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VIA CAETANI, MISTERO DI STATO

par Lucio Galluzzi

Publie le martedì 9 luglio 2013 par Lucio Galluzzi - Open-Publishing

SE UNA TRATTATIVA DOVEVA PORTARE ALLA LIBERAZIONE DELL’ON. ALDO MORO, ALLORA PERCHE’ E DA CHI FU CONDANNATO A MORTE?


Una coppia, marito e moglie, passano da via Caetani la mattina del 9 maggio 1978.
Sono lì in un momento specifico, tragico, ad una certa ora: ilportante l’orario.
In quella strada, diventata per qualche ora scenario di mistero macabro, notano alcune cose e non le tengono per se’ stessi.
Il giorno il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, perché è di questo che si tratta, si recarono al Palazzo di Giustizia, Nucleo Tribunale, tantarono di raccontare quello che avevano visto, ma furono congedati: "Lasciateci lavorare", gli dissero, "i nostri uomini erano già lì alle 12.30, erano nella via dove è stata lasciata la Renault rossa; voi dite di essere passati di lì alle 12.50... ma vi sbagliare, è impossibile... e poi la storia della ragazza con il mazzo di fiori... è una pura fantasia femminile."
I due uscirono dal Tribunale delusi di certo, si avviarono verso casa loro, stavano in via del Babbuino.
Non dimenticarono gli avvenimenti di quella tarda mattinata, non li dimenticano.
Verbale del 10 maggio 1978: "All’erpoca i nostri affari giravano bene, eravamo appena tornati da una lunga vacanza a Londra. Quella mattina, martedì, eravamo stati a vedere una mostra di archeologia in Campidoglio [proprio dietro via Caetani, Ndr]; volevamo arrivare a casa per le 13.30, in tempo per il telegiornale, come tutti attendevamo notizie sul caso Moro, quelle sembravano le ore cruciali. Però si era fatto tardi. Erano all’incirca le 12.50 ormai, quando scendendo verso il ghetto, ci fermammo a prendere un panino in una osteria che stava per chiudere. Così continuammo la nostra passeggiata consumando il panino ed entrando in via Michelangelo Caetani, dalla parte di via dei Funari. Era l’una, cinque minuti prima... cinque minuti dopo. Ci trovammo in una strada quasi deserta, c’era solo un uomo: il custode di Palazzo Mattei di Giove, al civico 32, appoggiato allo stipite destro del portone a godersi il sole.
Poco più avanti, guardando verso via delle Botteghe Oscure, sul lato sinistro della strada, c’erano quattro operai, vestiti con una tuta azzurrina elettrica, sembrava stirata da poco. Non stavano mangiado, erano lì, fermi, in silenzio.
Li notai bene, perché mentre mio marito si girò per leggere un manifesto d’arte, io mi sentii osservata dai quattro, immobili, silenziosi: tutto sembravano, tranne che lavoratori.
Ero imbarazzata, notavo l’interesse di queste persone nei miei confronti... e la strada era deserta, c’era solo un altro signore, dalla parte opposta, credo davanti ad un negozio di stoffe.
Camminammo per un po’, poi venimmo sorpassati da una ragazza molto bella, formosa, belle gambe, chemisier bianco fiorato, contura in vita e tacchi alti, capelli lunghi neri mossi sulle spalle; ci supera e notammo che porta un grande mazzo di fiori, tanto grande che lo tiene appoggiato sulle due braccia, non corre, ma è decisa nel passo.
Noi camminiamo dietro di lei e ci trociamo a seguire i suoi movimenti.
Lasciamo via Caetani, prendiamo via delle Botteghe Oscure e la attraversiamo subito: la ragazza con i fiori sempre davanti a noi.
Continuiamo a camminare e giriamo per la piccola via Celsa, dove all’epoca c’era un marciapiede pedonale, la guardiamo, la osserviamo [la ragazza con i fiori, Ndr] mentre sbuca in piazza del Gesù... ; all’epoca la piazza era diversa da com’è oggi, non c’erano marciapiedi rialzati. Davanti alla chiesa del Gesù c’era un uomo di circa 40/45 anni, viso allungato, dentatura irregolare, praticamente un viso da cavallo, vestiva una camicia a quadri, capelli lisci e anche un po’ unti a dire il vero, sporchi... i die si scambiarono qualche battuta, la ragazza gli da i fiori e si separano; uno prende verso piazza Venezia, l’altra verso Largo Argentina.
Colpiti da quella scena, ci dirigemmo verso casa."
Solo il mattino dopo, dopo aver verificato le inconguenze degli orari sul ritrovamento della Renault rossa resi dai telegiornali e dalla stampa ed esserci consultati con amici, i due testimoni decidono di recarsi a Palazzo di Giustizia per raccontare quanto avessero visto il giorno prima.
Ma il loro racconto fu smontato subito perché gli dissero che già alle 12.30, sul luogo, "c’erano i nostri uomini".
Quanto poi alla ragazza con i fiori, le dichiarazioni non furono neppure messe a verbale.
