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di Mario Vitiello (ATTAC Milano)
Le dinamiche nascoste dietro le lotte dei lavoratori del trasporto pubblico
locale.
Gli scioperi dei mezzi pubblici di dicembre e gennaio hanno messo in
evidenza molti elementi, alcuni evidenti, altri poco conosciuti, da
considerare nel loro insieme se si vuole inquadrare la vicenda in uno
scenario più ampio. Va detto prima di tutto che la lotta dei lavoratori
autoferrotranvieri è pienamente riuscita. Ha calamitato l’attenzione
generale ed ha dato riconoscibilità agli occhi di un’opinione pubblica
distratta o meglio manipolata; ha sbloccato infine una situazione di impasse
nella contrattazione, anche se ha portato al brutto accordo raggiunto dai
sindacati confederali il 20 dicembre, che probabilmente non sarà accettato
dai lavoratori.
Ma è su altri piani che gli scioperi hanno avuto un effetto "politico".
Innanzi tutto sul piano della consapevolezza dei lavoratori, che hanno
scioperato compatti, con adesioni vicine al 100%, dando prova della capacità
di gestire le lotte in modo unitario, spesso scavalcando gli stessi
sindacati confederali.
Poi sul piano della presa di coscienza degli utenti, che non hanno troppo
protestato per il servizio soppresso. Anzi, in svariati modi, hanno
manifestato solidarietà, e se si escludono alcune deliranti prese di
posizione di alcune associazioni di consumatori, si sono schierati
decisamente dalla parte dei lavoratori in lotta. La raffica di scioperi ha
quindi già raggiunto un risultato politico di notevole livello, soprattutto
considerato il quadro di riferimento normativo (L. 146/90) ed il panorama di
impoverimento e devastazione sociale prodotto dal governo di centro-destra.
Gli scioperi hanno risentito però di un limite. Sia nelle interviste di
lavoratori in agitazione sia in quelle di utenti e cittadini, consapevoli e
partecipi, sono emersi con chiarezza il dato del salario (gli 800 euro del
lavoratore ATM) e dell’orario di lavoro (per la proposta ATM-Comune di
Milano di modificare pause e recuperi), ma nella maggior parte dei commenti
non si è parlato delle cosiddette "situazioni al contorno", cioè delle
dinamiche di privatizzazione del Trasporto Pubblico Locale e della riforma
in atto.
Vale la pena fare alcune considerazioni su come si è giunti alla situazione
attuale. Con l’emanazione della L. 422/97 di riforma del Trasporto Pubblico
Locale è venuto meno il sistema di riferimento della L. 151/81, ed è
cambiata la natura delle Aziende di Trasporto che da Consorzi o
Municipalizzate sono diventate società di capitali, cioè S.p.A. La 422,
cosiddetta Burlando, più volte modificata, prevedeva che in tempi più o meno
definiti le nuove SpA avrebbero dovuto essere messe sul mercato, cioè cedute
a privati per mezzo di gare, col meccanismo dell’offerta più vantaggiosa, e
sottoposte alla "cura dimagrante" della privatizzazione.
La riforma, vien quasi da dire per fortuna, non sta andando come Burlando
prima, e Berlusconi poi, hanno sperato. Le amministrazioni, che devono
predisporre i capitolati e definire i requisiti minimi per il servizio
pubblico, fanno fatica a preparare la documentazione e ad avviare le
procedure di gara. Le gare stesse vanno deserte, perché non è facile capire
il valore reale di una azienda di trasporto, tra impianti, mezzi e
personale. A volte, piuttosto spesso in verità, risponde al bando solo la
società che sta gestendo il servizio ("incumbent" in gergo), da sola oppure
in ATI con altre società di frequente più piccole.
Il meccanismo della privatizzazione ha come primo effetto, oggi davvero
visibile, il taglio del costo del lavoro, che rappresenta una quota
consistente dei costi di una azienda di trasporto. I lavoratori sono i primi
a pagare le conseguenze, in termini non solo di salari ma anche di
precarizzazione, di contratti flessibili, di orari più duri, di condizioni
di lavoro peggiori. Il fine dichiarato dei soggetti privati che partecipano
alle gare è la riduzione del numero dei lavoratori, la riduzione delle
retribuzioni e l’aumento dei turni e dei carichi lavorativi. I sindacati
sono anch’essi nel mirino, e l’esternalizzazione di numerosi funzioni ha tra
gli obiettivi anche quello di frammentare la partecipazione e l’appartenenza
a organizzazioni sindacali.
