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Parmalat sulla stampa estera

Publie le giovedì 12 febbraio 2004 par Open-Publishing

Il caso Parmalat e il crepuscolo dell’Italia
I commenti di quattro giornalisti stranieri
www.internazionale.it

Piove, governo ladro

di Heinz-Joachim Fischer, Frankfurter Allgemeine
Zeitung

L’abitudine italiana di dare la colpa allo stato è
pericolosa ma genera creatività, scrive il
corrispondente del quotidiano tedesco Frankfurter
Allgemeine.

Beppe Grillo ha ragione. Apparentemente. In Italia
“piove”: cioè a sud delle Alpi ci sono dei guasti.
Guasti che ogni italiano può facilmente elencare a
partire dalla sua vita quotidiana, perché gli si
presentano di continuo, dalla mattina alla sera. Gli
vengono descritti nei minimi particolari da familiari,
amici ed estranei sulla base della loro esperienza.

I mezzi d’informazione glieli ricordano fedelmente, a
volte in toni quasi sadomasochistici. Non occorre
neanche nominarli uno per uno, tanto sono
universalmente noti. A tutto ciò Beppe Grillo ha dato
il nome di Parmalat Country, l’ultimo megascandalo, e
scrive di declino, degrado, crepuscolo. In breve, di
fine del mondo. In tedesco si sente usare
un’espressione ancor più sintetica: Parmaland. In
Italia “piove”. Ma prima – quando c’era la Democrazia
cristiana – da Milano a Palermo la frase si completava
così: “Piove, governo ladro”.

Chiarissimo. Non c’era da star tanto a ricercare le
cause, la responsabilità di tutto era del governo. Non
nego che a volte quella spiegazione mi tornava comoda.
In quel modo non dovevo condurre lunghe ricerche sulla
criminalità organizzata in Sicilia e nel meridione
d’Italia. È tutto chiaro: lo stato ha fatto fiasco.
Altrimenti non ci sarebbero né mafiosi né disoccupati
né analfabeti eccetera. E in quel modo potevo
risparmiarmi di approfondire le cause
dell’inadeguatezza delle infrastrutture o della
debolezza delle industrie del nord. Perché pioveva.
Era sempre tutto bagnato, dovunque. Restava solo un
problema: i governi cambiavano.

Per la prima volta è diventato primo ministro un non
democristiano (Spadolini), poi un socialista. Il primo
governo Berlusconi è stato un breve interludio. Dopo
sono venuti capi di governo non inquadrabili nello
schema destra-sinistra, poi cinque anni di
centrosinistra e dal giugno 2001 il centrodestra di
Berlusconi. E ancora una volta Beppe Grillo ha
ragione, apparentemente, quando osserva che la quota
di mercato della Fiat, la sacra industria nazionale, è
calata: da due terzi a metà e poi a un terzo. Questo è
davvero un indicatore significativo della
competitività di certi prodotti dell’industria
italiana.

Pubblico e privato. Ma il crollo della quota di
mercato della Fiat cosa c’entra con Parmalat e
Berlusconi? O con il rinascimento e il suo genio
creativo? Quello che Beppe Grillo lamenta lo vedono
tutti. Solo che queste manifestazioni di decadenza si
registrano in quasi tutte le società occidentali. La
volgarità della televisione negli Stati Uniti o in
Germania è insuperabile. Eppure l’America conta il
maggior numero di Nobel; la Germania almeno sa ancora
produrre automobili come si deve. E l’Italia?

Da tempo, e per volontà dei suoi cittadini, ha uno
stato debole. Gli italiani trascurano la res publica.
Ma è il motivo per cui sono più operosi nel privato.
Basta guardare con attenzione l’Unione europea: il più
vasto spazio economico d’Europa con un reddito pro
capite superiore alla media è il norditalia. La
Calabria è alla pari con la Germania est. Nessun
crepuscolo, quindi, nessun declino per l’Italia.
Neanche quando “piove”.

Guarderemo film cinesi

di Tony Barber, Financial Times

Secondo il corrispondente britannico, la crisi
Parmalat deve portare a rinnovare la classe dirigente
industriale

Permettetemi di congratularmi con Beppe Grillo per la
sua acuta analisi dello scandalo Parmalat e delle
condizioni dell’economia italiana. Pensate che lo
assumeranno in una banca di investimenti
internazionale? O alla Banca centrale europea?
Istituzioni del genere potrebbero trarre profitto
dalle sue argomentazioni insolitamente chiare,
suffragate da dati e cifre incontrovertibili.

Non c’è dubbio: l’affare Parmalat ha gravemente
danneggiato l’industria italiana. Marco Tronchetti
Provera, presidente di Telecom Italia, ha definito lo
scandalo “un forte e significativo colpo per
l’immagine del nostro paese nella comunità
finanziaria”. Questo scandalo poteva succedere solo in
Italia, o tutti i paesi a capitalismo avanzato
prestano il fianco a questo tipo di frodi? Gli
americani, gli inglesi, i tedeschi e i francesi, che
si illudono di essere tanto al sicuro, dovrebbero
stare attenti prima di scagliare pietre contro
l’Italia.

