Home > SISDE «Br e antagonisti, un unico arco»
L’accusa: «Contatti» tra disobbedienti, anarchici e brigatisti
ROMA - Un unico arco di antagonismo che va dalle Brigate rosse ai
Disobbedienti, passando per gli anarco-insurrezionalisti. E’ questa la
mappa che il direttore del Sisde Mario Mori ha inserito nella «52 esima
relazione semestrale sulla politica informativa e della sicurezza» appena
presentata al parlamento. Un quadro che nel testo reso pubblico ieri è
appena abbozzato, ma di cui il prefetto ha parlato chiaramente durante
l’audizione al Copaco. La tesi di fondo è presto detta: il quadro di
conflitti sociali in atto nel paese produce e in alcuni casi entra in
contatto con un’ampia area antagonista. Di essa farebbero parte i centri
sociali, i sindacati più radicali, i Disobbedienti, gli anarchici e anche
le nuove Brigate rosse. Un unico arco, che comprende gradi di «attivismo»
diversi: a un polo le Br, che sparano, e all’altro i Disobbedienti che
compiono azioni «di piazza». In mezzo ci sarebbero gli
«anarco-insurrezionalisti» e i loro pacchi bomba.
E’ per questo motivo che tutto questo quadro di diverse sfumature oggi
sarebbe al centro dell’interesse dei servizi italiani. Che tengono
sott’occhio tutto ma si dicono particolarmente preoccupati dai punti di
contatto tra le lotte sociali più «aggressive» degli ultimi mesi e i
movimenti antagonisti. L’attenzione è centrata in particolare sul nord-est
e su Milano. Padova è la base di appoggio dei Disobbedienti, mentre nel
capoluogo lombardo alcuni collettivi si sono messi in evidenza per aver
tentato un contatto con i tranvieri dello «sciopero selvaggio».
«Capillare attività informativa - si legge nella relazione semestrale - è
stata sviluppata nell’eventualità che a fronte della sconfitta dell’area
militarista (delle Br, ndr) possano guadagnare nuove potenzialità quegli
orientamenti che si rifanno alla cosiddetta seconda posizione delle
Brigate rosse: una prassi di propaganda armata che ricerca il dialogo con
le masse individuando come referenti non solo gli operai ma anche il
cosiddetto proletariato extralegale. Queste teorie rilanciate da gruppi
clandestini del milanese sono particolarmente insidiose in quanto capaci
di attirare consensi negli ambienti radicali dell’antagonismo, in una fase
oltretutto segnata dal reiterarsi di gesti intimidatori, anche con la
comparsa di stelle a cinque punte». Insomma, il contatto con i lavoratori
in lotta e le inchieste sociali prodotte da alcuni centri sociali
dell’«ala dura» milanese potrebbero essere, secondo il Sisde, un vero e
proprio «tentativo di reclutamento» anche in vista di strategie eversive.
La tesi di Mori è stata confermata nella sostanza anche dal capo della
polizia Gianni De Gennaro, arrivato ieri in commissione. Il prefetto ha
analizzato un anno, il 2003, costellato da più di 7000 manifestazioni,
mettendo in evidenza come quasi tutte si siano svolte senza incidenti. «Il
quadro è decisamente più disteso che in passato», avrebbe detto De
Gennaro, «merito sia delle azioni delle forze dell’ordine che dei gruppi
organizzati che scendono in piazza». Anche per la polizia, però, gli
elementi di preoccupazione sarebbero gli stessi sottolineati dal Sisde.
Un pezzo consistente della relazione semestrale dei servizi è dedicata
alla presenza del terrorismo internazionale in Italia. Nonostante i tanti
processi andati a vuoto in cui i possibili kamikaze sono stati sempre
assolti almeno dall’accusa di essere terroristi, secondo il Sisde le
cellule di Al Qaeda ci sono e sono attive. «Si tratta - dicono i servizi -
di cellule concentrate a Milano, Cremona, Parma e Reggio Emilia, in cui si
muovono soggetti con pregressa esperienza "militare"» e personaggi di
elevato spessore eversivo. Da questi ambienti, secondo l’intelligence, i
terroristi avrebbero operato in favore della cosiddetta «campagna
irachena» e ciò dimostrerebbe «l’insidiosità degli elementi attivi nei
nostri confini». Sotto l’occhio dei servizi ci sarebbero soprattutto
alcuni leader religiosi di inclinazione «integralista» che in Italia
«propagano temi antioccidentali nei circuiti dei centri islamici».
dal Manifesto