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Zorzi festeggia e accusa

Publie le mercoledì 17 marzo 2004 par Open-Publishing

L’ex ordinovista attacca gli inquirenti e i pentiti E’ ancora indagato per Brescia ma non sarà estradato

TOKYO

PIO D’EMILIA

Tutto da rifare? «Già tutto da rifare. Solo che più passa il tempo più diventa impossibile accertare la verità... I cosiddetti pentiti sono inattendibili e i testimoni diretti stanno morendo uno a uno. Io finalmente ne sono uscito, ma mi rendo conto della sofferenza dei familiari delle vittime. Colpa di chi ha voluto insistere su una pista sbagliata, e che ha finito per illuderli per l’ennesima volta. Ma non sarebbe stato giusto lenire il loro dolore sbattendo all’ergastolo degli innocenti». Delfo Zorzi è a casa sua, a Tokyo, e risponde subito al telefono. E’ notte fonda, ma lui sta ancora lavorando. «Certo sono felice, è la fine di un incubo. Ma è una giornata come le altre: gli ultimi clienti sono appena andati via e devo ancora sistemare una serie di ordini». Adesso che fa, Zorzi, torna in Italia? «Beh, hanno revocato il mandato di cattura per piazza Fontana, ma resta quello per Brescia, anche se è solo per sottrazione alla giustizia. Vedremo. Vedremo come faranno a portare avanti un processo che si basa su invenzioni ancora più inverosimili dei cosiddetti pentiti». Adesso che è stato scagionato, Zorzi è un fiume in piena: alla domanda se abbia almeno un’idea di chi sia stato a mettere quella maledetta bomba risponde che l’idea ce la potrebbe anche avere, ma che non ha nessuna intenzione di rubare il mestiere ai magistrati: «Che facciano il loro dovere, ma per davvero, senza rincorrere i fantasmi».

E aggiunge: «Dopo aver fallito con i titolari, con i professionisti della politica, hanno provato a coinvolgere i panchinari, giovani studenti come me, che all’epoca erano sì impegnati in politica, ma che avevano ben altre priorità, nel mio caso, lo sport. Adesso che faranno? Chiameranno in campo i ragazzini?».

Zorzi non si ferma, continua ad imprecare contro chi, pur consapevole che l’inchiesta era campata in aria, ha voluto portarla avanti a tutti i costi: giudici e uomini del Ros. E vengono fuori il nome di Salvini, il giudice che ha legato il suo nome alla nuova indagine su Piazza Fontana, e del capitano Giraudo, dei Reparti Operativi Speciali dei Carabinieri. Ma si tratta, precisa Zorzi nel corso della telefonata, di semplici ragionamenti, non vuole che se ne ricavino dichiarazioni formali e che il tutto appaia come un’intervista. E va bene.

Non resta che fare come hanno fatto capire che faranno i giapponesi: archiviare il caso. Nei giorni scorsi eravamo andati a sondare le loro intenzioni, in vista dell’oramai imminente sentenza. «Anche ammesso che la condanna venga confermata ¡ ci aveva spiegato un alto funzionario del ministero della giustizia ¡ non è detto che procederemo immediatamente alla revoca della cittadinanza. Come abbiamo ripetutamente detto, si tratterebbe del primo caso in assoluto, e prima di farlo, dobbiamo essere assolutamente certi di poter vincere l’impugnazione della nostra decisione da parte di Zorzi». Eh già, lo chiamano ancora Zorzi, i funzionari giapponesi, anzi, Mr.Z. E non, come dovrebbero visto che dal 1989 è un loro connazionale, signor Hagen Roi. Lo stesso vale per il dossier, due faldoni belli ordinati con una bella Z sul dorso. «E’ per via dei giornali ¡ hanno spiegato ¡ E’ nato come caso Zorzi e tale è restato».

Un caso chiuso? Sembra sì. Difficile che le autorità giapponesi vadano in fondo alla questione della nazionalità, come era stato richiesto dalle autorità italiane, per stabilire se era stata o meno acquisita regolarmente. Potrebbe crearsi anche un imbarazzante precedente in vista di un altro caso scottante: quello dell’ex presidente del Perù Alberto Fujimori. Anche lui inseguito da un mandato di cattura, anche lui non estradabile perché cittadino giapponese.

Il Manifesto