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Uccise? Neanche gli iracheni vogliono crederci
Publie le venerdì 24 settembre 2004 par Open-PublishingGli Ulema non credono che i quattro rapiti siano nelle mani della «resistenza». Sgomento e speranze fra voci e smentite. Ma nessuno sembra sapere niente di preciso
G.S.
Sono giorni di angoscia in attesa di notizie. Non solo noi speriamo che le voci che circolano vengano smentite. Anche gli iracheni, la maggioranza di loro. Così quando un amico iracheno in piena notte - è uno di quelli che non riesce a staccarsi dal televisore per vedere l’inferno in cui sta precipitando il suo paese - ci informa della rivendicazione del Jihad, che annuncia l’uccisione delle due Simone, si scusa ripetutamente di fronte allo shock provocato.
Il secondo shock glielo procureremo noi riferendogli della seconda rivendicazione di Ansar al Zawayri. E’ come se gli iracheni provassero vergogna per quello che sta succedendo nel loro paese, si sentissero in colpa, anche se sono proprio loro le prime vittime di questa situazione, provocata dalla guerra e dall’occupazione: prima il terrorismo non c’era in Iraq, ora sta seminando il terrore e l’orrore, e molti iracheni stanno pensando di lasciare il paese. Sono gli stessi iracheni a non fidarsi più degli iracheni.
Mai un rapimento in Iraq aveva provocato tanta emozione e questo grazie al lavoro umanitario svolto dalle due Simone e dai loro collaboratori iracheni in questi anni, che viene ricordato in molti appelli della società civile irachena. E anche per il fatto che sono state rapite delle donne. «Per l’Islam è proibito uccidere, soprattutto le donne», ci dicono. E per alcuni è per pudore che non sono stati diffusi video.
I giornali ieri mattina non riportavano ancora la notizia delle rivendicazioni dell’uccisione delle due donne che è andata invece diffondendosi attraverso le televisioni. Incredulità, dubbi, rabbia, disperazione sono le reazioni che abbiamo registrato tra operatori umanitari, organizzazioni per i diritti umani e associazioni che rappresentano la società civile. Per alcuni si tratta di comunicati per creare una confusione mediatica. «Penso che più che una rivendicazione sia il modo per scambiare messaggi con altri gruppi», ci dice un operatore umanitario.
Contraddizioni anche nelle prese di posizione del Consiglio degli ulema sunniti. A non credere alle rivendicazioni è sheikh Muthanna al Dhari: il comunicato non costituisce una prova e nemmeno l’accenno al video può esserlo. Inoltre al Dhari afferma di non ritenere che Simona Pari e Simona Torretta siano nelle mani della «resistenza». La dichiarazioni di al Dhari era stata preceduta da quella di sheikh Abdel Sattar Abdul Jabar, secondo il quale il Consiglio degli ulema non ha nessuna informazione sulla sorte degli ostaggi.
Alla sede della Iraqi commission for civil society enterprises, l’associazione che la settimana scorsa aveva organizzato una manifestazione per la liberazione degli ostaggi a Baghdad, sono costernati. Se la rivendicazione dovesse rivelarsi vera sarebbe una sconfitta per tutta la società civile, sostengono. Uno dei dirigenti, anziano, ha le lacrime agli occhi mentre dice è «una vergogna per tutti gli iracheni, non può essere vero». Molti tendono a respingere l’idea che gli iracheni possano essere giunti a tanto, ma nello stesso tempo temono che nulla si possa più escludere in questa situazione.
Tanto più se i gruppi che rivendicano questi orrendi atti sono legati alla rete del terrorismo internazionale e rispondono a logiche che con la liberazione dell’Iraq non hanno nulla a che vedere. Come Ansar al Zawahri, i partigiani del numero due di Osama bin Laden, l’organizzazione che aveva già rivendicato il rapimento dei quattro all’indomani del sequestro, e che evidentemente vuole acquistare visibilità su un terreno occupato da Zarqawi, il rivale di Zawahri nella successione a Osama bin Laden alla guida di al Qaeda.
Particolarmente colpito dalle rivendicazioni è Kassim Mohammed al Jumili, presidente del Centro studi per i diritti umani e la democrazia di Falluja, che aveva riunito nei giorni scorsi - compito arduo in una cittadina in balia di gruppi contrapposti - rappresentanti della società civile, capi religiosi e tribali, insegnanti e liberi professionisti. Tutti hanno sottoscritto un appello, pubblicato sul sito Internet del centro, dove si chiede la liberazione dei quattro rapiti.