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di ASTRIT DAKLI
Poco più di un mese è passato dall’ecatombe di Beslan, ma è bastato per un salto
storico enorme. Un salto il cui punto di arrivo è già abbastanza chiaro e terribile,
anche se fuori dai confini russi pochi sembrano farci caso: il ripristino dell’impero
zarista, con in più il Partito Unico. In nome delle «superiori esigenze» imposte
dalla lotta al terrorismo, esigenze a cui il mondo si è ormai abituato come a
un cambiamento climatico, il quadro legislativo e istituzionale del paese più vasto
del pianeta è stato sconvolto radicalmente; e quella che poteva definirsi una
democrazia formale gestita in modo autoritario è ormai sul punto di diventare
una pura e semplice dittatura - di fatto e di diritto.
Tutto il potere a un uomo: e quando si dice «tutto il potere», non è retorica. Le proposte di legge che il parlamento russo approverà nelle prossime settimane non lasciano adito a dubbi o sottigliezze dialettiche: al presidente verrà assegnato il potere - sottratto direttamente ai cittadini - di nomina e revoca di tutti gli amministratori e i legislatori locali (un potere totalmente discrezionale: nessuna condizione limitativa, il presidente potrà rimuovere un governatore, o un sindaco, quando e come vorrà e senza darne motivazione); al presidente verrà anche assegnato il potere di nomina e revoca dei magistrati, nonché il ruolo di guida della magistratura in tutti i suoi ordini e gradi. Il presidente ha già il potere di dirigere senza condizioni l’intero ramo del potere esecutivo; e, tramite il suo strumento politico rappresentato dal partito «Russia unita» (al cui confronto il Pcus era un modello di democrazia interna) ha anche il controllo assoluto del parlamento, con una maggioranza sufficiente a modificare a suo piacimento la costituzione - che in effetti sarebbe violata in almeno una trentina di articoli dalle proposte di legge sul tappeto.
Non era una gran costituzione, quella eltsiniana del `93: era stata imposta con la forza, sorvolava su molti diritti e conteneva falle sufficienti a lasciare la massima libertà d’azione al governo. Ma era pur sempre una costituzione con qualche aggancio a dei principi democratici - banali, come sovranità popolare e divisione dei poteri all’interno dello stato, ma cruciali per dare qualche garanzia al cittadino. Ora tutto questo è spazzato via, completamente: resta solo Vladimir Putin, con l’aiuto di dio. La chiesa ortodossa riavrà le sue terre, espropriate dai bolscevichi, ha detto ieri Putin a un consesso di patriarchi ortodossi: fino a ieri i poteri locali potevano opporsi a questa legge, presentata in parlamento già da un anno, e lo facevano. Oggi non possono più, la parola del presidente è già più che una legge e l’alleanza con la chiesa la trasforma in volontà divina.
Sul tappeto parlamentare ci sono altre proposte, che nessuno contesterà: pena di morte, limiti alla libertà di movimento delle persone, limiti alla presunzione d’innocenza nei procedimenti giudiziari. Si prevedono pochissimi giorni per i relativi dibattiti, approvazioni «in doppia lettura» per far prima. E chi mai si oppone? E’ stato così già poche settimane fa, con lo smantellamento ex lege del cardine dello stato sociale, il sistema dei benefit e delle gratuità (cure mediche, assistenza, trasporti) finora garantite alle categorie sociali più svantaggiate: uno smantellamento che equivale a un genocidio, perché produrrà la morte di centinaia di migliaia di anziani e disabili. Ma loro non sono nel partito di Putin, dove sono ammessi soltanto coloro che contano.
Solo per il capitale privato, innalzato sugli altari di Russia da Boris Eltsin dopo settant’anni di clandestinità, tutto resta uguale e facile: la libertà del mercato e dell’impresa non sono in discussione - a patto naturalmente che i capitalisti non abbiano mire politiche personali. La grottesca, teatrale persecuzione di Mikhail Khodorkovskij e della sua Yukos è solo una commedia per gli ingenui che credono nell’anticapitalismo di Vladimir Putin, nella sua lotta contro i ricchi, i corrotti e gli amici degli americani.
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/07-Ottobre-2004/art6.html