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PARMALAT E DINTORNI:QUALCHE INTERROGATIVO PERTINENTE
Publie le sabato 21 febbraio 2004 par Open-PublishingLo scandalo della Parmalat - seguito a scandali di multinazionali incomparabilmente più forti e
non in paesi di seconda fila come l’Italia, ma nella massima potenza economica – non poteva non
riproporre interrogativi più generali sullo stato dell’economia capitalista e sulle trasformazioni
intervenute.
Ricapitolando telegraficamente, nella seconda metà degli anni novanta il carattere ciclo
dell’economia capitalista era stato presentato sempre di più come un fenomeno appartenente al passato.
L’ottimismo era alimentato dal combinarsi dell’ascesa della New Economy e dalla egemonia acquisita
dal capitale finanziario, che rilanciava, tra l’altro, un’economia di rentiers, con relativa nuova
gerarchizzazione nella sfera dei consumi. Sappiamo con quanta rapidità simili tesi siano state
demistificate, non con polemiche ideologiche, ma dal corso pratico degli avvenimenti.
Qualcuno cerca
ancora di aggrapparsi all’11 settembre come causa della svolta nella situazione, ma si tratta di
un argomento apologetico, inficiato da un palese anacronismo.
Per ritornare alla Parmalat, anche in questo caso si è colta l’occasione per riaffermare il
ruolo ormai egemonico del capitale finanziario, le cui vicende e i cui meccanismi sarebbero
all’origine dello scandalo. A nostro avviso, il minimo che si possa dire è che la effettiva sequenza degli
avvenimenti non è ancora stata chiarita, almeno da quanto noi abbiamo potuto leggere o ascoltare in
prolissi dibattiti televisivi.
Un dato di fatto è, comunque, che la magistratura è intervenuta in forze prendendo tutta una
serie di misure. Ne emergerebbe la tesi, consapevolmente o meno, apologetica, secondo cui la vicenda
rientra nel capitolo dell’economia criminale e non nei meccanismi intrinseci dell’economia stessa.
Che esista un’economia criminale è un fatto assolutamente incontestabile e le impressionanti e
crescenti dimensioni del fenomeno hanno prodotto un’ampia letteratura. Quindi l’interpretazione
secondo cui la causa prima risiederebbe in una violazione criminale di “leggi” del mercato, di
codici e regole di ogni sorta, non andrebbe respinta aprioristicamente. Ma nel caso specifico, come in
altri analoghi, si pone più concretamente l’interrogativo: perché Tanzi e i suoi collaboratori si
sarebbero messi su un piano inclinato di cui non potevano ignorare i rischi alla lunga
inevitabili?
Avrebbero scelto questa via per avidità di guadagni ritenuti facili e perché sedotti dal fascino
della finanza?
Ma esiste un’altra interpretazione possibile. Tanzi sarebbe stato spinto dalla ineludibile logica
di continua espansione di una multinazionale e, per sottrarsi alla morsa della concorrenza,
sarebbe stato indotto a ricercare forme di accumulazione sul piano eminentemente finanziario.
In questo
caso però l’origine della crisi non sarebbe di per se stessa finanziaria, ma si collocherebbe, più
o meno direttamente, sul terreno dell’economia produttiva. Per il momento, almeno noi non abbiamo
dati sufficienti per trarre una conclusione. Quello che sarebbe necessario sapere con precisione è
quale sia stato e quale sia lo stato reale della Parmalat come entità produttiva presente sui
mercati. In questi ultimi giorni sono apparse notizie secondo cui soprattutto in alcuni paesi filiali
o collegate avrebbero conosciuto serie difficoltà. E’ questo che bisogna verificare in modo
inequivocabile.
Ecco, dunque qualche motivo di riflessione per coloro che intendono percepire i meccanismi reali
del capitalismo contemporaneo e non accontentarsi di interpretazioni, peraltro non nuove presenti
alla fine del secolo scorso e già smentite, ripetiamolo, dal corso reale degli avvenimenti.