Home > Uranio, vittima segreta
Morto un mese fa maresciallo degli alpini che era stato in missione ai confini del Kosovo Tumore a 30 anni Fabrizio Venarubea è morto di tumore linfatico. La famiglia: la discrezione è una scelta nostra, il ministero della difesa non c’entra
di ALESSANDRO MANTOVANI
Nessuna notizia alla stampa, nemmeno un necrologio. Fabrizio Venarubea, maresciallo del 9° reggimento alpini dell’Aquila, è morto il 14 giugno scorso all’ospedale San Giovanni di Roma. Avrebbe compiuto trentuno anni a settembre e nel 2000 aveva partecipato a missioni militari in Albania e in Macedonia, ai confini con il Kosovo. E’ quindi l’ennesima, probabile vittima dell’uranio impoverito, il materiale radioattivo abbondantemente utilizzato sia nella guerra di Bosnia (’95) che in quella per il Kosovo (’99).
Secondo la contabilità dell’Osservatorio militare è il morto numero 28, anche se in realtà il maresciallo Venarubea è scomparso un mese prima del caporale casertano Luca Sepe (13 luglio). Nessuna associazione, né l’Osservatorio né l’Ana-Vafaf (associazione per l’assistenza alle vittime arruolate nelle forze armate), aveva seguito il caso. Non era conteggiato neanche tra i 267 militari ammalati che risultano all’Osservatorio, che quindi sono senz’altro al di sotto dei dati reali. E questo perché i familiari, che abitano nel reatino, hanno deciso di fare da soli, in gran silenzio. «Una scelta nostra - precisano - Nessuna pressione dal ministero della difesa».
A quanto pare la malattia del giovane sarebbe già stata riconosciuta come dipendente da «cause di servizio», sia pure senza riferimenti all’uranio impoverito. Per i vertici militari, infatti, quel materiale radioattivo non ha alcun rapporto con i tumori. Eppure Venarubea apparteneva al reggimento alpini dell’Aquila, come il capitano Riccardo Grimaldi stroncato il 4 febbraio scorso, a 28 anni, da un misterioso neuroblastoma. Erano stati in missione nella stessa zona dei Balcani, non lontano dal Kosovo bombardato dalla Nato.
E nella stessa zona ha operato anche G.M., un artificiere residente in provincia di Roma e colpito da un linfoma. La segnalazione arriva da Falco Accame, presidente dell’Ana-Vafaf ed ex presidente della commissione difesa della camera, che ieri ha confermato la notizia della morte di Venarubea che circolava da giorni in ambienti militari: «La zona più bombardata del Kosovo - ricorda Accame - è proprio quella meridionale, che quindi confina con Albania e Macedonia dove vi è stato un massiccio impiego di militari italiani».
Domenico Leggiero, ex delegato del Cocer dell’esercito e presidente dell’Osservatorio militare, aggiunge che «anche Valery Melis, morto a febbraio in Sardegna, aveva prestato servizio da quelle parti». E Accame non si stanca di sottolineare che i militari impegnati in Albania e Macedonia, regioni non bombardate ma esposte ugualmente agli effetti radioattivi dell’uranio, non sono stati neppure presi in considerazione della commissione presieduta dal professor Franco Mandelli, che si limitò ai soldati impiegati nelle aree bombardate per concludere che le patologie neoplastiche non erano legate all’uranio. «Fu un grave errore - commenta Accame - E’ come se le particelle radioattive si fermassero ai confini...».
Sui probabili morti da uranio gli stati maggiori e il governo continuano a tacere. Se non per dettare smentite come ha fatto ieri il sottosegretario alla difesa Salvatore Cicu sui venti militari che sarebbero ricoverati all’ospedale militare romano del Celio dopo essere rientrati dall’Iraq: «Non ci sono soldati che arrivano dall’Iraq e che vengono chiusi all’oscuro di tutti. Sarebbe un sequestro di persona».
Oggi tra i militari si parla sempre più spesso di pericoli genetici, si dice tra l’altro che chi parte per l’estero viene invitato «a non fare figli per tre anni». Ma nell’audizione del 29 giugno in parlamento il generale Michele Donvito, direttore della sanità militare, non ha risposto alle specifiche domande formulate, su questo punto piuttosto delicato, dai parlamentari Ds Franco Angioni e Silvana Pisa.
E Gigi Malabarba, capogruppo del Prc al senato, durante il dibattito di ieri sulla missione in Iraq ha accusato il governo di «depistare» e di «depotenziare le strutture sanitarie di controllo per evitare evidenze statistiche». La polemica investe il nuovo programma di monitoraggio sui militari impegnati in Iraq: saranno sottoposti alle analisi soltanto mille soldati dotati dell’equipaggiamento Nbc contro la guerra nucleare, batteriologica e chimica, e quindi superprotetti. Per l’Ana-Vafaf è una vera e propria truffa, che costa poco meno di due milioni di euro solo per il 2004.
Il Manifesto
28.07.2004
Collettivo Bellaciao