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Una vittoria del popolo della pace

Publie le martedì 16 marzo 2004 par Open-Publishing

Non è retorica dire che in Spagna ha vinto il movimento per la pace, quel
movimento che si era mobilitato contro la guerra preventiva di George Bush e
che ha riempito nei mesi scorsi le piazze d’Europa e del mondo. Non c’è
alcuna esagerazione nel dire che con la vittoria della sinistra si è
incrinato, anzi ha ricevuto un grosso colpo, lo schieramento che in Europa
ha appoggiato la terribile avventura dei neoconservatori americani. E non è
una forzatura notare che la grande ribellione elettorale contro la guerra si
è avuta in Spagna, in un paese strategico anche per collocazione politica e
geografica rispetto alla cultura islamica.

Il voto spagnolo non è stato solo il frutto di una emozione e di uno sdegno.
Questo ha contato, non c’è dubbio. Ha contato la strumentalità di un governo
che non ha avuto alcun pudore di fronte a duecento morti e a migliaia di
feriti e si è preoccupato solo di raccogliere il consenso e di usare
spregiudicatamente quelle morti per avere qualche voto in più. Ma in Spagna
la "talpa" aveva già scavato. La politica sociale ed economica sociale di
Aznar aveva già eroso i suoi consensi, l’opposizione alla guerra aveva fatto
il resto. Non essersene accorti, aver creduto che la destra avrebbe comunque
vinto è stato forse frutto di un altro inganno dell’opinione pubblica. Il
falso sostenuto dal governo sulle responsabilità dell’Eta ha mostrato la sua
strumentalità e il suo cinismo, ha fatto cadere ogni credibilità, ha
mobilitato gli indecisi e ha determinato la vittoria della sinistra. Nella
testa della gente è scattata la connessione, la spirale, tra la guerra di
Bush e la crescita del terrorismo. La politica di Aznar di sostegno alla
guerra è stata rifiutata.
Grazie al voto spagnolo molte cose sono già cambiate. Il nuovo primo
ministro non potrà tradire quel grande movimento e quel processo per la pace
che in Spagna ha visto il 92 per cento del paese schierarsi contro la
guerra. E infatti ha immediatamente dichiarato che ritirerà le truppe se in
Irak non ci sarà entro il 30 giugno un impegno dell’Onu. Da nuova forza a
quei paesi europei che si erano rifiutati di partecipare ad una guerra che
ha come obiettivo principale un ordine mondiale a dominio Usa. E da sostegno
a chi, nei paesi che quelle truppe invece le hanno mandate, chiede di
ritirarle immediatamente prima che la spirale della guerra e del terrorismo
faccia nuove vittime.

Ma soprattutto il voto spagnolo manda un messaggio: non è possibile opporsi
al terrorismo senza opporsi alla guerra. Anzi per dirla con maggiore
precisione la lotta al terrorismo per essere efficace ha bisogno della pace.
E questo per un motivo che è sotto gli occhi di tutti: la guerra anche se
non ne è la causa, porta il terrorismo, non riesce a debellarlo anzi lo
intensifica e lo rafforza. Gli avvenimenti che hanno seguito l’invasione
dell’Irak, questi ultimi terribili 12 mesi stanno lì a dimostrarlo. Il mondo
oggi è più fragile ed insicuro, tutti siamo meno protetti, tutti siamo
esposti al pericolo. La guerra e il terrorismo sono diversi fra loro, ma
egualmente nemici dell’umanità e di ogni speranza di cambiamento.
In questo quadro la discussione italiana sul terrorismo e sulle
manifestazione del 18 e del 20 contiene elementi a dir poco grotteschi. Non
è possibile pensare ad una manifestazione contro il terrorismo che non sia
anche una manifestazione di pace, che non si pronunci contro la guerra e nel
nostro paese per il ritiro immediato delle truppe in Irak. Per questo la
manifestazione dell’Anci del 18 marzo nasce sotto il segno dell’ambiguità.
Essa compie una separazione inammissibile e irrealistica. Pretende la
costruzione di una unità contro il pericolo terrorista senza dire che esso
vive nella pratica della guerra ne è il terribile e temibile contraltare, la
intensifica e da essa ne esce rafforzato.

L’unità nazionale - la Spagna lo dimostra - si può fare solo con
l’opposizione netta ad entrambi i termini di questa terribile spirale perché
solo così si raccoglie lo spirito della sua fondazione che oggi è la pace.
Così come solo opponendosi ad essa si può costruire l’unità europea. Non
comprenderlo e affannarsi in nuove alleanze trasversali, in nuovi
improponibili momenti unitari con un governo che ha mandato i soldati nella
guerra di Bush, come una parte consistente del centro sinistra sta facendo,
appare terribilmente strumentale e obiettivamente inutile. Il popolo della
pace che in tutto il mondo scenderà in piazza il 20 marzo ha una sua
piattaforma e una sua proposta, mantiene fermi i suoi contenuti. Sabato
prossimo saremo molti a Roma e nelle piazze del mondo a dire no alla guerra
e no al terrorismo. E in Italia, come in Spagna, se ne dovrà tenere conto.