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Violenza o non violenza? Sfida Bertinotti vs Negri

Publie le martedì 24 febbraio 2004 par Open-Publishing

Segretario del Prc ed ex leader dell’autonomia operaia a confronto sul
dubbio che divide il movimento
Egemonia Due i temi in discussione: la scelta fra violenza e non violenza e
i rapporti di forza all’interno del movimento tra disobbedienti e
Rifondazione

PISA

Per mesi ne hanno discusso i militanti del movimento, in particolare i gli
ex disobbedienti e Rifondazione. La polemica ha campeggiato sui giornali, ha
invaso le assemblee, ha fatto litigare per giorni i social forum, come è
accaduto due settimane fa alla riunione nazionale di Bologna. E venerdì sera
a sfidarsi sull’ancestrale cesura «violenza versus non violenza» sono stati
i pensatori di riferimento dai due lati della barricata: Fausto Bertinotti e
Toni Negri, accompagnati da Lidia Menapace e Mario Tronti. Tutti invitati
«di spessore» e tutti insieme come non se ne vedevano da anni. Per
Bertinotti e Negri è addirittura la prima volta in assoluto che si
fronteggiano durante un dibattito pubblico. I disobbedienti pisani, che
hanno organizzato l’iniziativa, lo sanno e guardano con orgoglio l’aula
dell’università riempirsi di circa 400 persone, tra posti a sedere e prime
file accovacciate sotto la cattedra o lungo le scalinate. A fine serata però
non si può certo dire che i due «punti di riferimento» del movimento dei
disobbedienti abbiano risolto il problema.

Anzi, messa sul piano teorico la
discussione sembra più aspra e irrisolvibile che mai. Ancora più difficile è
dire chi dei due «giganti» abbia vinto la disputa socratica, combattuta a
colpi di citazioni e di excursus storici che vanno da Rosa Luxemburg
all’interpretazione delle guerre in Vietnam. «Discutono di violenza e non
violenza, ma in realtà il tema è un altro cioè i rapporti di forza
all’interno del movimento» ammicca una disobbediente pisana prima ancora che
la tenzone abbia inizio. E per seguirli in questo gomitolo di sottintesi e
citazioni non si può fare altro che ridurre tutto ai due temi centrali della
discussione.

Il primo è quello strettamente legato alla definizione di «violenza e
rifiuto della violenza» e vede Bertinotti e Menapace schierati da un lato e
Negri e Tronti da quello opposto. Il primo a toccare la questione è
Bertinotti che spiega che «l’unica strada per uscire dalla vocazione
oppressiva del movimento operaio quando prende il controllo della società è
la scelta della non violenza, non ce ne sono altre». Anche a costo di
rendere la mobilitazione «testimonianza», chiede Mario Tronti, «se la
seconda potenza mondiale, quella pacifista, fosse stata anche temibile per
gli Stati uniti, non sarebbe stato meglio?» A rispondere è Lidia Menapace,
che ammette di preferire una opposizione che sia di semplice testimonianza,
«perché la dominazione di Hitler è stata abbattuta anche dal fatto che il
suo stesso popolo lo odiava». E per Toni Negri diventa facile rispondere:
«Anch’io una volta sono stato non violento. Ero in Sicilia per costruire una
diga che la mafia non voleva, insieme a Danilo Dolci. Tutti i dieci compagni
che erano con me sono stati uccisi negli anni successivi». E conclude:
«Anche legiferare è una forma di violenza».

Vola un po’ più alto, ma è esattamente la stessa discussione che ha messo in
scacco il movimento negli ultimi mesi, con litigi, improperi e lettere che
vedono da una parte i disobbedienti di provenienza padovana, quindi i
figliocci legittimi di Negri, e dall’altra tutti gli altri ma in particolare
i Giovani comunisti, cioè coloro che avevano tentato la saldatura con gli ex
dell’autonomia padovana e dopo il corteo del 4 ottobre - gestito in modo
«poco condiviso», dicono loro - hanno messo in discussione questa alleanza.
E qui viene il tema vero della discussione, cioè chi «egemonizza il
movimento»? Afferrato il punto Toni Negri attacca subito: «Il partito -
chiede - è capace di mettersi al servizio del movimento»? «Certo che lo fa -
ribatte Bertinotti - noi siamo andati a Genova spogli dell’idea di diventare
il partito avanguardia del movimento». Con tutte le manifestazioni che ci
sono state in questi mesi in Italia, tra scorie fermate a Scanzano, bambini
e docenti universitari in piazza ovunque, autoferrotranvieri a spaventare
pure il sindacato, sembra una discussione un po’ fuori tempo massimo. Il
movimento lo sa, lo sanno i «padri» eppure neppure loro sono riusciti a
risolvere la querelle.