Altro elemento che sta subendo sempre maggiori attacchi è la sicurezza, ed i
recenti incidenti ferroviari ne sono la testimonianza. Minor sicurezza
innanzi tutto per i lavoratori delle aziende di trasporto pubblico, che
pagano le più gravi conseguenze, e minor sicurezza per gli utenti, che
viaggeranno su mezzi fragili, vecchi, oppure nuovi ma sottoposti a programmi
di manutenzione sempre più snelli (come sta già avvenendo con gli aerei,
settore liberalizzato da più tempo).
Ma probabilmente anche altri aspetti, più specificatamente tecnici,
subiranno progressivi deterioramenti: la regolarità dell’esercizio, che
viene premiata nei contratti di servizio ma che non viene sostenuta con
strumenti adeguati, ad esempio con investimenti negli impianti di
regolazione dell’esercizio o nell’istruzione del personale, oppure le
funzioni di intermodalità, perché la presenza di un elevato numero di
operatori, in concorrenza tra loro, è per definizione in antitesi con la
possibilità di effettuare scambi modali rapidi ed efficienti (vedasi ad
esempio l’introduzione sempre più fitta di tornelli e porte automatiche,
necessari per ripartire gli incassi tra i diversi operatori, che rendono
difficoltoso lo smaltimento dei flussi e la libera circolazione delle
persone).
Infine la riforma del TPL, con la liberalizzazione e la privatizzazione,
avrà effetti non secondari dal punto di vista ambientale, perché la logica
del profitto, che i nuovi gestori privati dovranno seguire per loro stessa
natura, è in contrapposizione netta con la scelta di politiche di trasporto
non impattanti e sostenibili, che puntino a ridurre il numero dei veicoli
circolanti, a garantire collegamenti e mezzi anche dove non sono
remunerativi e concorrenziali.
Un ulteriore elemento riguarda la contraddizione in cui si trova ad esempio
ATM, come qualsiasi altra azienda di erogazione di un servizio pubblico, in
qualità di "Società per Azioni" pubblica. La forma societaria di SpA,
regolata dal diritto privato, prevede come obiettivo la chiusura del
bilancio in attivo, ed il Consiglio di Amministrazione risponde degli utili
prodotti di fronte all’azionista, che può essere anche un ente pubblico. Ma
che significa allora SpA pubblica?
Occorre chiarire che il "piano industriale" di una SpA, pur con un azionista
di riferimento "pubblico", mira a realizzare profitto, dividendi a fine
anno, e pone inevitabilmente in secondo piano il cittadino che ha bisogno di
un servizio pubblico di trasporto. "SpA pubblica" significa ad esempio che
ATM può concedersi operazioni quali l’acquisto di 10 milioni in bond Cirio,
rimettendoci circa 9 milioni di euro. Oppure consente, in modo
probabilmente non lecito, di non mettere a bilancio del 2003 la tassa
rifiuti, raggiungendo in tal modo un attivo che autorizza, tra l’altro,
l’erogazione di premi ai dirigenti alla fine dell’anno.
L’attivo di un’azienda che eroga un servizio pubblico deve invece misurarsi
nella capacità di garantire mezzi in un’ampia fascia oraria, nel consentire
spostamenti facili a chi non può permettersi l’automobile (o a chi non la
usa per scelta), nel facilitare l’utilizzo e l’accesso a tutti, nel
mantenere bassi i prezzi del biglietto e nel garantire una retribuzione
dignitosa ai propri dipendenti, nel mantenere un adeguato livello di
sicurezza e così via. In breve, si misura nell’utilità sociale del servizio
effettuato, che può, o forse deve, essere in passivo dal punto di vista
finanziario, e che quindi deve essere sostenuto dalla fiscalità generale.
In questo senso la difesa del Trasporto Pubblico Locale, e quindi di molti
servizi pubblici oggi a rischio privatizzazione, riguarda non solo il
modello di mobilità che vogliamo, ma anche il modello di città che
desideriamo. Decisamente un’altra cosa rispetto al "modello lombardo".
GRANELLO DI SABBIA (n°122)
Bollettino elettronico settimanale di ATTAC