Home > Prime crepe nel fronte sciita che sostiene il governo Allawi e l’occupazione (…)
Prime crepe nel fronte sciita che sostiene il governo Allawi e l’occupazione americana
Publie le domenica 15 agosto 2004 par Open-PublishingSciiti sempre più anti Bush
di STEFANO CHIARINI
L’attacco americano alla città di Najaf dove si trovano due dei luoghi più santi per gli sciiti, la moschea dell’Imam Ali e il cimitero dove ogni seguace di questa corrente dell’islam desidera essere sepolto, nonché tutte le scuole nelle quali si sono formati da centinaia di anni a questa parte i più importanti esponenti sciiti, ha creato apprensione, dolore e sdegno non solo in Iraq, dove il governo collaborazionisti di Iyad Allawi è sempre più isolato, ma in tutto il mondo musulmano. Uno sdegno che, con il passare dei giorni e l’aggravarsi dei combattimenti, potrebbe mettere in crisi la posizione oscillante tra l’opportunismo, la neutralità e il collaborazionismo, delle massime autorità religiose sciite irachene, dei partiti sciiti presenti nel governo Allawi, il partito «al Dawa» e il filo-iraniano «Consiglio supremo della rivoluzione islamica in Iraq», lo Sciri, i quali, con il beneplacito di Tehran hanno in ultima analisi sostenuto l’occupazione americana dell’Iraq e parzialmente limitato lo sviluppo della resistenza al sud.
Di fronte alle scene di Najaf in fiamme, delle tombe bombardate e delle lapidi divelte e di un possibile attacco finale alla città, l’opinione pubblica sciita sta sempre più con insistenza rimettendo in discussione la strategia «entrista» nell’occupazione di questi settori: e neppure il massimo capo religioso Ali al Sistani, nonostante la sua popolarità, è immune dalle critiche per aver abbandonato la città santa di Najaf «per cure mediche» alla vigilia dell’attacco americano. Non pochi esponenti religiosi hanno cominciato ad accusare l’anziano leader di un certo disinteresse per le sorti dell’Iraq a causa delle sue origini «straniere», cioè iraniane. Ali al Sistani ha risposto a tali accuse, tra l’altro da Londra, l’odiata ex potenza occupante dell’Iraq, con un accorato, ma generico, appello a rispettare i luoghi santi sciiti rivolto però sia agli invasori americani che ai combattenti iracheni. Dello stesso tipo la debole presa di posizione dello Sciiri sempre pronto ad ascoltare la voce di Tehran. Ma non solo. Anche quella dei commercianti e di una certa borghesia sciita la quale, occupazione o no, desidera solo riprendere al più presto possibile i lucrosi affari legati ai pellegrinaggi verso Najaf, una sorta di Vaticano iracheno.
Più nette, ed è la prima volta che ciò avviene, invece le parole di un altro partito sciita cooptato fino ad oggi dagli Usa, il Partito al Dawa, che per bocca del suo leader (secondo alcuni sondaggi uno dei politici più rispettati del paese) Ibrahim Jaafari ha chiesto alle truppe americane e multinazionali di lasciare al più presto Najaf. Segno questo del riemergere di una divisione, quella tra lo Sciiri e al Dawa, non certo nuova, sin dai tempi nei quali i primi sostenevano apertamente l’embargo e i secondi lo criticavano, i primi sostenevano uno stato islamico e i secondi l’apertura ai laici, i primi l’ayatollah Ali Khamenei e i secondi l’ayatollah Montazeri. Per non parlare dei duri scontri tra Sciri e al Dawa del 22/2/ 1999 a Qom (Iran) provocati da un discorso di un esponente del partito filo-iraniano che aveva definito il padre di Moqtada al Sadr, Mohammed Sadeq al Sadr, ucciso in Iraq, «un ex agente del regime baathista». Per il momento entrambi i partiti restano nel governo Allawi ma la scissura potrebbe approfondirsi.
Uscendo però dal mondo della politica ufficiale la situazione è ancora più tesa e la comunità sciita sembra decisa a mobilitarsi per porre fine ai combattimenti. Il fatto che al Sadr sia stato attaccato dagli americani e si stia difendendo, gli ha portato in questi giorni la simpatia anche di coloro che non condividono il suo radicalismo e di tanti cittadini esterefatti dall’«uso sproporzionato della forza» da parte degli Usa. La risposta è stata immediata: imponenti manifestazioni hanno avuto luogo ieri nel quartiere sciita di Khadimia a Baghdad e per le strade di Basra. La città di Najaf infatti ha si una grande rilevanza a livello religioso per tutti gli sciiti del mondo ma anche una grande importanza «nazionale», associata com’è alle rivolte del paese contro le occupazioni straniere o contro la dittatura. Basti pensare come nel 1920, ottantaquattro anni fa, i ribelli, decisi a cacciare le truppe britanniche, si fossero riuniti proprio davanti alla moschea dell’imam Ali guidati, tra gli altri, da un altro al Sadr, lo sheik Sayyd Mohammed al Sadr. La rivolta fu schiacciata nel sangue dai britannici ad un prezzo umano così alto da far esclamare a Winston Churchill, allora segretario alle colonie : «è sorprendente come la Gran Bretagna sia riuscita in così poco tempo ad alienarsi tutti gli iracheni». Una storia che rischia ora di ripetersi scavando un solco incolmabile tra gli occupanti, con il governo Allawi, e il resto della società irachena. Di qui le dimissioni del vice governatore di Najaf e l’ultimatum rivolto al governo collaborazionista Allawi dai governatori di Basra, Meisan e Dhi Khar.