiare, e quindi era facile per un gran numero di persone, anche senza riflessioni particolarmente approfondite, mobilitarsi e scendere in piazza.

Dopo oltre un anno e mezzo di occupazione militare, una situazione molto più ingarbugliata a livello politico internazionale, e l’emergere di forze disparate che, con o senza strategia, creano fatti nuovi che non si inscrivono nella rappresentazione semplificata della situazione che avevamo fatto (per forza di cose), la mobilitazione degli strati più vasti è pressocché impossibile. In questa fase. Il movimento è oggi ridotto alla somma delle sue componenti (più o meno) organizzate.

Il rapimento di Baghdad è opera - o di servizi segreti e gruppi che stanno dalla parte degli Usa o del governo iracheno - oppure di gruppi della resistenza dalla piattaforma politica ipersemplificata, la cui analisi si limita alla contrapposizione islamismo-occidente. In entrambi i casi l’effetto è quello di mettere in difficoltà il movimento di opposizione alla guerra nei paesi capitalisti. Difficoltà oggettiva, che non può essere bypassata inventandosi nuove forme organizzative o scorciatoie di contenuti.

2) In situazioni come questa, le componenti organizzate devono sapere che la loro penetrazione sociale è più difficile che in passato. Ma proprio per questo non devono fare sconti sugli obiettivi di fondo su cui si sono costituite. Se emergessero possibilità di costruire mobilitazioni realmente più ampie di quelle attuali sulla sola parola d’ordine "liberiamo gli ostaggi" (lasciando da parte il ritiro delle truppe) sarebbe ovviamente giusto farle, ma il "movimento" (cioè, oggi, la somma delle sue componenti) non dovrebbe lasciar cadere, nella sua autonoma comunicazione verso l’esterno, l’integralità della propria piattaforma. L’assemble delle reti, movimenti, etc. di sabato e domenica scorsa a Roma questo non l’ha fatto, e io lo giudico un fatto positivo. Se queste istanze facessero un passo indietro sulla questione del ritiro delle truppe, no alla guerra etc., sarebbe poi tragicamente difficile rifare un passo avanti una volta risolta (in un modo o nell’altro, e tutti speriamo non nell’altro) la questione degli ostaggi.

Le parole d’ordine non sono delle etichette che si possono staccare e riattaccare a nostro piacere: sono il risultato di dinamiche sociali - anche minoritarie, ma dinamiche sociali. E, una volta dismesse, per ricostruirle occorrerebbe fare lo stesso lavoro che si era fatto in passato per ricostruirle. Noi dobbiamo sostenere le soluzioni che ci sembrano giuste, non quelle che ci sembrano opportune.
La radice dell’opportunismo di Bertinotti mi sembra chiara. Quello che gli interessa è l’accesso e la permanenza al tavolo del centro-sinistra. Tutto il resto (nuovi linguaggi del movimento, etc.) detto da lui fa ridere. Sono problemi reali che lui usa solo per coprire questa manovra. Tanto, lui ha un partito e può sempre dire "contrordine, compagni." Noi un partito non ce l’abbiamo (e va bene così) e quindi abbiamo un altro rapporto fra coerenza politica e svolte tattiche. Almeno mi sembra.

La parola "terrorismo" continua a essere ambigua. L’agenda linguistica la dettano i governi più forti e i media. Siamo costretti a usarla anche noi, e dobbiamo dire chiaramente che i gruppi che fanno i rapimenti non stanno dalla nostra parte, ma sappiamo benissimo che, ogni volta che la usiamo, il cittadino medio la legge nel senso di Bush e dei tg, non nel nostro. E’ un’altra difficoltà, sulla quale dobbiamo trovare strumenti di comunicazione adeguati (che adesso non so quali siano).

3) Detto questo, e se il "movimento" non fa passi indietro sulle proprie posizioni, la ricerca di alleanze con settori religiosi, politici, culturali, associativi, disposti a fare pressione sul governo per una soluzione positiva del problema degli ostaggi è sacrosanta e va perseguita. Tenendo sempre presente che:

a) la nostra possibilità di incidere in questo senso è legata solo alla possibilità di influenzare i governi occidentali o le istanze religioso-politiche dell’Iraq e dell’Islam, non certo i rapitori. Quali che siano questi ultimi, né servizi segreti né gruppi resistenti culturalmente sottosviluppati tengono conto della "forza dei movimenti."

b) L’unico strumento reale che abbiamo in mano, a breve come a medio termine, è la nostra capacità di fare analisi realistiche e mantenere fermo il discorso sulle responsabilità oggettive ultime di questa situazione (che sono della politica Usa e delle opzioni liberiste - dittatura dell’economia, etc.) Se cediamo su questo piano, verremo facilissimamente spazzati via dai partiti e/o dalle organizzazioni caritatevoli istituzionali e/o dai gruppi di intellettuali legati all’industria culturale. "Un ponte per...", ammirevolmente, non ha fatto un passo indietro sulle proprie posizioni anche se ha un pezzo di sé che già oggi sanguina a Baghdad - e chissà quante tentazioni può avere avuto in questo senso.

http://www.socialpress.it/article.php3?id_article=516