Scandali globali. Negli ultimi anni molti paesi sono
stati messi in imbarazzo dagli scandali che hanno
travolto alcune grandi aziende, come la Enron negli
Stati Uniti o la Elf Aquitaine in Francia. Inoltre,
anche se l’affare Parmalat è nato in Italia, ha
toccato vari paesi del mondo a causa del
coinvolgimento di istituzioni non italiane.

Non siamo ancora in grado di dire se il loro è stato
un comportamento criminale, ma rimane il fatto che
nessuno si è accorto dell’imbroglio della Parmalat
finché non è stato troppo tardi. Perfino la Sec
(l’organismo statunitense che controlla il
funzionamento delle borse) l’ha definita “una delle
più grandi e più sfacciate frodi finanziarie della
storia” solo quando molti dei fatti principali erano
ormai di pubblico dominio. Ma Beppe Grillo ha ragione
a mettere in evidenza le colpe del sistema italiano.

Non è un segreto per gli investitori internazionali
che in Italia gli standard di gestione aziendale sono
piuttosto scadenti. Il modo in cui alcune aziende
trattano gli azionisti di minoranza è vergognoso. Sono
questioni importanti per il futuro. In Italia la
mancanza di capitali di investimento è un problema
storico. In confronto agli standard mondiali, il
mercato finanziario italiano è piccolo e manca di
liquidità. Le aziende che vogliono modernizzarsi
avranno bisogno di prendere in prestito capitali dai
mercati internazionali.

Ma se non diventeranno più trasparenti non li
troveranno facilmente. Una riforma delle strutture di
controllo contribuirebbe a evitare altri scandali come
quello della Parmalat. Ma l’industria italiana ha la
responsabilità di riformarsi. Non basta dare la colpa
ai politici. In un solo punto la mia analisi si
distacca da quella di Beppe Grillo. “L’Italia è in
declino rapido”, dice Grillo.

Penso che l’aggettivo “rapido” sia eccessivo. Buona
parte dell’Europa continentale è in declino, ma un
declino relativo. Nel mondo dell’economia le stelle in
ascesa sono la Cina e l’India. Un tempo, come dice
Beppe Grillo, la penisola italiana è stata un modello
di innovazione economica. In seguito il mondo
dell’economia è stato dominato dall’impero britannico.
Poi è venuto il turno degli Stati Uniti. Sono tendenze
che vanno e vengono. Chissà, forse un giorno Hollywood
e la Walt Disney scompariranno e tutti guarderemo i
film cinesi.

Silenzio, per favore

di Jeff Israely, Time

Spesso siamo più americani degli americani: lo dice
uno che se ne intende. Le riflessioni del
corrispondente del settimanale statunitense Time

"Bevi il latte! Spegni la televisione!”. Questi erano
i due ordini più comuni – e spesso ignorati – che
sentivo durante la mia infanzia nei sobborghi di New
York. Ero drogato di Coca-Cola e di qualsiasi cosa
comparisse sullo schermo a colori a 26 pollici.
Nessuno sapeva quanto fosse dannosa la tv: ma se i
ragazzi non sapevano resistere, era di per sé un segno
del male. Da allora sono passato alla birra, ma quella
maledetta tv ancora non riesco a spegnerla.

Quando sono arrivato in Italia, ho notato subito una
forte discrepanza tra la qualità dei programmi
televisivi e quella degli spot. La maggior parte dei
programmi prodotti in Italia sembrava una generazione
indietro rispetto a quelli che ero abituato a vedere
in America. In Un medico in famiglia, nel Maurizio
Costanzo Show, in Buona domenica, non solo il
contenuto, ma anche le luci, i set e perfino la
pellicola davano l’impressione che i produttori
fossero a corto di quattrini. Per gli spot, invece,
l’Italia non è seconda a nessuno.

A Parma nessuno beveva il latte locale. Ho fatto parte
del corteo di giornalisti andati a Parma per
raccontare che il crac del gigante del latte era anche
una storiella provinciale di tradimenti. Ho passato
due giorni cercando almeno un abitante del posto che
avesse investito i suoi risparmi in titoli Parmalat.
“Figuriamoci, qui lo sapevano tutti che l’azienda era
in cattive acque”. Dunque Grillo non era l’unico.

Davanti alla tempesta perfetta che gli si addensava
intorno, Berlusconi ha fondato un partito politico per
continuare a fare i suoi interessi. Ovviamente, a
Calisto Tanzi non è neanche venuto in mente una mossa
del genere. Per gli elettori di Berlusconi questo è il
principale punto di forza, anche più della sua
ricchezza o del suo fascino. Si chiama… hhmmm…
vediamo… avere le palle. Dopo la cerimonia di sabato
per il decennale di Forza Italia, un dirigente Ds di
medio livello tuonava: “Io non ho paura di
Berlusconi!”. Ma come fanno a continuare a
sottovalutare questo Cavaliere?

