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Rai? No grazie

Publie le giovedì 29 gennaio 2004 par Open-Publishing

Non metto in dubbio che perfino un mite critico come Ferruccio De Bortoli sia insopportabile per
la Rai, cosa che la dice lunga sulla sottomissione del servizio pubblico ai desiderata del governo.
Sottomissione che produce il regime non meno di quanto non sia prodotta.

Ma perché proporre
Ferruccio De Bortoli al posto di Biagi?

E perché avrebbe accettato di andarvi?

C’erano in Rai due
sbreghi scandalosi, lo spazio tolto a Michele Santoro e quello a Enzo Biagi. Non si doveva lasciarli in
evidenza?

Invece i democratici di sinistra cercano di mettervi delle toppe. Il giovane Floris lo
ha fatto con Ballarò, che è una men che modesta imitazione delle trasmissioni di Santoro e non c’è
leader dell’opposizione che non vi si precipiti trovando accanto a sé in nome, della più stupida
delle interpretazioni della par condicio, diversi esemplari più o meno impresentabili del governo.

Lucia Annunziata non fa del ritorno di Biagi una condizione della sua permanenza a presiedere la
Rai, ma propone De Bortoli per rattopparne il buco, tornando indirettamente sotto le ali di coloro
che gli hanno impedito di mandare avanti il Corriere. Lei stessa del resto si è precipitata a
garantire l’ingarantibile, avvertendo ogni tanto da quella postazione che quel cda non è del tutto
attendibile.

E che diavolo, non lo si sapeva? Non sarebbe grandemente oneroso lasciare l’attuale
dirigenza Rai a cuocere nel suo brodo. Tutto sommato i giornalisti non morirebbero di fame se
rifiutassero di metter piede nell’informazione del monopolio tv. Il guaio è che non lo fanno per la
pagnotta ma per la resa a due tesi dominanti: la prima è che se non vai in tv non esisti, e quindi
avanti a discutere con i berlusconiani se la sinistra non abbia troppo demonizzato il povero cavaliere.
La seconda ancora più subdola: se a quel posto non ci vado io ci va di sicuro uno peggio di me.

Dunque accetto per ridurre il pubblico danno. E’ con questo ragionamento che negli anni `30 il
fascismo avviluppò quasi tutti, antifascisti compresi, in quella rete nella quale Angelo D’Orsi
rimprovera anche all’intellettualità torinese, la più ferrata, di essere caduta. Senonché allora si era
davvero in un tunnel e se non accettavi te ne dovevi andare dall’Italia o da insegnante passare a
fare l’idraulico, da editore il cartolaio e da giornalista a compositore di tesi per laurea: anche
gente molto per bene si trovò di fronte al dilemma, cosa che gli viene aspramente rimproverata dai
virtuosi giovani che oggi scoprono, con giubilo della destra, quanto pochi eroi ebbe
l’antifascismo prima della resistenza. Se guardassero alla corsa verso le tv oltre che ai posti di deputato e
ai sottosegretariati, delle anime più corrusche della ex sinistra?

Oggi che, come ripetono non c’è
assolutamente un regime? Questo ragionamento sembra non andare a nessuno. Ma che pretendiamo, che
si lasci tutto lo spazio agli altri? Che ci si auto-escluda, che non si parli alla gente? Fingendo
di ignorare come da certi microfoni o da certe testate la più limpida voce finisca nel brusio di
fondo come una foglia di dragoncello in una minestra di porri finisce con l’aver sapore di porro.

Ci sono momenti nei quali bisogna dire no. E, visto che si parla tanto di non violenza, sarebbe una
bella cosa assediare di non violento silenzio la fortezza di stupidità che la Rai e Mediaset
propongono e che tra 20 anni ci appariranno fin assurde. Nessuno ci minaccia di fucilazione, la
diffusione della stampa scritta non è interdetta, e neppure quella della radio. Siamo imbambolati davanti
al potere tv come se fosse il Santo Graal: lo rende magico la nostra devozione.

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