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USA: terrorismo, gli allarmi si basano su note degli 007 raccolte tre anni fa

Publie le mercoledì 4 agosto 2004 par Open-Publishing

Dazibao


di Lucio Manisco

Usa, Stato di polizia e di menzogne

In uno Stato di polizia che scatena con pretesti e menzogne guerre preventive, devastanti e senza fine contro paesi sovrani, sospende le libertà e i diritti dei suoi cittadini, legittima la tortura e la detenzione arbitraria di migliaia e migliaia di persone, falsifica informazioni vecchie e scadute per ingigantire a fini politici di parte la minaccia terroristica, in questo stato di polizia è indubbiamente difficile sostituire mediante il ricorso alle urne il capo dell’esecutivo con un candidato che oltretutto condivide nella sostanza, se non in tutte le modalità, i suoi traguardi strategici.

Su un piano strettamente personale e caratteriale il senatore John Kerry incontra, soprattutto in Europa, maggiori simpatie del presidente repubblicano George W. Bush: non si infila le dita nel naso, non cade continuamente dalla bicicletta, non è affetto da dislessia e pertanto non ha mai detto "Bod gless America", non è un finto texano e tantomeno un fondamentalista cristiano, preferisce i sarti di Saville Row a quelli di Austin Texas, non si è imboscato ma ha rischiato la vita nel massacrare i vietnamiti e ha tratto buon profitto dagli studi universitari a differenza di Bush a cui viene attribuita la sdegnata battuta: «Kant? Non usate questi termini in presenza di mia moglie».

Sul piano invece della politica globale, del perseguimento cioè dell’egemonia imperiale degli Stati Uniti, le assonanze con le direttive dell’amministrazione sono molte più marcate delle dissonanze e, contrariamente a quanto affermato dai suoi apologeti nostrani, molto più minacciose per gli interessi e gli orientamenti della vecchia Europa.

Basta porre a raffronto gli interventi di John Kerry durante e dopo la convenzione democratica di Boston e l’annunzio di nuove misure liberticide e quanto mai bellicose fatto da George Bush lunedì scorso dal Giardino delle rose della Casa Bianca. Partiamo da questo annunzio del presidente tralasciando i suoi impappinamenti nel rispondere alle domande dei giornalisti facendo sue, travisandole, le raccomandazioni della Commissione di inchiesta sul 9/11, e ignorandone soprattutto le aspre critiche, il capo dell’esecutivo ha delineato una ristrutturazione dei servizi - sono già ben 14 - ponendo alla loro direzione un ennesimo zar dell’antiterrorismo coadiuvato da un ennesimo Centro nazionale di raccolta dati sulla minaccia terroristica. Il tutto a 24 ore dal più dissennato, incalzante e menzognero allarme lanciato dal direttore della "Homeland Security", Tom Ridge, sull’imminenza di attacchi terroristici contro i centri finanziari di New York, nel New Jersey e di Washington. Il New York Times ha rivelato ieri che questo allarme era infondato in quanto basato su dati che risalgono a tre o quattro anni fa, rinvenuti nella memoria di computer trovati in possesso di due terroristi arrestati in Pakistan, dati quindi che precedevano di uno o due anni gli attentati alle due Torri e al Pentagono. Traendo spunto da informazioni scadute e praticamente irrilevanti agli effetti di controbattere una minaccia reale o presunta tale, George Bush ha annunciato un ulteriore giro di vite sulle libertà e sui diritti dei cittadini statunitensi, il rafforzamento dell’estensione delle leggi eccezionali del "patriot act" che avevano già fatto strame di garanzie costituzionali come lo habeas corpus e non ha esitato a citare un antecedente piuttosto imbarazzante per la legalità repubblicana, quel "National security act" posto in atto alla chetichella da Harry Truman e da cui presero poi il via l’aberrazione maccarthista e la demolizione sistematica di già limitati poteri sovranazionali delle Nazioni Unite. Sui falsi presupposti dell’aggressione all’Iraq, la conclamata esistenza cioè in quel paese di armi di distruzione di massa, il presidente ha asserito che disponendo allora delle informazioni sulla loro inesistenza egli avrebbe lanciato lo stesso la guerra contro la nazione mediorientale.

Quali le posizioni prese da John Kerry su questi chiari segnali di un’involuzione a tappe forzate della repubblica stellata verso uno stato di polizia che con il pretesto della sicurezza mira a sopprimere ogni forma di opposizione interna ed anche estera? Contraddicendo i dubbi e le riserve espresse dall’ex candidato democratico alla presidenza, Howard Dean, sulle allarmistiche baggianate di Tom Ridge, il senatore del Massachussets ha attribuito ad esse credibilità e validità, per venire poi clamorosamente smentito dal New York Times.

Né alla convenzione né dopo ha impugnato l’erosione dei diritti fondamentali posta in atto dal "patriot act I e II" ed ha evitato con cura di occuparsi degli errori dei lager di Guantanamo, dell’Afghanistan e dell’Iraq. Ma è sulla questione della guerra e della pace, dell’unilateralismo interventista Usa e dell’emarginazione delle Nazioni Unite che l’assonanza del candidato democratico con le direttive dei "neo-cons" al potere ha sconfinato spesso nell’identità. Niente ritiro delle truppe da un paese in sanguinosa rivolta contro l’occupazione straniera, ma proseguimento dell’aggressione con l’aumento dei bilanci già astronomici della Difesa e l’arruolamento di altri 40 mila soldati. Poi una vaga promessa di arrivare a una soluzione del conflitto entro il 2009, entro cioè la fine di un suo eventuale primo mandato alla Casa Bianca. E come perseguirà questo traguardo? Convincendo (costringendo?) gli alleati europei a sostituire in parte o in toto le forze di occupazione Usa con i loro contingenti nazionali. Nessuna menzione più o meno critica di un grande disegno imperiale volto a controllare direttamente le fonti energetiche mediorientali, non essenziali per gli Stati Uniti che dispongono di altre risorse nazionali, africane e latinoamericane ma quanto mai essenziali per gli altri paesi industrializzati o in fase di sviluppo in una fase di accelerato esaurimento delle risorse mondiali: una vera e propria lama di coltello applicata alla giugulare dell’Europa, della Repubblica popolare cinese, del Giappone per non parlare di paesi più poveri.

Sbalorditivo e fonte di desolata mestizia il plauso tributato ad enunciazioni del genere ed alle deliberate omissioni del candidato Kerry agli ospiti della convenzione Rutelli e Fassino che al loro nuovo idolo non sono riusciti a strappare, non dico un incontro, ma neppure una "photo-op", una fotografia di gruppo concessa dal senatore al più umile e insignificante delegato di Walla Walla.

http://www.liberazione.it/giornale/040804/LB12D6B9.asp