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Violenze al G8 «Ignorato il piano anti black bloc»
Publie le mercoledì 4 febbraio 2004 par Open-PublishingIl magistrato Sabella rivela
Genova C’era un piano per fermare i black bloc. Per evitare scontri e devastazioni al G8. Un piano
studiato nei dettagli: che però non scattò. E’ l’elemento più clamoroso che emerge
dall’interrogatorio di Alfonso Sabella, sentito dai pm genovesi che indagano sulle violenze nella caserma di
Bolzaneto. Sabella, magistrato antimafia (su di lui pende una "taglia" di Cosa Nostra), fu inviato a
Genova come ispettore del Dipartimento penitenziario. Ha raccontato che già all’inizio di luglio
partecipò a un vertice, nel quale si pianificò il fermo dei violenti nei giorni precedenti il
vertice dei Grandi.
C’erano le segnalazioni, era stilato anche l’elenco dei reati da contestare per
giustificare i fermi. Per questo gli fu chiesto di predisporre in largo anticipo la caserma-carcere di
Bolzaneto. Ma il blitz non scattò. «Perché nessuno ha fermato i violenti prima del G8?», si chiede
ora anche Alessandro Garassini, l’avvocato che ha assistito Sabella durante l’interrogatorio.
G8, c’era un piano per fermare i black bloc
Dall’interrogatorio di Sabella una nuova verità sui giorni che precedettero il summit
Genova Un piano preciso, per fermare i black bloc. Una strategia studiata nei dettagli dalle forze
dell’ordine per bloccare i violenti, attesi a Genova per il G8 del luglio 2001. Un meccanismo che
viene elaborato e definito in una serie di riunioni preparatorie. Poi, nei giorni che precedono il
vertice dei Grandi, tutto improvvisamente si blocca. Nessuno si preoccupa più di impedire l’arrivo
dei devastatori. Che entrano, indisturbati, nella città.
C’è soprattutto questo, nell’interrogatorio di Alfonso Sabella, magistrato antimafia. Durante il
G8 era l’ispettore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Inviato a Genova da
Giancarlo Caselli, proprio per sovrintendere a tutta la "macchina" dei fermi e sugli arresti.
E per
vigilare sul funzionamento delle due strutture trasformate da un decreto ministeriale in carceri
provvisorie: il Forte di San Giuliano e la caserma del reparto mobile di Bolzaneto.
Sabella, sul cui capo pende una "taglia" di Cosa Nostra (c’è anche un’intercettazione telefonica
dove due noti esponenti mafiosi dicono: assaltiamo la macchina del magistrato) è stato interrogato
l’altro pomeriggio dai colleghi genovesi. L’ultimo atto dell’inchiesta sulle violenze agli
arrestati di Bolzaneto; tanto che il pm Vittorio Ranieri Miniati, dopo il lungo colloquio, sospira:
«Abbiamo finalmente concluso tutto».
Ma i tempi inesorabilmente si allungano: come il Secolo XIX aveva
anticipato, i pm genovesi hanno deciso di notificare un’altra volta gli avvisi di conclusione
delle indagini a tutti gli indagati, «come forma di massima garanzia».
Ma non sono le botte, i soprusi, a diventare il momento clou dell’interrogatorio. Sabella,
assistito dall’avvocato Alessandro Garassini, che è anche presidente della provincia di Savona, racconta
anche un’altra storia. «Sulla quale - incalza Garassini - dovrebbero essere fatti approfondimenti
e ulteriori indagini: la cittadinanza deve conoscerla».
Eccola, allora, la storia. Sabella arriva a Genova il 2 luglio, quasi venti giorni prima
dell’avvio del vertice. Il sette c’è un vertice in prefettura tra tutti coloro cui è demandata
l’operazione-sicurezza nei giorni del vertice. Sabella partecipa. C’è un piano preciso, perché le segnalazioni
sull’arrivo dei violenti in città si susseguono.
Così a Sabella viene spiegato: Bolzaneto deve
essere pronta dal 17 luglio, meglio ancora dal 15 (il G8 inizierà il 19) perché ci sarà un blitz
preventivo contro il black bloc. C’è, addirittura, la dicitura esatta dei reati da contestare per
eseguire i fermi. Viene studiata la scansione dei tempi per mettere i fermati nella condizione di non
nuocere: 24 ore di fermo di polizia, due giorni per l’interrogatorio del pm, altri due per finire
davanti al gip. «Al magistrato Sabella - spiega Garassini - l’idea dei fermi preventivi non
piaceva.
Ma lo scopo era nobile: bloccare i "cattivi", garantire le delegazioni e la sicurezza di tutti
i manifes
tanti pacifici. In quel modo l’operazione fu spiegata e caldeggiata».
Bolzaneto, alla data prevista, è pronta. Non per affrontare un flusso di centinaia di fermati, ma
per immatricolare, visitare e poi avviare alle carceri tradizionali (Alessandria, Pavia) «piccoli
gruppi di arrestati». Ma per tre giorni, in realtà, sarà un autentico deserto dei tartari: in
attesa di qualcuno che non arriverà. Il primo arrestato arriva solo il 20, poche ore prima della
tragedia di piazza Alimonda, quando Genova è ormai teatro di scontri e devastazioni.
Poi la traduzioni
di centinaia di fermati, in una struttura organizzata con direttive diverse e non attrezzata per
arginare una tale onda d’urto. Da qui confusione, nervosismo e violenze.
«La domanda che mi pongo dopo aver sentito il racconto del mio assistito - conclude Garassini -
non solo da avvocato ma anche da cittadino è chiara: perché nessuno ha fermato i violenti prima del
vertice? Eppure ci sono state le riunioni preparatorie, che confermano come le segnalazioni
fossero correttamente arrivate. C’era anche un piano studiato nei dettagli. Ma al momento giusto non è
accaduto nulla».
E i black bloc hanno messo a soqquadro la città.
dal secolo xix