Home > Reporter francesi, i rapitori chiedono il riscatto

Reporter francesi, i rapitori chiedono il riscatto

Publie le lunedì 6 settembre 2004 par Open-Publishing

di Toni Fontana

La liberazione dei due giornalisti francesi, Georges Malbrunot e Christian Chesnot, ostaggi in Iraq dal 20 agosto, si allontana. I rapitori appartenenti al «Esercito islamico» si sono fatti vivi con nuovo messaggio apparso su un sito islamico. Pongono tre precise condizioni da esaudire «nelle prossime 48 ore» (a partire da ieri) e lanciano oscuri messaggi. Pretendono un riscatto di cinque milioni di dollari, l’accettazione della «tregua con l’Europa» proposta da Bin Laden in un video divulgato nel mese di aprile, e l’assicurazione che Parigi non manterrà alcuna collaborazione militare ed economica con il governo di Baghdad. Il governo francese ed anche le fonti dell’intelligence che solitamente analizzano i messaggi che appaiono sul sito www.islamic-minbar.com, si sbilanciano sull’autenticità del comunicato firmato dal «comando superiore» che, se confermata, segnerebbe una drammatica svolta nell’ingarbugliata vicenda che vede protagonisti i due reporter. Ieri sera il premier Raffarin ha anzi fatto notare che «l’autenticità non è stata provata ed il documento ispira molto scetticismo agli esperti».

Il capo del governo di Parigi ha anche aggiunto che il presunto messaggio dei rapitori «non rimette in causa» la fiducia in una conclusione positiva della vicenda. Una tesi sostenuta anche dal ministro degli Esteri Barnier.
Se invece il documento risulterà vero ciò vorrebbe dire che i terroristi hanno cambiato strategia abbandonando la richiesta, rivolta a Parigi, si abolire la legge sul velo, e, per prima cosa, pretenderebbero una forte somma. I sequestratori sostengono inoltre di essere i messaggeri di Bin Laden. Il 15 aprile scorso, in un video trasmesso dalle emittenti Al Jazira ed Al Arabiya, il capo della rete del terrore, propose una sorta di «tregua», cioè la sospensione degli attacchi terroristici in Europa. Nessun governo accettò il ricatto. Ora i terroristi esigono che sia la Francia a rompere la solidarietà tra i paesi occidentali, ma Parigi non è certo disposta a cedere sul questo terreno. La richiesta di riscatto appare invece molto realistica; non a caso fonti diplomatiche ufficiose francesi, si sono affrettate a specificare che «non è giunta alcuna richiesta» almeno attraverso i canali utilizzati finora.

Il messaggio contiene molte ambiguità e alcuni misteriosi messaggi. I terroristi dicono che la Francia deve accettare «almeno una» delle tre condizioni e ciò può far ritenere che il loro vero obiettivo sia quello di ottenere il forte riscatto richiesto. Il comunicato dell’«Esercito islamico» non contiene nuove minacce per la vita degli ostaggi e non chiude la porta ad un possibile esito positivo ricordando che i due reporter stavano per essere liberati nei giorni scorsi. Questa affermazione è seguita da un’oscuro messaggio. I terroristi sostengono infatti che i due giornalisti non sono stati liberati perché è iniziato l’attacco americano su Latifiya, la zona a sud di Baghdad dove, si presume, sono stati sequestrati il 20 agosto. In tal modo «l’Esercito islamico» scarica sul comando Usa la responsabilità del mancato rilascio con l’evidente obiettivo di esacerbare ulteriormente i già tesi rapporti tra Parigi e Washington.

I generali americani hanno tuttavia altri problemi da affrontare urgentemente. Nel triangolo sunnita, dove forse sono stati nascosti i due i due reporter francesi, la guerriglia ha lanciato una nuova offensiva contro i marines. Ieri è esplosa un’autobomba a Saqlawiya a metà strada tra la capitale e la città ribelle di Falluja. Due «humvee», le grandi jeep in uso nell’esercito americano, sono state investite dallo scoppio e sette soldati statunitensi e tre poliziotti iracheni sono morti dilaniati. La zona dell’agguato è stata teatro di innumerevoli attacchi contro le forze Usa al punto che, tra i militari, viene denominata «camp suicide». Con la nuova strage il conto delle perdite americane in Iraq sale a 986. Quella di ieri è stata la giornata più sanguinosa per le truppe Usa da quando, il 28 giugno, è stato formalmente restituito il potere agli iracheni.

Il governo di Baghdad ed i generali americani debbono anche cercare di archiviare rapidamente il «caso al Douri». L’esame del Dna ha infatti stabilito senza ombra di dubbio che l’arrestato dopo la battaglia di Tikrit non è l’ex numero due del regime, ma «ad un suo familiare». Izzat Ibrahim al Douri, il più stretto collaboratore di Saddam, è considerato il regista della guerriglia sunnita e la sua cattura è stata data per imminente o già avvenuta innumerevoli volte. Domenica però la cattura dell’ex gerarca era stata data per certa da esponenti del governo di Baghdad che ieri hanno dovuto fare una precipitosa marcia indietro. Colpi di mortaio caduti nella capitale e nuovi sabotaggi agli oleodotti completano il disastroso quadro della giornata, mentre dagli Usa (ne parla il Los Angeles Times) giungono nuove voci sul possibile svolgimento delle elezioni, previste nel gennaio 2005, solamente in alcune zone escludendo dalla consultazione il triangolo sunnita ed altre regioni.

http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=37514