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Uccisi gli ostaggi dimenticati da tutti

Publie le martedì 5 ottobre 2004 par Open-Publishing

Dazibao


di Toni Fontana

«Ci sentiamo tra un quarto d’ora, sta arrivando gente, clienti». Ayad Anwar Wali
ed il fratello maggiore Emad si sentivano spesso, ma quel pomeriggio del 31 agosto,
sette giorni prima del sequestro delle due volontarie italiane, la conversazione
telefonica tra Baghdad e l’Italia venne bruscamente interrotta dall’arrivo di
una dozzina di terroristi. Pochi allora sottolinearono le «anomalie» del rapimento;
la professine dell’ostaggio e la sua doppia nazionalità, hanno fatto si che nè la
stampa, nè la diplomazia, nè i servizi segreti si occupassero troppo del caso
e che il sequestro venisse considerato un «normale» rapimento a scopo di lucro,
uno dei tanti che quotidianamente avvengono a Baghdad.

L’assoluta assenza di rivendicazioni, video o scritti on line ha avvalorato questa convinzione nei 34 giorni del rapimento. Ieri ha vicenda ha tragicamente cambiato i propri connotati. Con una procedura insolita i terroristi hanno recapitato un video all’ufficio dell’agenzia France Presse di Baghdad e solo successivamente alle emittenti arabi. Vi si vede la lettura della sentenza di morte e l’esecuzione compiuta con armi da fuoco, probabilmente un fucile mitragliatore.

Ayad Anwar Wali, imprenditore italo-iracheno di 44 anni ed il suo collaboratore turco, il 33enne Yalmaz Dabja, in Iraq per vendere mobili, e sono stati fucilati dopo aver «confessato» di essere spie al servizio di Turchia, Iran ed Israele. Cinque terroristi con il volto coperto, che si qualificano come «combattenti di Dio», accusano i condannati di «avere rapporti con il Mossad» (questo particolare viene sottolineato da Al Arabiya). Nella crudele «confessione» Wadi ed il suo collaboratore turco dicono di essere tornati in «Iraq dopo la guerra» e di aver agito in contatto con l’intelligence israeliana «che voleva acquistare uranio e mercurio rosso».

Poi l’imprenditore italo-iracheno afferma di aver lavorato anche per la Turchia che gli avrebbere chiesto di organizzare l’uccisione del leader curdo Talabani, capo dell’Unione patriottica del Kurdistan. L’ombra dei servizi di Ankara viene evocata anche dall’altro condannato, il turco Dabja, che dice di aver ricevuto un’offerta di 30 milioni di dollari per occuparsi, anche per contro del Mossad, di una partita di mercurio rosso. Il video, datato 2 ottobre, dura meno di un minuto; la sequenza degli avvenimenti è molto ripida. Il «tribunale» degli assassini sposta la telecamera sull’esecuzione che avviene in una cava: gli ostaggi, bendati e inchinati, vengono falciati dalle raffiche dei carnefici.

Fin qui la cronaca. Il filmato porta la firma di un gruppo già noto, le Brigate Abu Bakr Al Seddig, ritenuto una delle sigle utilizzate dai terroristi sunniti e salafiti. La stessa sigla è comparsa in un video diffuso il 18 settembre quando vennero rapiti alcuni operai turchi ed iracheni, poi liberati in seguito alla decisione presa dall’impresa per la quale lavoravano, che annunciò il ritiro dall’Iraq. Il video contiene molti oscuri messaggi apparentemente contraddittori. La trascrizione diffusa dalle emittentti arabi contiene ad esempio un riferimento all’«origine turcomanna irachena» dell’imprenditore. In Iraq infatti vi è una piccola minoranza turcofona che vive in particolare nei centri del nord, in special modo a Kirkuk, grande centro petrolifero.

Più volte la Turchia è scesa in campo minacciando di intervenire contro le milizie curde o arabe che attaccano i turcomanni iracheni che sono dunque «protetti» da Ankara. In settembre un gruppo di terroristi arabi, legati alle rete di Al Zarqawi, decapitò tre miliziani curdi. Successivamente si fece vivo un gruppo di giutizieri curdi, denominato appunto Al Thaar, (la vendetta) che annunciò un’azione per punire l’uccisione dei tre miliziani. Si tratta forse di coincidenze, gli oscuri messaggi contenuti nel video potrebbero essere stati inseriti per confondere l’intelligence. Pare che la sorella di Wali avesse ricevuto una richiesta si riscatto (250mila dollari) che la famiglia non era in grado di pagare. Forse gli ostaggi sono stati fucilati proprio perchè non potevano «rendere», forse invece il duplice delitto nasconde un nuovo capitolo della resa dei conti tra le varie comunità che si annuncia nell’Iraq in guerra da un anno e mezzo.

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