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Verifica delle opposizioni ma anche del nostro orientamento...

Publie le giovedì 29 gennaio 2004 par Open-Publishing

A proposito del rapporto con il centrosinistra

Per quanto il rapporto con le forze dell’Ulivo sia stato ancora poco sostanziato in deliberati e
atti conseguenti, tuttavia i sei mesi di confronto e i tre mesi che ci separano dall’ultimo
Comitato politico nazionale ci suggeriscono di procedere a una "verifica" della prospettiva aperta in
quella sede. Le dichiarazioni di Rutelli di questi giorni, e queste ore, su pensioni e gabbie
salariali, così come la violenta condanna degli scioperi degli autoferrotranvieri, rappresentano in
effetti l’espressione più diretta e compiuta di una distanza abissale, di classe, che ci separa dalle
ispirazioni di fondo dei gruppi dirigenti del centrosinistra, e che ci chiedono di esprimere, qui e
ora, nella battaglia politica e nel sostegno alle mobilitazioni sociali in atto, un’alternativa
conseguente alla sinistra moderata, e non certo l’apertura di una nuova fase contrattuale che salti,
a piè pari, i nodi del contendere.

Richiamare oggi il dovere dell’opposizione a "fare opposizione"
significa rilanciare la sfida, anche a sinistra, sul terreno dell’efficacia e della radicalità
dell’iniziativa politica e sociale del partito, messa obiettivamente in secondo piano dalla ricerca
del confronto programmatico - e dell’unità - a tutti i costi che ha accompagnato la nostra
iniziativa nell’autunno.
In soli pochi mesi, infatti, ci accorgiamo di come sia stata accidentata la strada, pur giusta,
della costruzione di un’unità delle forze di opposizione, non già per un’alternativa programmatica
al governo delle destre, ma perfino nel contrasto alle sue attuali politiche. Alla luce delle
posizioni espresse in questi giorni da Ds e Margherita - che sembrano rispondere alla lettera di
Bertinotti con un documento unitario sulla riforma del welfare - e mentre il governo ha avviato la
propria verifica di "metà legislatura", dovremmo rivendicare una vera e propria "verifica delle
opposizioni", invece di rinviare ogni confronto alla stesura di un fantomatico programma per il 2006.
Se guardiamo da vicino i fatti concreti, le scelte e le dichiarazioni, ci accorgiamo di come la
relazione tra le opposizioni sia costellata di forti contrasti e di difficoltà che a mio avviso
rimangono insormontabili. Mi limiterò, in questa sede, a cinque esempi.

Innanzitutto, la guerra

Fino ad oggi la contraddizione interna all’Ulivo sulla situazione irachena non è esplosa grazie
anche alla scelta autoritaria del governo di non procedere a un vero dibattito parlamentare. Non
sfuggono, quindi, le propensioni belliciste del gruppo dirigente del presunto soggetto riformista cui
allude la lista unica di Prodi e sostenuta da Rutelli, Fassino e D’Alema. Quest’ultimo si è
persino spinto a proporre un voto di astensione sulla permanenza delle truppe italiane in Iraq! Così
come il richiamo alla carta dell’Onu, come alternativa alla strategia di Washington non è servita a
chiedere il ritiro anticipato delle truppe e prefigura, ora, una sorta di "cambio in corsa" della
missione, che dovrebbe passare dal comando statunitense a quello dell’Onu senza perdere il
carattere di occupazione militare.

Europa e patto di stabilità

Come sulla guerra, anche sull’Europa l’Ulivo ha dimostrato la sostanza della propria politica,
sostenendo convintamene il progetto della Convenzione di Giscard d’Estaing, a sua volta appoggiato da
Fini e Berlusconi. Una cultura "europeista" che in spregio alla democrazia, formale e sostanziale,
mira a fare del "Vecchio continente" un contenitore liberista governato dalle regole del mercato.
Cos’è, se non questa, l’attitudine con cui Romano Prodi dirige la Commissione europea, difendendo
a spada tratta il Patto di stabilità e il rigore finanziario? Non ci insegna niente lo scontro
consumatosi in seno all’Ecofin tra il rigore della Commissione e le esigenze di "rilassamento
finanziario" di Francia, Italia e Germania, e che solo la propaganda antiberlusconiana ha potuto bollare
di antieuropeismo?

La lotta degli autoferrotranvieri

E’ in corso da mesi una delle mobilitazioni più straordinarie che si ricordino nel settore dei
trasporti. La materialità delle disastrose condizioni di lavoro degli autoferrotranvieri e la durezza
di una condizione salariale insostenibile ha indotto la categoria a una lotta generosa e
disperata, puntualmente tradita dalla ritrovata unità concertativa di Cgil, Cisl e Uil (a dimostrazione
che, nel caso della Cgil, una cosa è la politica antiberlusconiana, un’altra è la conclusione di
accordi sindacali), ma che non si è lasciata piegare riproponendo l’asprezza del conflitto di classe.
Di questa lotta, oltre al silenzio, l’Ulivo ha saputo parlare solo con le parole sprezzanti e
filopadronali di Francesco Rutelli, pronto a bollare gli scioperi spontanei come "selvaggi" e capace
addirittura di paragonare la lotta dei sindacati di base al fiancheggiamento terrorista! Che tipo
di politica del lavoro potrebbe fare un governo, con ministri di Rifondazione comunista, in cui
sedessero anche il presidente della Margherita o l’ex ministro Tiziano Treu?

