Home > Una mano di blu sulla guerra
Nei dintorni del Palazzo di Vetro è in corso - resa più affannosa dai recenti sviluppi spagnoli -
la madre di tutte le battaglie diplomatiche dell’amministrazione Usa. L’obiettivo è quello di
verniciare di blu l’impresa irachena, cioè dotarsi di uno straccio di legittimazione a posteriori
dell’aggressione di un anno fa, fatta senza e contro qualsivoglia autorizzazione da parte del
consiglio di sicurezza dell’Onu. Non si sentono i gemiti delle blandizie o delle minacce con cui
Washington sta cercando di ottenere il risultato, ma li si può immaginare: sappiamo che i servizi
britannici, su richiesta Usa, spiarono Kofi Annan e (almeno) sei ambasciatori prima del voto mancato che
avrebbe dovuto autorizzare l’intervento americano.
Non è detto che Bush e Powell riescano nel loro
intento, variamente violentando l’Onu e costringendolo a fungere da copertura retrodatada
all’aggressione, ma non è escluso. In tal caso possiamo essere certi fin d’ora, con l’aria bipartisan che
tira nelle propaggini di destra del centro sinistra, che da Fassino a Berlusconi, passando per
Rutelli, si dirà che il problema è chiuso e che bisogna restare in Iraq. Così aiutando la destra a
smarcarsi parzialmente dagli Usa annacquando le sue responsabilità. Ma come spiegare l’evidenza a
questa sinistra ossimorica che va al soccorso della destra?
Occorre quindi prepararsi fin d’ora a fissare le coordinate di giudizio. Poiché tutto indica che
Washington sta costruendo un "compromesso" che prevede un "trasferimento" dei poteri a una Onu
senza alcun potere, con le truppe d’occupazione invariate sul campo, per giunta sotto comando
americano e britannico, con gli appalti controllati dagli Usa, con la formazione dell’esercito e della
polizia in mani americane e - dulcis in fundo - con un’autorità di governo interamente composta
secondo criteri americani e non eletta da nessuno se non dal Dipartimento di stato e dal Pentagono.
Cioè non esiste il minimo segno che Bush & company intendano mollare la presa e rinunciare ai
colossali interessi economici acquisiti con la guerra e, soprattutto, al controllo del territorio. Quella
che si prepara è una commedia tutta da ridere, che lascerebbe le cose come stanno, ma avvolte in
una bandiera azzurra.
Occorre dire fin d’ora che, a questo tipo di "legittimazione", tutta la sinistra decente, e tutta
l’Italia democratica che si è battuta contro la guerra, non daranno alcun credito e appoggio. Ma
va sfatato anche il mito del 30 giugno. Questa data è un bluff. E’ stata fissata da Washington
secondo calcoli elettorali americani. Non c’è alla sua base né una volontà di cambio di rotta, né una
reale valutazione delle forze in campo. Il 30 giugno le cose - se non saranno peggiorate - saranno
come oggi: occupazione senza prospettive, stillicidio di morti in Iraq, dilagare del terrorismo
dovunque.
Un governo italiano che rispettasse la volontà popolare dovrebbe impegnare la sua diplomazia per
sottrarre l’Onu a pressioni indebite, sviluppando una vasta iniziativa internazionale in questa
direzione e annunciando il ritiro delle proprie truppe. Infatti un qualunque intervento dell’Onu in
Iraq, perché abbia una minima possibilità di riuscita, richiede e postula il ritiro delle truppe di
occupazione e la loro sostituzione con una forza di pace vera, cioè che escluda dal comando non
solo gli anglo-americani, ma anche tutti coloro, Italia inclusa, che hanno prima avallato e poi
partecipato all’aggressione militare. Va detto subito, dunque, che per noi, per l’Italia, l’avventura
irachena è comunque finita. Dichiararlo fin d’ora significa aiutare l’Onu e aiutare la pace. In
caso contrario, quali che siano le argomentazioni, si lavora per la guerra.