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Piero Fassino ha chiesto di parlare a il manifesto sulla sua posizione a proposito dell’Iraq.
Publie le lunedì 1 marzo 2004 par Open-PublishingOttima iniziativa, e sarebbe stata migliore se non l’avesse accompagnata dall’accusa: siete
stalinisti, che suona alquanto bizzarra in bocca di chi ci cacciò dalle file del Pci perché non eravamo ligi
alle imprese sovietiche. Ma gli lasciamo il gusto della rissa. Il vero problema non è questo, è
che il segretario dei Ds null’altro aveva da dirci se non che, sì, la guerra in Iraq è stata un
errore, ma ormai è fatta e bisogna assumersi tutti le responsabilità della pacificazione.
Quale
pacificazione, prego? Fra chi e chi? Gli Stati uniti credono di poter ripetere lo scenario afgano, ma si
sbagliano. Neanche quella guerra è stata una bella operazione, ma se le Nazioni unite hanno potuto
coprirla è perché vi era in corso da tempo una guerra civile acuta contro il talebani, anche
sospettati con qualche fondamento di proteggere bin Laden. E infatti il passaggio dei poteri a Kabul
non fu molto difficile, andarono a Karzai e ai signori della guerra, figure poco entusiasmanti ma
che rappresentano in parte quel disgraziato paese, anche se nelle province non va così liscia.
E
Karzai è in grado di alzare la voce contro gli americani quando le truppe rimaste ne fanno una di
troppo, di mettere in piedi un governo provvisorio e una costituzione, ed è verosimile che si vada al
voto nel 2004. Le Nazioni unite hanno assistito a questo processo, i cui sviluppi, compresa
l’espansione del papavero, sono in mano agli afgani.
Gli Stati uniti fingono di credere che nell’Iraq sia lo stesso. Non è vero. Non c’era
un’opposizione a Saddam che volesse l’intervento internazionale. L’intero paese, avversari di Saddam compresi,
ha sentito come un sopruso intollerabile l’arrivo degli occidentali, dei quali aveva già patito
l’embargo. Contro l’occupazione è in atto una guerriglia crescente. E nessuno riconosce il governo
che gli occupanti hanno messo in piedi, per cui non si è in grado di indicare una data per le
elezioni, né chi vi si presenterebbe, né uno straccio di costituzione in fieri. Il solo punto su cui
sono d’accordo tutte le posizioni è che l’occupazione deve cessare, e prima di allora non verrà
riconosciuto nessuno.
Non c’è un processo di «democratizzazione» neanche nel senso più elastico della
parola - meglio sarebbe dire di mutamento dei poteri - da accompagnare. Siamo in presenza di un
paese che si ribella all’invasione. Quel che gli stati vorrebbero dalle Nazioni unite è che la
legittimassero a posteriori. E’ questo che, nonostante le pressioni e forse anche qualche ricatto che
il Palazzo di Vetro sta subendo, Kofi Annan non accetta. Finora ha mandato soltanto degli
osservatori.
Questo è il senso del no dei pacifisti, e non solo. Rispondervi con male parole invece che con
argomenti è un mezzuccio, che andrà bene per l’attuale parlamento ma non per chi ragiona. E peggio è
aggiungere, come fa Fassino, che in certi casi la guerra ci vuole. Quali casi? Non perché fosse
pia ma perché era realista, la Carta dell’Onu dopo il 1945 ha condannato il ricorso alla guerra.
Neanche quello in Afghanistan è stato il mezzo giusto per battere i talebani ma quella contro l’Iraq
è soltanto un clamoroso disastro. Gli Stati uniti non sanno come venir fuori dall’incendio che
hanno provocato e vorrebbero che fossero altri a fungere neppur da pompieri ma da sostituti occupanti
e sotto il loro comando.
Fassino dovrebbe spiegare perché i Ds non dicono a questo un no chiaro e tondo, che sarebbe anche
un ammonimento a non ricominciare. E dovrebbero darsi da fare sul serio perché l’Onu subentri
all’occupazione in accordo con chi è realmente in grado di coagulare le forze di quell’infelice paese,
cui dovremmo smettere di guardare come a una banda di delinquenti da tenere a bada.