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Prc, movimenti e programma

Publie le martedì 3 agosto 2004 par Open-Publishing

di Paolo Ferrero

Su Liberazione di domenica è apparso nella pagina dei commenti un articolo di Alberto Burgio che mi ha lasciato di sasso. Infatti, dopo aver variamente criticato le attitudini moderate del centro sinistra, l’articolo si chiude affermando: «C’è solo un alibi che la sinistra moderata può forse invocare. E cioè il fatto che nessuno l’ha davvero costretta a cambiare rotta,...., non onorando le quali sarebbe improponibile un accordo di governo con la sinistra del centro sinistra, a cominciare da Rifondazione Comunista. Poche ma, come direbbe l’onorevole D’Alema, "non negoziabili": no alla precarietà, salari europei, rilancio del Welfare e dello sviluppo, difesa della Costituzione, fuoriuscita dell’Italia dalle guerre. Insomma, si tolga finalmente ogni alibi a chi mostra, altrimenti, di approfittarne: se peccare è male, indurre altri in tentazione è ancora peggio».

Se l’italiano non è un opinione, Burgio afferma qui che la responsabilità principale del perdurante profilo moderato del centrosinistra sarebbe proprio nella linea di Rifondazione. Penso che questa sia una valutazione politica completamente sbagliata, non basata sui fatti e sono stupito che un dirigente politico del nostro partito possa esprimere simili giudizi. Capisco si possa criticare l’efficacia della linea, ma affermare che siamo l’alibi per il perdurare del moderatismo ulivista vuol dire che siamo dannosi. Una valutazione irricevibile, frutto di una analisi e di una proposta politica che continua a non vedere le novità determinate dalla ripresa dei movimenti. Vediamo perchè.

Burgio afferma che la possibilità di obbligare il centrosinistra a schiodarsi dalle posizioni moderate è connessa alla scelta di Rifondazione Comunista di porre in modo "non negoziabile" alcuni punti fermi. Io credo che non sia così. Questo ragionamento sui punti fermi, sui paletti. lo abbiamo già fatto altre volte, nel ’97 e nel ’98. Prima erano le 35 ore e poi la richiesta di una svolta nelle politiche economiche. Sappiamo dove ha portato. Nel primo caso ad un accordo non rispettato e nel secondo alla rottura. Il punto fondamentale è che la sola azione contrattuale del Prc sul terreno delle relazioni politiche, è insufficiente a modificare gli orientamenti dell’opposizione; sul piano strettamente contrattuale la Confindustria di Montezemolo - o la Cisl di Pezzotta - pesano più di noi. Il fatto di essere determinanti sul piano dei voti è importante, ma non sufficiente per fare buoni accordi e poi garantirne il rispetto. La nostra forza non è data tanto dai numeri (quelli erano migliori nel 96), ma dal fatto che le politiche liberiste sono in crisi e che la nostra impostazione politica è diventata, in più di un caso, senso comune di massa. Come sulla guerra, dove la mozione unitaria sul ritiro delle truppe è stata resa possibile proprio dal comune sentire del popolo dell’opposizione; o sui 10 milioni di voti presi nel referendum per l’estensione dello statuto dei lavoratori, che rappresentano la maggioranza dell’elettorato che si riconosce oggi nell’opposizione.

Il problema allora non è - in questa fase - quello di un prendere o lasciare su alcuni punti (che per altro fanno ovviamente parte delle nostre proposte) ma quello di coinvolgere tutti i movimenti e le organizzazioni che si sono mossi in questi anni, all’interno di un percorso di costruzione del programma medesimo. Non si tratta di aprire una trattativa a due, tra Rifondazione e Ulivo, ma di dar vita ad una costituente programmatica, a livello centrale come sui territori, che coinvolga tutti i soggetti disponibili; occorre rompere la separatezza e l’autoreferenzialità della politica al fine di permettere alle istanze di classe e di movimento di incidere sul complesso della coalizione.

Al contrario di quel che dice Burgio, la discussione sul programma non deve diventare una trattativa tra Rifondazione e l’Ulivo. Il vero punto su cui fare leva per cambiare l’impostazione delle opposizioni è la contraddizione tra l’Ulivo e gli orientamenti della maggioranza della sua base sociale. Il nostro problema è fare emergere in tutta la sua grandezza questa contraddizione e lì giocare la nostra forza e l’indispensabilità della sinistra alternativa. Occorre socializzare la costruzione del programma, ottenere le primarie sul programma, obbligare tutta la coalizione a farsi carico dell’esigenza popolare di battere le destre e nello stesso tempo battere le politiche di destra.

Dobbiamo cioè trasferire il più possibile il confronto sul programma da una trattativa tra le forze politiche al rapporto tra le istanze sociali e la politica. Questa impostazione si deve accompagnare ad un punto chiaro: se non si può fare un buon accordo programmatico, non si fa nessun accordo. O si modifica l’indirizzo - a partire dalla guerra - e si rende permeabile la coalizione ai conflitti sociali, oppure nessuno avrà i nostri voti in regalo. Patti chiari, amicizia lunga e nessuna desistenza.

http://www.liberazione.it/giornale/040803/LB12D6B2.asp