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Prosegue il tour italiano di Joan Baez per l’uscita del suo ultimo album Dark Chords On a Big Guitar

Publie le domenica 1 agosto 2004 par Open-Publishing

Dazibao

di Sandro Podda

La lezione di Joan

E’insolito come pubblico alternativo quello che affolla la Cavea dell’Auditorium di Roma per il concerto di Joan Baez. Ordinato, senza tatuaggi, creste o piercing, eccezion fatta per qualche camicia fiorata che rimanda a passati hippy.

L’età media è oltre i cinquant’anni, vuoi per il prezzo del biglietto non proprio popolare, vuoi perché la folksinger statunitense con i suoi quarantasette anni di carriera alle spalle rappresenta un pezzo di storia mal ricordata dalle generazioni più giovani. Generazioni per le quali i capelli lunghi sono semplicemente un taglio alla moda e che nessun giornale definirebbe più, come faceva il Corriere della Sera nel ’66, "giovani zazzeruti anarco pacifisti" (riferendosi ai beat italiani). Ad aprire il concerto sale sul palco il giovane Josh Ritter accompagnato solo dalla sua chitarra acustica e un capotasto mobile. La somiglianza fisica con Nick Drake è impressionante. Del grande cantautore scomparso trent’anni fa ricorda l’innocenza e la timidezza. Fortunatamente (per lui) non l’oscurità e la depressione profonda che inghiottì Drake. Con un pugno di canzoni originali e una cover di Leonard Cohen riesce a conquistare e scaldare il pubblico dell’Auditorium.

Il cambio palco richiede pochi minuti, vista la sua essenzialità. Una tazza da te’ su un piccolo piedistallo affianco al microfono è l’unico effetto scenico concesso. La sostanza riempie i vuoti. Appena sale sul palco, Joan Baez incanta. Vestito di raso rosso sopra le ginocchia, sandali ai piedi, taglio corto con codino per i suoi capelli argento e la sua inseparabile sei corde. Apre il concerto con la dolorosa "Caleb Meyer" di Gilian Welch, racconto di un tentativo di stupro e nonostante lo splendido sorriso che l’accompagnerà per tutto il concerto, introduce quel tono scuro che domina il suo ultimo album, "Dark Chords on a Big Guitar". Album quest’ultimo segnato sia dalla scomparsa della sorella che dalla situazione politica statunitense dopo l’11 settembre.

Già al secondo pezzo arriva lo pseudo-omaggio all’ex compagno Dylan con "Farewell Angelina". Pseudo-omaggio perchè Dylan non firmò mai il pezzo che parla dell’addio di un ragazzo richiamato in guerra alla sua compagna Angelina, ma l’affidò alla Baez che la rese celebre. Prima di attaccare con "Joe Hill" ("I padroni del rame ti hanno ammazzato Joe… Quello che loro non possono mai uccidere è la coscienza di organizzarsi") il ringraziamento è la dedica in italiano sono per Michael Moore, il regista statunitense che sta sempre più diventando il simbolo dell’America che reagisce alle bugie dell’amministrazione Bush. L’applauso è fragoroso e il clima si scalda. Così la voce della Baez, ricca, intensa e sorprendentemente chiara. Le sue dita, perfettamente allenate al fingerpicking, scorrono sulla chitarra con l’intima confidenza di chi ha passato una vita a raccontare storie in forma di musica.

Giunge il momento del tributo al più grande dei folksinger americani, quello che Dylan avrebbe imitato perfino nella voce, Woody Guthrie. Il brano scelto, "Deportee", è bellissimo, così come la storia che racconta. Deportee è infatti il termine con il quale venivano indicati i braccianti stagionali messicani. Introdotti in California per la stagione del raccolto venivano poi riportati in Messico in aereo alla scadenza del permesso di soggiorno (e della loro "utilità" economica). Guthrie scrisse questo brano dopo aver sentito una radio rassicurare i suoi ascoltatori su un incidente aereo: "i morti sono solo dei deportees…".

