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Quella Kabul fantasma in cui l’Italia è pronta a inviare altri soldati
Publie le giovedì 29 luglio 2004 par Open-Publishingdi Annibale Paloscia
La strategia Usa ha scelto di inondare il territtorio afghano di truppe inutili
«Come Stato e come nazione l’Afghanistan è poco più di un fantasma», scrive in una corrispondenza da Kabul, l’inviato de il Giornale Stenio Solinas all’indomani del voto con cui il nostro Senato ha approvato il rifinanziamento e il prolungamento delle nostre missioni militari e il ministro Frattini ha preannunciato l’invio di altre truppe a sostegno del governo di Hamid Karzai nel lungo periodo elettorale che durerà da ottobre (elezioni presidenziali) alla primavera (elezioni legislative). Per l’inviato de il Giornale, in Afghanistan «c’è di fatto un protettorato militare che garantisce il funzionamento delle attività correnti, ma solo nella capitale e dintorni, un proliferare di feudi armati indipendenti tra loro... al momento nessuna possibilità di una politica autonoma e autosufficiente».
Se è così, se anche gli inviati dei giornali ultragovernatovi del centrodestra, onestamente scrivono che questa è la realtà, la strategia Usa che sceglie di inondare quel Paese di soldati per tenere in piedi un governo amico, tra mille ostilità di feudi etnici, è un ritorno a un modello di dominio che abbiano già visto in quella regione del mondo: il dominio dell’impero mongolo che creava regni e stati effimeri tenendoli sotto la guardia di centinaia di migliaia soldati. Marco Polo, che in quei paraggi andava a comprare zaffiri e turchesi, ci racconta nel Milione la storia del primo Bin Laden, il «veglio della montagna» che, in una imprendibile fortezza aveva costituito la setta degli assassini, giovani kamikaze che usava in imprese terroristiche contro principi franchi e capi musulmani moderati, promettendo loro il paradiso di Maometto. Organizzò attentati contro il Saladino e Edoardo d’Inghilterra, riuscì a far assassinare tre califfi, il re di Gerusalemme Corrado da Monferrato e il conte Raimondo di Tripoli. I mongoli impiegarono 24 anni per mettere fine alle imprese di quel criminale.
Di fatto, il modello mongolo, l’inondazione di soldati, non sta producendo e non produrrà nulla di buono in quel Paese. Anzi la situazione peggiora, gli atti di violenza si moltiplicano, perfino i «volontari» vengono uccisi. Venti negli ultimi sette mesi, cinque erano di «Medici senza frontiere», che ieri ha annunciato che lascerà il Paese dopo venti anni «perché non c’è sicurezza, non si fanno neppure le indagini per scoprire gli assassini dei volontari».
Enduring Freedom, la guerra scatenata dagli Usa, per distruggere le basi di Al Qaeda è stata un fallimento nella lotta contro il terrorismo e tanto meno ha rappacificato il Paese: oggi, come ammette lo stesso Karzai, le milizie che si oppongono al suo governo appoggiato dagli americani, dispongono di quarantamila combattenti. La partecipazione italiana, a titolo di pura presenza militare, senza un minimo di lucidità sugli obiettivi politici, è stata strombazzata dal ministro della Difesa come una delle «più complesse e rischiose missioni compiute dalle forze armate italiane dalla seconda guerra mondiale». E’ stata chiamata operazione «Nibbio», ci hanno partecipato 1500 militari che «su un terreno impervio, hanno fornito grande prova di professionalità-dicono i bollettini di guerra - in operazioni congiunte con unità statunitensi». E’ un linguaggio che rivendica, con quel richiamo alla seconda guerra mondiale, il diritto alla guerra, come un diritto che prevale sul principio del ripudio della guerra sancito dalla nostra Costituzione. Una quota di Nibbio è rientrata, ma altri 500 sono stati aggregati a Kabul alla Task Force Isaf sotto comando Nato. A questo contingente si aggiungerà a settembre un «battaglione di riserva», di cui Frattini non ha specificato la consistenza, per consentire «elezioni libere e trasparenti». Elezioni «libere e trasparenti» non si sono mai fatte in Paesi occupati da truppe straniere.
Stupisce che sia quasi completamente assente nei rituali parlamentari con cui si approva il prolungamento delle nostre missioni militari un’analisi seria dei problemi politici dell’Afghanistan. «Non deve essere una routine burocratica» ha detto alla Camera la parlamentare di Rifondazione, Elettra Deiana, ogni missione militare dovrebbe essere dibattuta nel suo specifico, nelle sue motivazioni politiche. Nelle ultime votazioni la maggioranza ha tenuto fuori dal «pacchetto omnibus» solo l’Iraq. Il senatore Gigi Malabarba, dichiarando il voto contrario del Prc alle missioni in Afghanistan e Kosovo, ha ricordato che la guerra in Afghanistan è strettamente collegata e intrecciata per ragioni geopolitiche alla guerra angloamericana in Iraq.