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Su bombay

Publie le sabato 31 gennaio 2004 par Open-Publishing

Non avendo tempo e calma a Bombay, invio da Genova alcune mie impressioni e
riflessioni.

Arrivare a Bombay è come sbarcare in un altro mondo.Non quello "possibile"
ma -aimeh!- quello reali. Quello di capanne di cartone ai piedi degli
edifici residenziali, e -peggio- di intere famiglie che dormono, mangiano,
vivono(?) ai bordi delle dtrade, sotto le srcate delle sopraelevate, dove
si accumulano polvere, immondizie, fumi degli autobus stravecchi, dei
camios, dei mille risciotaxi, tra un clamore ininterrotto di clackson. Tra
loro i lebbrosi con il corpo deformato e consumato, una ciotola per
l’elemosina legata al braccio, se la mano non c’è.

Che cosa provare se non un insieme di impotenza, senso di colpa, rabbia...

Ci si aggrappa alla rabbia e si entra nell’altra faccia di questa India.

Nell’enorme spazio del Forum, l’India che ha sufficiente e nergia e
consapevolezza per esprimere la sua protesta, si mescola alla protesta del
mondo asiatico, alla nostra protesta.
I Dalit -gli intoccabili- esigono uguaglianza di diritti assieme ai
rifugiati del Tibet, del Nepal, degli omosessuali. Le donne gridano slogan
contro la violenza, indiane, giapponesi, coreane;etnie indigene passano a
salti con archie frecce, giapponesi con bastoni inprovvisano danze di
guerra, coetei di contadini e lavoratori sventolano striscioni e bandiere.
Parola d’ordine onnipresente.NO WAR! e su tutto il battito dei tamburi,
tanti, con ritmi di rabbia gioiosa.

ALL’INTERNO DEI CAPANNONI, I VOLONTARI DEL GRUPPO bABELE SI DANNO DA FARE
PER LE TRADUZIONI. MA COME TRADURRE NELLE MILLE LINGUE E DIALETTI
DELL’IMMENSA ASIA?

E incomincia a passare la voce: il Forum è fuori... E noi, occidentali del
primo mondo, stentiamo a scegliere tra una analisi del neoliberismo e un
rito dei Dalit, che ti prendono per mano a descrivere un cerchio attorno a
mille candele accese.

L’intervento di Bertinotti è importante in questo contesto, stabilisce un
rapporto tra la -Politica- dei partiti e la politica dei movimenti, apre
una riflessione comune su quanto portare avanti dell’eredità della sinistra
storica e quanto innovare per rispondere a realtà nuove.

Ma è anche importante strigere le mani che le donne (indiane? coreane?
cinesi?) porgono dai cortei, comunicare a gesti con le ragazze che ti
chiedono di fare foto di gruppo con loro, leggendo -ITALIA_ sui cartellini
di riconoscimento: o parlare con un hondureno di Via campesina dei due
militanti contadini condannnati a 25 anni di prigione. Così acquista più
senso avere inviato messaggi di protesta al governo dell’Honduras.

Questo, per me, il Forum di Bombay, simile ma diverso da quello di P:Alegre.

Là, nei bei giardini e locali della Pontificia Università, il tono era dato
da una maggioranza occidentale: Non valeva la pena perdere le interessanti
analisi, i dibattiti che si svolgevano nelle aule. Era il momento di
assorbire,riflettere, discutere. Nei viali ben pettinati si andava per
momenti di sosta, per sgombrare la testa piena di pensieri. Qui, nei viali
pieni di buche e di pozzanghere,non c’era "relax", ma una energia che
trasformava la rabbia in determinazione.

Ripassando , la sera, accanto agli esclusi e alla loro disperata realtà, ci
si domandava se da quella determinazione potrà nascere anche, e soprattutto
per loro un cambiamento.