Il terzo intervento della Baez toglie qualsiasi dubbio a chi pensava che gli anni avessero indebolito le sue convinzioni politiche. In un perfetto italiano chiarisce a tutti: "mi scuso per quello che il mio governo sta facendo al mondo" e intona "Christmas in Washington" brano in cui si invoca il ritorno di personaggi come Guthrie, Martin Luther King, Malcom X.

Non dimentica il pubblico che ha davanti quando intona "Un mondo d’amore" di Gianni Morandi (nei bis suonerà anche "C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones", facendosi suggerire alcuni attacchi). Il concerto prosegue tra classici come "The Night They Drove Old Dixie Down" di Robbie Robertson e pezzi del nuovo album come "The Elvis Presley Blues" che le dà l’occasione di abbandonare la chitarra e agitare con eleganza il bacino. Risale sul palco due volte per i bis e quando il pubblico improvvisamente ridestato dalla percezione che il concerto è quasi finito chiede ancora altri pezzi ammette la sua stanchezza e si congeda con "(May you stay) Forever Young", possiate rimanere per sempre giovani… Compostamente come è entrato il pubblico si allontana dall’Auditorium. Fuori, ai cancelli, qualche figlio preoccupato per l’ora aspetta i genitori.

http://www.liberazione.it/giornale/040730/LB12D680.asp


63 anni di lotte, musica e amore

La biografia

Nata nel 1941 a Staten Island, New York, Joan Baez è la seconda di tre figlie di Albert Baez, un dotto in fisica, e di Joan Bridge, una donna di origini scozzesi figlia di ministro della chiesa episcopale e professore di drammaturgia emigrato negli Stati Uniti.

Fin da giovane la sua coscienza sociale a base di pacifismo e non violenza e il suo amore per la musica sono molto forti. Il battesimo musicale avviene ad una manifestazione per gli studenti delle scuole superiori, dove Joan debutta suonando con l’ukulele "Honey Love".

Nel 1958 Joan e la sua famiglia si trasferiscono a Boston. Qui studia teatro alla Boston University e comincia a suonare e cantare nei café della città e poi nelle sale da concerto lungo la East Coast, conquistando un pubblico sempre maggiore grazie al suo mix tutto speciale di musica folk tradizionale americana e testi dai contenuti fortemente impegnati.

Nel 1959 partecipa alla prima edizione del Newport Folk Festival e la sua esibizione le vale un contratto con la Vanguard, etichetta folk relativamente piccola. Esce il suo primo album "Joan Baez" 81960), una raccolta di canzoni tradizionali.

Incontra Bob Dylan al Gerde’s Folk City. Iniziano gli anni delle manifestazioni pacifiste contro la guerra in Vietnam e, nel 1965, fonda l’Istituto per lo Studio della non violenza".

Rapidamente la Baez diventa simbolo della protesta contro tutte le ingiustizie. La sua fama arriva anche in Europa. Nel 1966 viene arrestata durante un picchettaggio al centro di reclutamento di Oakland. Nel 1969 uno degli appuntamenti più importanti della cultura alternativa americana al quale la Baez non può mancare: il concerto di Woodstock.

Dopo essersi divisa da Bob Dylan, sposa David Harris. Quest’ultimo però, attivista renitente all’arruolamento, fu costretto a passare in carcere molto tempo e il loro matrimonio entrò presto in crisi. Nel 1972 vola ad Hanoi città del Vietnam bombardata dagli americani. Al suo rientro incide "Where are you my son? " album interamente dedicato all’esperienza vietnamita.

Nel 1979 fonda il "Comitato Internazionale dei Diritti Civili" del quale sarà a capo per tredici anni, la prima azione di protesta fu la "lettera aperta alla repubblica socialista del Vietnam" nella quale veniva accusata la violazione dei diritti civili da parte delle autorità del paese. Nel 1995 la cantante riceve il San Francisco Bay Area Music Award (Bammy) per la migliore voce femminile dell’anno.

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