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Zipponi, segretario Fiom di Milano: «Arese è solo la punta di un iceberg»
di Roberto Farneti
«Arese è la punta di un iceberg che si chiama Fiat Auto». Maurizio Zipponi, segretario
della Fiom di Milano, non ha dubbi: quello che sta accadendo all’Alfa Romeo 500 cassintegrati delle Carrozzerie licenziati a fine anno e chiusura dello stabilimento «è solo una puntata di un film purtroppo già scritto, che prevede nel giro
di pochi mesi, da qui alla metà del 2005, la scomparsa della fabbrica di auto
italiana».
Un allarme fatto suonare in passato a più riprese dal sindacato dei metalmeccanici
Cgil ma rimasto inascoltato. C’è voluto il nuovo piano illustrato lo scorso 6
ottobre dall’amministratore delegato Herbert Demel (trasferimento all’estero
della produzione del motore Torque, rinuncia alla competizione sui modelli medio-alti) per far aprire gli occhi anche a Fim Uilm e Fismic.
Risultato: dopo due anni, i sindacati torneranno a scioperare uniti. Tutti i lavoratori dell’auto e dell’indotto incroceranno le braccia per quattro ore il prossimo 5 novembre, ma già domani Mirafiori si fermerà due ore per ciascun turno, a sostegno della piattaforma rivendicativa che richiede un nuovo modello, un nuovo motore e un nuovo cambio da costruire nell’impianto torinese.
Il problema è tuttavia più generale e nasce dal fatto che la Fiat ha smesso da tempo di investire sull’auto, avendo scelto di dedicarsi a altri settori, ritenuti più remunerativi. Per Zipponi, l’unico modo per cambiare il finale del film, giunti a questo punto, è cambiare "il regista". Ovvero: sottrarre alla famiglia Agnelli la proprietà della principale industria italiana per metterla in mani pubbliche, sul modello tedesco della Volkswagen.
Luca di Montezemolo nei giorni scorsi ha detto: «Sull’Alfa in passato sono stati commessi degli errori». Parole sincere o il nuovo presidente di Fiat e Confindustria è già entrato nella parte?
Sarebbero sincere se, riconoscendo gli errori commessi, Montezemolo si proponesse poi di trarne le conseguenze, lavorando per evitare drammi industriali e sociali. Dal momento che si conferma la chiusura di Arese è evidente che sono lacrime di coccodrillo.
La Fiat non mostra interesse neanche per il nascente polo della mobilità sostenibile...
Fiat Auto è in crisi in quanto non ha modelli competitivi, rinuncia alla gamma medio alta, quella che dà redditività all’impresa, produce nel bilancio economico anche del 2004 una gravissima perdita finanziaria. Quindi è evidente che, non avendo più risorse per finanziare ricerca e innovazione, oggettivamente è fuori dal previsto "polo della mobilità sostenibile", il cui progetto verrà presentato domani (oggi ndr) in Regione Lombardia dall’Enea. Si tratta di un progetto collegato con quello europeo di ricerca delle fonti alternative e che richiamerà a Arese enormi risorse finanziarie pubbliche. Il problema è che la Fiat non è nelle condizioni di intercettare queste risorse perché ha rinunciato a progettare nuove automobili compatibili con l’ambiente. L’unica cosa che la casa automobilistica italiana ha saputo produrre in questi anni sono amministratori delegati che se ne vanno con laute liquidazioni - siamo al quarto in due anni -, tanto è vero che tutti gli stabilimenti sono interessati da profondi processi di cassa integrazione.
Per descrivere la parabola di Fiat hai parlato di film già scritto. Che possibilità ci sono di cambiare il finale?
Per vedere un altro film bisogna riscrivere il copione, cambiare il regista e gli attori. Tradotto, significa guardare all’esempio della Volkswagen, come modello di intervento pubblico dello Stato e delle Regioni, le quali non devono "statalizzare" bensì indirizzare il rinnovamento di Fiat collegandolo ai bisogni sociali e collettivi e agli interessi della nazione. Vanno inoltre cambiati gli attori che hanno generato questo disastro, vale a dire la struttura manageriale di Fiat. Infine va messo in scena un film di lunga durata. Servono almeno tre anni infatti per rimettere in moto l’azienda dal punto di vista della ricerca di nuovi modelli e della tecnologia applicata ai motori e ai propellenti.
Per arrivare a questo c’è bisogno che il sindacato sappia fare la propria parte. Il fatto che dopo due anni si torni a scioperare uniti è un buon segnale?
Gli scioperi sono un fatto estremamente positivo, perché gli operai ripropongono la crisi della Fiat quale questione di interesse nazionale. Un paese che non ha un’industria automobilistica, che non fa ricerca nel campo dell’innovazione, dei modelli e dei prodotti ad altissima tecnologia, è un paese che abbassa l’insieme delle proprie ambizioni nel campo della globalizzazione. Oggi il rischio è che la Fiat finisca per essere divorata dalla General Motors, la quale è interessata solo all’acquisto di catene di montaggio per occupare una fettina di mercato.