Home > Ricchi sempre più ricchi
Per l’Unità la sinistra italiana sui temi del Wto è immobile. Si muove tra le altre organizzazioni Rete Lilliput.
Di Piero Sansonetti
I paesi ricchi, che erano stati sconfitti al vertice del Wto di Cancun un anno fa, hanno ottenuto la rivincita in questi giorni a Ginevra: hanno piegato la resistenza dei paesi poveri, hanno salvato gran parte delle norme che avvantaggiano la propria agricoltura su quella africana e dell’America Latina, hanno sbloccato il processo di privatizzazione - e di colonizzazione - dei servizi pubblici, che è la posta in gioco vera della globalizzazione.
Non è una buona notizia. È un altro passo verso la concentrazione delle ricchezze in occidente e l’aumento del divario tra ricchi e poveri. Per l’Africa, per vaste zone dell’America latina, per i paesi più deboli dell’Asia, il futuro diventa un po’ più difficile. La ventata liberista che si era affievolita negli ultimi cinque anni - dalla rivolta di Seattle in poi - e aveva molto rallentato la sua velocità, ha ripreso a soffiare con la forza degli anni 90.
Il colpo di mano di Ginevra è avvenuto nella notte tra il 31 luglio e il primo agosto. È stato riportato dai giornali italiani in modo molto incompleto: i giornali hanno sottolineato solo una delle tante conseguenze dell’accordo, e cioè il probabile crollo dei prezzi dei prodotti agricoli nei supermercati dell’occidente. È vero, una riduzione dei prezzi per i prodotti agricoli è prevedibile; ma come sempre succede, se qualcuno ci guadagna qualcuno ci rimette. Ci guadagniamo noi consumatori occidentali (ci guadagnano anche le multinazionali: molto), pagano i piccoli agricoltori del terzo mondo. È sembrata questa la soluzione più ragionevole.
I giornali italiani hanno parlato di fine delle sovvenzioni statali alle agricolture americane e europee, ma questo purtroppo non è vero.
A Ginevra si è deciso non di tagliare le sovvenzioni alle agricolture occidentali, ma di modificarne le procedure. Le sovvenzioni statali alle agricolture sono la ragione principale della sofferenza delle agricolture nel sud del mondo. È chiaro che chi produce con l’aiuto economico dello Stato fa concorrenza sleale a chi queste sovvenzioni non le riceve. E così l’agricoltura e l’allevamento in terra statunitense o europea sono molto più vantaggiosi dell’agricoltura o dell’allevamento in Africa, perché i governi spendono molti soldi statali per sovvenzionare agricoltori e allevatori europei e americani. Come potrebbero mai, la maggior parte dei prodotti dei paesi in via di sviluppo, finire sui nostri mercati a prezzi vantaggiosi?
Così è successo che i paesi poveri avevano deciso di ribellarsi. Quando i paesi ricchi hanno chiesto che si procedesse in sede di Wto (l’organizzazione del commercio mondiale, uno dei grandi santuari del liberismo anni 90) alla privatizzazione dei servizi (scuola, acqua, sanità: insomma, la nostra vita) i paesi poveri hanno detto: «Non se ne fa niente se prima America e Europa non rinunciano al protezionismo delle loro agricolture». Su questa linea, giusto un anno fa (quando il Wto si è riunito a Cancun) si sono trovati 20 paesi, guidati da India, Cina, Brasile e Sudafrica, cioè quattro giganti che ospitano circa la metà della popolazione mondiale. I venti paesi hanno dato vita a un G-20 che ha piegato il G-8. È stata la prima vittoria dei poveri contro i ricchi. Ed è stata ottenuta anche grazie alla spinta, che negli anni precedenti era stata formidabile, del movimento no global.