Al palazzo dei congressi, i colleghi mi domandano se
l’atmosfera è simile a quella della tipica convention
di un partito politico americano. Le bandiere
colorate? Sì. La coreografia in stile tv? Sì. Il
lifting? Chissà. L’inno ripetuto 1.542 volte? No.
Grazie a Dio, no. Berlusconi è più americano degli
americani.

Blob. È il miglior reality show di tutta la tv
italiana. Posso starmene a guardare altri tizi che
ostentano la loro destrezza con il telecomando: sono
bravi quasi quanto me all’una di notte! Fra i
protagonisti di Blob ci sono i politici che si urlano
addosso fino al punto che tra di loro non si capiscono
più. Questa sì che è par condicio: negare e confermare
al tempo stesso che in Italia esiste il monopolio dei
mass media.

Ma in mezzo all’isterismo generale, là fuori,
nell’etere televisivo, Blob riesce anche a trovare una
o due idee o immagini istruttive. L’altro giorno ho
visto Beppe Grillo che ricordava il tempo della tv in
bianco e nero, quando era del tutto evidente che quel
che vedevi in televisione non era realtà, perché non
era colorato come il mondo circostante. Adesso, lo
schermo è solo una finestra. O uno specchio.

Ecco qui un’altra idea, stavolta per gli avversari di
Berlusconi. State zitti. Se siete tanto convinti che
la vostra presenza sia un materiale destinato a essere
manipolato dai tg, fate come Beppe Grillo: blackout
totale. Per un mese, provateci. Senza di voi, quegli
altri che faranno? Se state zitti, la gente finalmente
capirà quello che strillate da tre anni.

La bugia del denaro facile

di Jean-Jacques Bozonnet, Le Monde

Il caso Parmalat getta una luce spietata su un sistema
malato, scrive il corrispondente di Le Monde

A dieci anni di distanza, i contribuenti francesi
continuano a pagare di tasca loro gli errori del
Crédit Lyonnais. E tra gli intellettuali parigini
infuria il dibattito sul “declino della Francia”.
Tutto questo induce l’osservatore francese a
considerare con umiltà la situazione italiana e gli
conferisce anche una certa competenza.

L’Italia è realmente una grande Parmalat, un paese al
tramonto, come suggerisce l’analisi – brillante ma
molto pessimista – di Beppe Grillo? Il caso Parmalat –
eccezionale per la sua ampiezza e rocambolesco per i
dettagli svelati un giorno dopo l’altro – getta una
luce spietata su un’epoca, un sistema, una società,
proprio come ha fatto lo scandalo del Crédit Lyonnais
sulla Francia degli anni ottanta e novanta.

Manie di grandezza. Era l’epoca del denaro facile: la
banca statale non aveva resistito alle sue smanie di
gigantismo, incoraggiata dalla megalomania di certi
dirigenti ma anche da quel “capitalismo alla
francese”, una mescolanza di stato e di settore
privato che diluisce le responsabilità. E nella
relazione sulfurea tra politici e industriali aveva
messo radici una sensazione di impunità.

Beppe Grillo ha ragione a dire che lo scandalo
Parmalat non è un evento isolato, ma è emblematico di
un capitalismo italiano reso opaco dai conflitti
d’interesse. Quando il banchiere è nel consiglio di
amministrazione dell’impresa, quando l’industriale
siede in quello della banca, quando spesso l’uno è in
debito con l’altro, o addirittura suo dipendente, e
quando entrambi si ritrovano a concludere affari nello
stesso club di calcio, si arriva a quella
consanguineità che mina le grandi famiglie.

Al centro del sistema sembra esserci una complicità di
fatto, quasi genetica. Come spiegare altrimenti che
una simile truffa sia andata avanti per più di
quindici anni, proprio quando il paese era paralizzato
dalle inchieste di Mani pulite, e che nessuno, in
nessun momento, abbia creduto opportuno gridare:
“Attenzione!”? Perché gli italiani, come dice Grillo,
hanno fatto finta di non vedere la realtà Parmalat? La
risposta dell’umorista non è divertente. Il paese
intero sarebbe vittima di un’illusione, perché
l’economia reale si è trasformata in economia
virtuale.

Proprio come, nella Parmalat, il latte è diventato
aria. Il paese intero starebbe sprofondando in una
crisi senza ritorno, pagando a caro prezzo il suo
gusto per l’apparenza più che per la sostanza. Se in
questi ultimi anni non sono state effettuate le
necessarie modernizzazioni, non è stato per mancanza
di lucidità. Nella coscienza che gli italiani hanno
dell’interesse generale, una priorità scaccia l’altra.
È il tributo da pagare in un paese che si è arricchito
grazie alle sue diversità. Ci vorrebbe molto coraggio
per remare controcorrente. Con i tempi che corrono,
chi avrà l’ardire di chiedere “più stato”?