Ragionando, allora occorre fare caso che i due testimoni non dicono mai di avere notato macchine parcheggiate in via Caetani in modo anomalo, mai parlano di Renault rossa; l’orario che citato è all’incirca alle 12.50/13.00, ma a quell’ora [come dicono gli inquirenti] almeno una voltante della polizia doveva essere parcheggiata di sbieco in mezzo alla via Caetani accanto alla R4 rossa; però stranamente nessuno la nota e la vede a quell’ora.
Francesca Loverci parcheggiò la sua automobile addirittura dietro la R4 rossa alle ore 13.05, nessuno glielo impedì; alle 13.15, dopo essere andata a comprare un panino, stava per rientrare nel suo ufficio ed è a quel punto che scattano le sirene e lei non può più recuperare la sua auto, lasciata incolontariamente sulla scena del crimine [Atti].
E la telefonata delle BR a Tritto è delle 12.13 come scritto nel verbale?
Lo smentiscono i periti Silvio Merli e Antonio Ugolini che scrivono: "alcuni minuti dopo le ore 13.00 del giorno 9 maggio 1978, una voce giovanile, non conosciuta, annunciava, con una telefonata al figlio del dottor Tritto, che le BR consegnavano il corpo di Moro; infatti sul posto accorrevano immediatamente auto della polizia e dei carabinier per verificare la veridicità della telefonata. Alcuni minuti prima delle 14.00, uno di noi, Ugolini, veniva immediatamente convocato sul posto per poter iniziare le operazioni peritali."
Negli appunti riservati del Ministero degli Interni, relativi al programma da attuare le caso l’on. Moro fosse stato trovato morto, il Procuratore della Repubblica viene informato alle 13.50 del ritrovamento del cadavere di Moro; secondo il programma quella era la prima cosa da fare in assoluto al ritrovamento di Moro, vivo o morto.
Subito dopo vengono inviati gli artificieri, i medici e giunge sul posto anche il generale dei carabinieri, SISMI, Antonio Cornacchia, piduista, tessera n. 872P2 Roma, che nel suo diario/memorie "Airone 1" dice di essere stato lui ad attivare l’allarme, scrive:
"Ora di pranzo, ore 13.20 circa del giorno 9 maggio 1978, l’autorario fruscia, poi ’sono il capitano De Donno, portarsi subito in via Caetani, dovrebbe essere parcheggiata Renaulr rosso bordeaux, fare molta attenzione, non manometterla, non prima che giungano gli artificieri"... quando arriviamo in via Caetani la strada è deserta".
Sarà Cornacchia, dopo essere arrivato sul luogo, di certo dopo le 13.20, a dare l’allarme e chiedere alle radiomobili di raggiungere la zona e chiudere la strada da ambo i lati.
I conti non tornano.
Ci sono differenze di oltre 40 minuti nelle testimonianze contrastanti tra la telefonata BR a Tritto e l’effettivo ritrovamento del corpo di Moro.
Il lasso di tempo aumenta con la testimonianza di uno dei carcerieri di Moro, Prospero Gallinari: "Sono quasi le due di pomeriggio, oltre cinque ore sono passate da quando il corpo di Moro è uscito di casa, quattro da quando la famiglia è stata informata del luogo dove poterlo ritrovare... [da: Un contadino nella metropoli, Prospero Gallinari].
Se la telefonata alla famiglia arrivò intorno alle 10.00 del mattino, che cosa accadde durante tutte quelle lunghissime ore?
Non si sa.
Non è mai stato detto.
Copre un segreto importantissimo: i rapporti tra Stato e Brigate Rosse.
Un dato importante nelle "indagini" è stato sempre omesso: quello della ragazza con il mazzo di fiori; sarebbe stato interessante fosse emerso, visto che il segnale per l’ "Operazione via Fani" era stato un mazzo di fiori sventolato dalla "compagna Marzia" appena scorta la macchina blu di Moro; un altro mazzo di fiori, portato da una donna ben descritta dai testimoni, compare in via Caetani.
Non si può sapere il perché di tante inconguenze nelle indagini e nei verbali.
Non si sa neppure il motivo che ha fatto inficiare la testimonianza dei coniugi che transitavano per via Caetani.
Quella mattina Cossiga e gli altri della Democrazia Cristiana aspettavano la liberazione di Moro: quello sarebbe stato convenuto tra le parti in causa.
Qualcosa non andò come doveva: forse un passaggio di consegne del prigoniero.
Uomini dell’ "Anello", gruppo dei Servizi che seguì la trattativa Vaticana di Paolo VI per la liberazione di Moro, parlano di "una duplice paternità dell’operazione Moro: quella delle BR che ne firmarono l’avvio e l’altra, ancora da scoprire, che condannò Moro alla pena capitale" [tesi peraltro fatta propria anche da Giovanni Pellegrino, presidente dell’allora Commissione Stragi].
Ma alla fine, insomma, non fu proprio Valerio Morucci a fare "quella" telefonata?
Ma che ne sappiamo di quanto costò quella telefonata?




Lucio Galluzzi



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