Ma è durata poco quella vittoria. Gli americani e gli europei si sono messi al lavoro, hanno mosso le diplomazie e i soldi delle multinazionali, e in meno di un anno hanno rotto il fronte. Quest’estate sono riusciti a formare un nuovo gruppo di cinque paesi, al quale è stato dato il compito di trovare una mediazione tra ricchi e poveri. Come spesso succede in questi casi, la mediazione trovata è decisamente a vantaggio di ricchi. Il gruppo, privo di qualunque legittimazione ragionevole, è stato definito il “non-gruppo dei cinque”, con un’autoironia probabilmente involontaria. È un gruppo costituito da Usa, Europa, Australia più due del vecchio G-20, cioè Brasile e India. Alla fine di un lungo negoziato si è sbloccata l’impasse di Cancun: India e Brasile hanno ceduto, ottenendo dei vantaggi per sé in cambio del triplo via libera a Usa e Europa. Via libera sull’agricoltura, via libera sulla caduta delle dogane, via libera sulla privatizzazione dei sevizi.
I giornali hanno detto che la caduta delle dogane danneggerà i paesi poveri (che finora si proteggevano dalla concorrenza sleale statunitense e europea imponendo forti tasse sui prodotti stranieri, e ora non potranno più farlo) ma la fine delle sovvenzioni ai paesi ricchi aiuterà i poveri ponendo fine alla concorrenza statale. E quindi costi e benefici si riequilibreranno. Invece non è così.
Le sovvenzioni alle agricolture dell’occidente erano state classificate in tre tipi di sovvenzioni. Quelle della scatola blu, che sono considerate poco nocive alla libera concorrenza; quelle della scatola verde, che sono considerate per niente nocive; e quelle della scatola gialla (cioè la maggior parte delle sovvenzioni americane ed europee) che sono considerate molto nocive. Il primo agosto le sovvenzioni della scatola gialla sono state abolite. Però il 31 luglio erano state modificate le scatole, e la maggior parte delle sovvenzioni americane dalla scatola gialla erano passate alla scatola blu, mentre la maggior parte delle sovvenzioni europee erano state trasferite dalla scatola gialla a quella verde.
Alla fine le uniche sovvenzioni davvero cancellate sono quelle che in gergo di chiamano “de minimis”, cioè quelle ai piccoli agricoltori. Che se vorranno riaverle dovranno trasformare le loro imprese in imprese industriali. Risultato: le multinazionali sono salve, continueranno a fare concorrenza sleale, saranno aiutate dagli Stati, e per di più avranno anche gioco facile a fagocitare le piccole imprese. Paesi grandi come India e Brasile non avranno grandi vantaggi, ma limiteranno i danni, data l’enorme mole dei loro prodotti e vista la liberalizzazione delle frontiere.
E poi portano a casa il risultato politico: quello di essersi seduti al tavolo dei grandi, di aver trattato da pari a pari, di avere conquistato dei crediti di riconoscenza nei confronti delle multinazionali. I prezzi dei prodotti agricoli effettivamente scenderanno, perché aumenterà la concorrenza. Gli agricoltori dei paesi più piccoli e più poveri saranno invece sempre di più strangolati.
E intanto si è anche sbloccata la trattativa per la liberalizzazione dei servizi. Si è deciso che entro il prossimo maggio tutti i paesi del mondo dovranno presentare al Wto le proprie offerte per la privatizzazione dei servizi pubblici. L’obiettivo è quello di una progressiva trasferimento alle multinazionali del controllo di tutti i servizi, cioè dei beni comuni dell’umanità. Per bere bisognerà chiedere alle multinazionali, per curarsi bisognerà chiedere alle multinazionali, per andare a scuola, per accendere la luce, per prendere il treno...
L’accordo di Ginevra, se non troverà ostacoli, sarà il rilancio in grande stile del capitalismo aggressivo e totale che in questi anni era apparso in difficoltà. I tempi nei quali si deciderà tutto sono abbastanza stretti: un anno e mezzo. Il programma è quello di arrivare alla conclusione delle trattative e alla realizzazione dei nuovi assetti economici del mondo entro il dicembre del 2005, quando è fissato un vertice che si terrà ad Hong Kong. La sinistra è interessata a questa battaglia?
Per ora non si è mosso nessuno. Si sono mosse solo organizzazioni come “Rete Lilliput”, “Campagna per la riforma della Banca Mondiale”, “Mani tese”, “Roba dell’altro mondo”, “Beati cotruttori di Pace”. Sono le uniche organizzazioni a fornire informazioni a riguardo. Forse le tendenze del capitalismo mondiale non sono considerate, al momento, materia per la Politica alta.