La fecondazione assistita

Come se non bastasse la polemica sugli autoferrotranvieri, la Margherita ha dato una prova assai
riuscita del proprio spirito doroteo in occasione del dibattito sulla procreazione medicalmente
assistita (Pma) sostenendo convintamene un progetto di legge liberticida, integralista e lesivo della
dignità delle donne nonché del loro corpo. La scelta di Rutelli è ancora più grave in quanto
squisitamente politica - per quanto mascherata da conflitto di coscienza - tesa a esaltare i tratti
conservatori del centrosinistra da contrapporre, in una perdente competizione politica, a quelli del
centrodestra. Quale legge sulla procreazione assistita potremmo approvare con la nuova alleanza di
governo? Quale difesa reale della legge 194? Quale cultura dell’autodeterminazione e della libertà
delle donne possiamo aspettarci con simili premesse?

Il caso Parmalat

Nello scandalo finanziario che ha azzerato una delle storiche famiglie industriali italiane, più
che in altri casi analoghi, spesso sapientemente coperti, è l’intero edificio capitalistico
italiano ad essere messo sotto accusa. Il ruolo degli organismi di controllo, il rapporto tra banche e
imprese, la funzione del risparmio, la funzione pubblica e quella privata del sistema industriale.
La pervasività della crisi ha reso più evidente anche lo scontro di potere dietro al quale si
nasconde spesso il problema Berlusconi. Considerato un parvenu, il presidente del Consiglio ha saputo
utilizzare il suo appeal politico per ricontrattare le proprie relazioni, ed i propri affari, con i
cosiddetti poteri forti.

Quelli che si fanno rappresentare dal Corriere della Sera, che stanno nei
santuari della borghesia come Mediobanca o Generali e che hanno avuto un riferimento importante
nell’istituzione che garantisce profitti, rendite e l’operare, a volte abusivo, del sistema
bancario: la Banca d’Italia. Ovvio che, in seguito alla crisi Parmalat, il governo tenti di riprendere un
parziale controllo anche su questa istituzione e ovvio che questa cerchi di difendersi. Ma che
senso ha parteggiare per la seconda contro il primo? Difendere Fazio contro Tremonti? Come è
possibile accodarsi a uno scontro intercapitalistico perdendo di vista i veri interessi da tutelare,
quelli dei lavoratori dell’azienda e dell’indotto, della massa indefinita dei piccoli risparmiatori,
dei correntisti delle banche, e cosi via?

L’unità possibile

Gli esempi fatti finora, mi sembra, rappresentino qualcosa di più di qualche "incidente di
percorso", definendo i confini di un’alterità strategica tra l’opzione politica della sinistra
alternativa e il baricentro dell’attuale centrosinistra.
La disseminazione e l’articolazione di nuova conflittualità sociale, rappresentata dalle miriadi
di vertenze che attraversano la società (Scanzano e gli autoferrotranvieri, certo, come i
metalmeccanici, i lavoratori Alitalia, i vigili del fuoco, i call-center Tim…) assieme al protagonismo del
movimento dei movimenti - il successo di Mumbai torna a ripetercelo - ci dicono, con i fatti,
quale unità occorre costruire: l’unità delle lotte su una piattaforma unitaria che dia, questa sì, uno
sbocco generale alla diffusa conflittualità sociale. Ma allo stesso tempo ci dicono della
necessità "strutturale" di una forza politica della sinistra anticapitalista che sappia operare per la
convergenza delle lotte, per l’apertura di una vertenza generalizzata sui temi dei salari, della
difesa delle pensioni, dell’opposizione alla precarietà…

Alla luce della contraddizione stridente tra il dispiegarsi dell’opposizione sociale e del
malcontento diffuso contro le politiche del governo e la strategia politica del centrosinistra, è
difficile pensare che i tavoli di confronto con l’Ulivo per un’alternativa programmatica rispondano alle
necessità.
Il disorientamento nel partito, anche per il moltiplicarsi di "sollecitazioni" giornalistiche
quasi quotidiane, sta assumendo proporzioni assai preoccupanti. Una qualsiasi politica deve innanzi
tutto tener conto di quello che siamo, eppure non lo stiamo facendo!
Ripensamenti e correzioni della nostra prospettiva politica venivano definiti possibili. Non è più
così?
Credo che una verifica complessiva del nostro orientamento sia assolutamente necessaria e urgente.

Gigi Malabarba

Tratto da Liberazione del 28 gennaio 2004