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Ebbene, si’, credo che i termini della questione siano assai seri, sicuramente piu’ seri di come complessivamente il "movimento" nelle sue varie articolazioni se ne occupi.
La vicenda dei disobbedienti romani, anche se ho apprezzato l’ultimo loro documento non solo per alcune coraggiose autocritiche ma anche per la capacita’ di sottrarsi alla spirale lotta-repressione-lotta alla repressione, e’ comunque rimasta, dopo la prima manifestazione, senza sostanziale risposta.
La stessa vicenda cosentina - l’unica a cui si riusci’ a dare una risposta di massa ed a carattere nazionale che riusci’ a liberare in pochi giorni i compagni - e’ stata vissuta, nelle tappe successive, come un qualcosa di "privato" che riguardava al massimo i compagni da Roma in giu’.
Per non parlare del fatto "privatissimo" che e’ diventata la questione dei compagni sotto processo a Genova per "reati specifici" che sarebbero stati compiuti nelle giornate del luglio 2001.
Anche la storia degli anarchici viterbesi, anche se certo non ha aiutato la solidarieta’ nei loro confronti l’atteggiamento degli "europpositori" sempre pronti ad accusare tutti di infamita’, rimane dello stesso segno.
E credo soprattutto che, dopo Genova, e’ mancata un’analisi complessiva del fenomeno.
Fenomeno che peraltro, sia pure in forma meno virulenta, ha riguardato anche le lotte sociali nonche’ ambienti non riconducibili all’antagonismo politico "tout court".
Dalle iniziative di schedatura degli scioperanti, alle pressioni sbirresche rispetto alla battaglia della Fiom sui pre-contratti, fino ai procedimenti in corso sulle lotte di tramvieri ed aeroportuali, anche se in questa fase mi sembra preponderante il tentativo di "recupero" confederale con accordini locali (anche a Roma, con Storace che ha riempito la citta’ di manifesti che esaltano la "bonta’" della regione Lazio nei confronti dei tramvieri, spacciando peraltro cifre annuali di salario per mensili).
E non trascurerei - senza troppe "puzze sotto il naso" - anche una ripresa di episodi di repressione "selvaggia" all’interno degli stadi, con i Canterini-boys, dopo Genova messi un po’ da parte, che si stanno esercitando assai ogni domenica ( significative le cariche a Roma contro gli ultras genovesi, che avevano avuto un ruolo non indifferente nella resistenza genovese in Via Tolemaide e Piazza Alimonda).
Poco mi interessa in questa sede avventurarmi in un ’analisi che si domandi se tutto cio’ risponda ad una visione repressiva "globale"- in linea con la guerra infinita di Bush - o sia piu’ figlio di un oggettivo "fascistume", un tantino piu’ provinciale, che pervade questo governo( vedi pure le varie censure televisive e le allucinanti esternazioni del Cavaliere e dell’orrido Baget-Bozzo).
Non che un’analisi di questo tipo sarebbe inutile, visto che giustamente si fa notare che la storia comincia nel 2001 a Napoli con ancora l’Ulivo al Governo, ma credo che in questa fase sarebbe prioritaria una coscienza complessiva del fenomeno da parte del "movimento" ed una capacita’ di risposta, nonostante le evidenti frantumazioni di carattere generale, altrettanto complessiva, visto che "Monsieur le Capital" non sta certo risparmiando - anzi tutt’ altro - anche le ali piu’ "dialoganti" del movimento medesimo.
Ma allora anche la domanda diventa piu’ complessiva : esiste ancora il movimento ?
Piero Bernocchi ha fatto giustamente notare che nell’ esplodere delle nuove "effervescenze sociali", da Scanzano ai tramvieri, da Termoli agli aereoportuali alle battaglie contro la riforma Moratti, il ruolo del movimento, al di la’ di quello soggettivo di qualche "avanguardia" - che termine obsoleto, come mi e’ venuto ? - che vive quelle situazioni, e’ stato del tutto inesistente.
Credo appunto che questa sia la vera domanda da porsi.
Vedo infatti troppe situazioni e singoli compagni tutte "politicisticamente" tese/tesi a costruire mobilitazioni, senz’altro sacrosante, sui temi internazionali - spesso cercando in questo visibilita’ individuali o di gruppetto che con la lotta contro la guerra c’entrano assai poco - ed al tempo stesso una incapacita’ e spesso persino una soggettiva non volonta’ di attrezzarsi per fare le lotte nelle nostre situazioni di vita quotidiana.