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Più di dieci milioni con l’acqua alla gola

Publie le sabato 16 ottobre 2004 par Open-Publishing
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Dazibao


Secondo l’Istat le famiglie italiane, povere o quasi povere, sono il 18,5%
del
totale. Al Sud la percentuale peggiore: una su quattro
Il profilo della povertà è rimasto immutato: colpite soprattutto le famiglie
numerose e gli anziani. Per questi ultimi, la situazione si è aggravata soprattutto
al Nord


di GIANNI DEL VECCHIO

La povertà in Italia rispecchia pedissequamente lo stato dell’economia: stagnante. Per le classi più basse, nessun miglioramento di rilievo si è registrato negli ultimi dodici mesi. A dirlo è l’Istat, che ieri ha reso noti i risultati dell’indagine, su di un campione di 28 mila famiglie, sulla povertà relativa nel nostro paese per il 2003. Secondo l’istituto nazionale di statistica infatti, la percentuale di famiglie che vive al di sotto della soglia della povertà è rimasta sostanzialmente stabile passando dall’11 per cento del 2002 al 10,6 di quest’anno. Un lieve miglioramento che però, come hanno spiegato i tecnici di via Balbo, non è statisticamente significativo, visto che viene eroso dall’errore campionario (l’errore che si commette quando si osserva solo una parte della popolazione). La stabilità della situazione tuttavia non diminuisce ma anzi amplifica la drammaticità della "questione povertà" nel nostro paese. Se si dà un’occhiata ai valori assoluti, l’attenzione si ferma su di un dato significativo: le famiglie povere sono 2 milioni e 360 mila, pari al 10,6 per cento delle famiglie residenti; il che vuol dire che in Italia vivono in condizioni di indigenza 6 milioni e 786 mila persone, l’11,8 per cento dell’intera popolazione. Un dato che tuttavia è destinato ulteriormente a lievitare se si mettono nel calderone anche quei nuclei familiari che l’Istat definisce "quasi poveri", quantificabili nel 7,9 per cento delle famiglie italiane. Considerando anche questa percentuale infatti, la quota delle famiglie italiane che sopravvivono a stento e in grandi ambasce arriva al 18, 5 per cento del totale ovvero più di 10 milioni di persone.

C’è da precisare a questo punto però cosa intende l’Istat per povertà relativa. L’istituto di statistica infatti ha tracciato una linea di povertà sulla base dei consumi annuali delle famiglie. In altri termini, ha creato una griglia con diverse somme-limite mensili, a seconda della numerosità del nucleo familiare, che vengono destinate alla spesa per consumi. Al di sotto di tali soglie una famiglia può considerarsi povera. Ad esempio, la soglia minima per consumi per un nucleo di quattro persone è di 1417,29 euro al mese; quindi se una famiglia è costretta a spendere meno, la si considera in povertà. Un metodo, questo, che quindi si sgancia da ogni riferimento al reddito o al risparmio disponibile degli italiani, focalizzandosi invece sulla sola capacità di spesa.

Il rapporto dell’Istat è poi interessante soprattutto per i raffronti, sia territoriali che di struttura sociale, che si possono ottenere. Resta infatti inalterato il profilo della povertà: a vivere sul filo del rasoio sono infatti soprattutto gli abitanti del Mezzogiorno, le famiglie numerose e gli anziani. Particolarmente preoccupante la situazione delle regioni meridionali: posto pari a 100 il totale delle famiglie povere, ben il 65,6 per cento risiede nel Sud. Nella triste classifica delle regioni più povere, spiccano Sicilia e Basilicata, entrambe oltre il 25 per cento di incidenza di povertà relativa. In altri termini, una famiglia su quattro deve fare i conti con l’indigenza. Stesse ambasce per le famiglie numerose, quelle con cinque o più componenti: ovunque presentano livelli di povertà elevata (circa una famiglia su cinque). Soggetti deboli per definizione, gli anziani scontano una situazione particolarmente critica: sia da soli che all’interno di un nucleo familiare, risultano in media più poveri rispetto agli altri italiani.

L’ultima sottolineatura va poi fatta per le variazioni tendenziali, ovvero cosa è cambiato rispetto all’anno scorso. Balza agli occhi soprattutto la stabilità dei vari indicatori, sia a livello nazionale che regionale. Un’ulteriore prova di come l’Italia sia un paese attualmente fermo dal punto di vista economico e sociale. Degne di nota solo tre variazioni significative: una in positivo e due in negativo. Conforta, ad esempio, il miglioramento delle coppie con tre o più figli (l’incidenza della povertà passa dal 24,4 per cento al 20,9) mentre a peggiorare è la situazione dei single (dal 3,1 al 3,9 per cento) e quella degli anziani, soprattutto al Nord (più 2 per cento).

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/14-Ottobre-2004/art21.html

Messaggi

  • purtroppo il declino dell’economia italiana è iniziato già da diversi anni, possiamo dire dopo tangentopoli e gli anni 80 è stato uno scivolone continuo.
    le cause sono molteplici, alcune strutturali, altre derivanti da errori di politica economica dei vari governi succedutisi nel tempo.

    La ripresa sarà dura e forse l’unica cosa che ci può salvare da una crisi simile a quella dei paesi sud americani è il fatto di stare in Europa.
    Se però credete che il problema possa essere risolto solo con un cambiamento di governo, siete proprio degli ingenui. Si vede da lontano che è tutta propaganda, e anzi, credo che un governo di sinistra, determinando un ritorno al passato (oramai la sinistra italiana non è progressista da un pezzo, anzi... è più conservatrice dei monarchici) peggiorerà la situazione.

    D’altra parte abbiamo un economia assolutamente non competitiva: i beni prodotti hanno prezzi troppo alti, la qualità è scadente, la ricerca è nulla, il mercato del lavoro è rigido, il costo del lavoro è troppo elevato, il sistema bancario è basato su privilegi e le banche italiane quando vanno all’estero fanno la solita figura dei peracottari, le nostre industrie sono un carrozzone a sfacelo.

    Basta un esempio: L’Alitalia...23.000 dipendenti per 140 aerei
    la Ryanair 2500 dipendenti per 138 aerei