Home > Quelle giornate di Genova
Si può capire la difficoltà di chi non è stato a Genova ad identificarsi
fino in fondo con chi invece è stato per due giorni inseguito, caricato,
avvelenato da gas lacrimogeni. Si può capire che è difficile mettersi
nei panni di ragazzi di 15 - 20 anni che cercavano riparo in qualche
cortile rimasto aperto, mentre vedevano cadere i propri compagni sotto i
colpi dei manganelli. Ed è difficile trovare le parole per descrivere la
paura, l’angoscia che ancora, a distanza di 3 anni, molti non hanno
superato. E forse, nonostante le immagini televisive, non si può nemmeno
descrivere la rabbia, l’indignazione, la drammatica impotenza di chi,
come noi, è stato testimone del massacro di 63 ragazzi, dopo la morte di
Carlo il giorno prima e dopo essere stati vittime, in centinaia, di
inusitate e ingiustificate violenze da parte delle forze dell’ordine.
Quello che però risulta per noi incredibile, è il fatto che giornalisti
così attenti a cogliere i particolari più minuti di ogni vicenda
politica che riguarda i palazzi del potere, non abbiano colto una verità
indiscutibile, e cioè che quel movimento che a Genova ha conosciuto una
repressione così violenta, la nonviolenza ce l’ha nella pancia.
Se così non fosse stato, esponenti di primo piano della polizia non
avrebbero avuto bisogno di costruire false prove, alla scuola Diaz, per
tentare di dimostrare il contrario. Se così non fosse stato, il bilancio
sarebbe stato, è facile immaginarlo, ancora più drammatico. E se così
non fosse, il governo italiano non sarebbe così determinato nel negare
al Parlamento una commissione di inchiesta che faccia luce sulle
responsabilità politiche, sulla regia internazionale, sulla gestione
della piazza.
Davvero si può dunque pensare che non vi sarebbe coerenza tra la cultura
della nonviolenza, che proponiamo come idea della politica e delle
relazioni internazionali, come asse per rileggere la storia dei
comunisti e del ‘900 e la decisione di uscire dalla giunta a Genova?
Davvero si può pensare di procedere con una semplificazione caricaturale
della nonviolenza per sostenere, come fa il Riformista, che Rifondazione
comunista dovrebbe prendere le distanze dai 26 manifestanti imputati a
Genova per devastazione e saccheggio? Intanto, avremmo voluto noi
sentire una parola di indignazione da diversi garantisti che con tanta
enfasi hanno disquisito sui processi berlusconiani, e invece considerano
normale che a 26 ragazzi siano contestati reati che dal ‘45 non vengono
utilizzati, e che prevedono 8-15 anni di carcere. Scusate tanto, ma il
garantismo chiede proprio la proporzione nella commisurazione dei reati
già dalla loro contestazione.
In ogni caso, ci risulterebbe impossibile prendere le distanze da noi
stessi, perché, in quella città devastata, chiunque di noi avrebbe
potuto essere fotografato vicino una vetrina infranta o una macchina
bruciata. E se qualcuno spera di poterci collocare dalla parte
dell’accusa, se un ragazzo, dopo ore di cariche e teste rotte, ha preso
un sasso o un bastone in mano, ha sbagliato a capire. Tanto più in un
movimento che ha rifiutato la spirale repressione - violenza - repressione.
Poiché pensiamo davvero che la cultura della nonviolenza sia l’unica che
consenta oggi di opporsi alla guerra, lottare contro ingiustizie,
proporre una società altra, consideriamo necessario rivisitare non solo
la storia, ma le pratiche, il linguaggio, la comunicazione, le
relazioni. E anche per questo sarà ancora più determinato il nostro
impegno perché siano formalmente e sostanzialmente riconosciuti i
diritti fondamentali e le garanzie individuali. Invece a Genova la
democrazia e il diritto a manifestare sono stati cancellati. Così,
abbiamo considerato inaccettabile la costituzione di parte civile del
sindaco di Genova: il comune ha già rimborsato i cittadini danneggiati,
attraverso il finanziamento apposito del governo. E infatti ci ha già
pensato il presidente del consiglio a costituirsi parte civile contro i
26 imputati. Quindi non vi era nessun atto dovuto, anzi, la delibera
della giunta potrebbe persino essere ritenuta illegittima dal tribunale.
Viceversa, se vi fosse stata solo la volontà di seguire da vicino il
processo, altri strumenti sono a disposizione e sono stati suggeriti da
più parti, proprio per evitare la rottura tra il movimento e il sindaco,
che ha vinto alla grande una campagna elettorale, proprio mentre le
destre lo accusavano di essere un sindaco no-global. La nostra coerenza
sta dunque proprio nella nostra internità a un movimento che è fatto
costitutivo della sinistra alternativa europea che vogliamo costruire.
Forse non abbiamo convinto qualcuno de Il Riformista, e ce ne dispiace
davvero, ma ci accontentiamo delle numerosissime telefonate di ragazze e
ragazzi, molti presenti a Genova durante il G8 e altri no, ma che in
quelle giornate trovano un riferimento simbolico.