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Riflettori a Guantanamo crimini di guerra, ipotizza la Croce Rossa
Publie le venerdì 6 agosto 2004 par Open-Publishingdi MARINA FORTI
Cinque detenuti del campo di Guantanamo, la base navale degli Stati uniti in territorio di Cuba, hanno rifiutato di partecipare all’udienza di un «comitato di revisione» che doveva esaminare i loro casi, ovvero stabilire se la loro detenzione è legittima. Il giorno prima, tre cittadini britannici appena rilasciati dal medesimo campo di Guantanamo e rientrati in Gran Bretagna hanno diffuso un dossier in cui raccontano in modo dettagliato pestaggi e abusi. Il Comitato internazionale per la Croce Rossa (Cicr), che di solito si astiene da commenti, ha dichiarato: se confermati, quegli abusi «costituiscono una violazione delle Convenzioni di Ginevra», cioè un «crimine di guerra». Insomma: i riflettori finalmente si accendono su un campo di detenzione che molti hanno definito un «buco nero del diritto». Il Review Panel (comitato di revisione) di Guantanamo ha cominciato il suo lavoro il 31 luglio, una settimana fa. Deve riesaminare singolarmente i casi dei 585 uomini là detenuti e stabilire se la loro detenzione è motivata.
E’ la prima conseguenza della sentenza emessa dalla Corte Suprema in giugno, secondo cui i «cittadini stranieri detenuti in connessione a ostilità e incarcerati a Guantanamo hanno diritto di appellarsi ai tribunali degli Stati uniti contro la propria detenzione». La Corte accoglieva così il ricorso presentato dagli avvocati del Centre for Constitutional Rights a nome di alcuni detenuti. In pratica, anche degli stranieri considerati dal governo americano «nemici combattenti» (e non «prigionieri di guerra») hanno diritto a quelle garanzie giuridiche fondamentali che vanno sotto il nome di habeas corpus - e poiché sono detenuti in territorio sotto la giurisdizione Usa hanno diritto a fare appello contro la propria detenzione ai tribunali civili degli Stati uniti. Il Pentagono ha così cominciato la sua «revisione», forse per prevenire ricorsi e sentenze critiche.
Fino a ieri il Review Panel aveva esaminato i casi di otto persone: di cui però cinque hanno rifiutato di presentarsi all’udienza. Questo rende molto difficile per i vertici militari sostenere la legittimità di quella sorta di mini-tribunale. Il segretario alla marina militare Usa Gordon England ieri ha insistito che quelle udienze sono «professionali» e «corrette». Il Review Panel, ha detto, è stato istituito proprio per ottemperare alle Convenzioni di Ginevra: «Permettiamo ai detenuti di presentarsi all’udienza e sostenere le proprie ragioni, con una persona che lavori con loro». E però questa persona non è un avvocato civile, bensì un «rappresentante personale» (un militare) d’ufficio: il Pentagono sostiene che non hanno bisogno di un avvocato, poiché si tratta solo di una procedura amministrativa. Hanno «perfino» ammesso alle udienze un piccolo gruppo di giornalisti.
Ma sono in molti a chiedersi se questo comitato, presieduto da tre militari, basti a ristabilire la legalità nella situazione di Guantanamo. Ne dubita Aryeh Neier, presidente del Open Society Institute, che abbiamo raggiunto al tenefono negli Stati uniti: «Il Review Panel è un primo passo, ma molto limitato. C’è da chiedersi se è davvero un tribunale indipendente come vorrebbero le Convenzioni di Ginevra. E poi: è vero che non è un procedimento penale, ma quei detenuti hanno diritto a un avvocato: sono là dentro ormai da oltre due anni senza poter fare valere i propri diritti in nessun modo». Certo, c’è la sentenza della Corte Suprema: «Ma resta da fare molto per ristabilire la legalità. Mi stupisco che la Corte non sia intervenuta prima. Ma è nella tradizione: interviene sempre quando ormai non può farne a meno».
Intanto, tre britannici rilasciati da Guantanamo sostengono di aver ammesso legami con al Qaeda sotto la forzatura di botte e maltrattamenti. Mercoledì i «tre di Tipton» - così chiamati dal nome della cittadina inglese in cui risiedevano prima di andare in Afghanistan, dove sono stati catturati nel 2002 - hanno diffuso un dossier di 115 pagine per descrivere il trattamento subìto a Guantanamo: pichiati, messi in catene in posizioni difficili da mantenere, deprivati del sonno, sottoposti a ispezioni anali dolorose, fotografati nudi, intimidati con i cani, uno di loro interrogato per tre ore mentre gli tenevano un fucile puntato alla testa. Interpellata dal quotidiano The Guardian, una portavoce del Comitato Internazionale per la Croce Rossa ha detto che se confermato, questa è «una grave violazione della terza Convenzione di Ginevra, cioè qualcosa spesso descritto come crimine di guerra».
Sono parole inusuali da parte del Comitato internazionale per la Croce Rossa, fa notare Aryeh Neier - che ha presieduto la American Civil Liberties Union e poi partecipato a fondare Human Rights Watch). Il Cicr «di solito non commenta pubblicamente. Le ispezioni a Guantanamo erano sotto la responsabilità dell’ufficio di Washington del Cicr, il cui direttore si è dimesso di recente. E’ un’autorità in fatto di crimini di guerra, e anche molto prudente. Voglio dire: se il Comitato internazionale per la Croce rossa si sente di fare un’affermazione del genere è segno di qualcosa di molto serio».
Userebbe la parola tortura per descrivere quello che è avvenuto a Guantanamo? «Nel caso di Abu Ghreib non c’è dubbio: quello che abbiamno visto rientra nella definizione di `tortura’ contenuta nelle Convenzioni di Ginevra, fanno riferimento a torture mentali e fisiche. Cosa sia avvenuto a Guantanamo non sappiamo ancora di preciso. Sappiamo però che la persona in comando a Guantanamo ha partecipato a scrivere le procedure per gli interrogatori a Abu Ghreib, così non mi stupirei».