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Una lettera in ricordo della giovane statunitense uccisa in Israele

Publie le sabato 6 marzo 2004 par Open-Publishing

Solo un anno fa il mese di marzo, per me come per molte altre persone,
veniva associato a concetti positivi: la fine dell’inverno, l’avvento
della primavera e poi dell’estate. Da quest’anno e per il resto della
mia vita, l’inizio di marzo mi porterà alla mente qualcosa di
completamente diverso: l’anniversario della brutale morte di mia cugina,
Rachel Corrie.

Il 16 marzo 2003 un soldato israeliano e il suo comandante investivano
Rachel Corrie con un Caterpillar da nove tonnellate mentre la ragazza -
disarmata e chiaramente visibile grazie ad un giubbino fosforescente -
proteggeva un’abitazione palestinese per impedire la sua demolizione da
parte dell’esercito israeliano. La morte di Rachel Corrie, e le reazioni
che sono - o non sono - seguite a questo evento rivelano verità
sconcertanti, per la loro immoralità e ingiustizia.

Primo, Rachel è morta cercando di impedire la demolizione di una casa,
una pratica comune in Israele e impiegata dall’esercito come punizione
collettiva, che ha trasformato più di dodicimila palestinesi in
senzatetto a partire dall’inizio della seconda intifada nel settembre
2000. Questa pratica viola la legge internazionale, inclusa la Quarta
Convenzione di Ginevra.

Secondo, Rachel è stata travolta da un buldozer della Caterpillar,
fabbricato negli Usa e inviato in Israele come parte del regolare
pacchetto di aiuti statunitensi, che ammonta tra i 3 e i 4 miliardi di
dollari, tutti pagati dai contribuenti americani. L’utilizzo di buldozer
Caterpillar per distruggere abitazioni civili, per non parlare poi del
fatto di investire attivisti per i diritti umani disarmati, viola le
leggi statunitensi, tra le quali il Us Arms Export Control Act (legge
sul controllo dell’esportazione delle armi) che proibisce l’uso di aiuti
militari contro la popolazione civile.

Terzo, l’auto-assoluzione da parte dell’esercito israeliano per la morte
di Rachel e l’opposizione condotta dallo stato di Israele ad un’indagine
indipendente su questo caso rivelano sia il desiderio di Sharon di non
assumersi le proprie responsabilità per la morte di una cittadina
americana sia la vigliaccheria dell’amministrazione Bush nel permettere
che una nazione possa impunemente attaccare suoi concittadini.

Quarto, la morte di Rachel ha costituito in realtà solo il primo di
numerosi attacchi israeliani contro cittadini stranieri nella West Bank
e a Gaza. Brian Avery, originario del New Mexico, è stato colpito al
volto il 5 aprile; Tom Hurndall, un cittadino britannico, è stato
centrato alla testa l’11 aprile ed è morto il 13 gennaio, e Hames
Miller, un altro britannico, è stato colpito ed ucciso in aprile.
Finora, solo nel caso di Hurndall il soldato israeliano responsabile
dell’attacco verrà giudicato in tribunale, e questo perché il governo
della Gran Bretagna, dopo alcuni mesi, finalmente ha riconosciuto
l’evidente fondatezza delle prove presentate dalla famiglia di Hurndall.

Poiché ci avviciniamo all’anniversario della morte di Rachel, i
cittadini e i residenti degli Stati Uniti dovrebbero chiedersi per quale
motivo un cittadino statunitense disarmato possa essere ucciso
impunemente da un soldato di una nazione alleata che riceve massicci
aiuti dagli Usa, utilizzando per di più un prodotto fabbricato negli Usa
da un’impresa statunitense e pagato con i soldi dei contribuenti
americani. Quando tre americani furono uccisi in un’esplosione il 15
ottobre 2003, presumibilmente da palestinesi, mentre si muovevano
all’interno di Gaza, l’Fbi è giunto in meno di 24 ore per investigare
sulle morti. Dopo un anno, né l’Fbi né altra istituzione statunitense ha
condotto alcuna indagine sulla morte di una donna americana uccisa da un
israeliano.

Perché due pesi e due misure? Forse questa è la verità più sconcertante
di tutte.

Elizabeth Corrie è dirigente e insegnante presso una scuola di Atlanta.

(Pubblicato dall’International Herald Tribune. Traduzione di Igor Giussani)