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630 mila voti: Bertinotti è soddisfatto e vuole spostare a sinistra l’Unione

Publie le martedì 18 ottobre 2005 par Open-Publishing
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di Rina Gagliardi

Un un evento partecipativo che ha spiazzato del tutto le previsioni più ottimiste, in quella che è risultata in tutta evidenza una mobilitazione straordinaria del "popolo di sinistra", quasi una prova generale delle prossime elezioni per mandare a casa il governo di centrodestra, com’è andato il candidato Fausto Bertinotti? "Seicentomila voti sono un risultato di tutto rispetto" risponde il segretario di Rifondazione comunista, affannatissimo tra un’intervista e un vertice. "Perché in questa grandissima esplosione di partecipazione politica, che nessuno di noi aveva previsto in queste proporzioni, un numero imponente di persone ha votato contro il senso comune, ha immesso un surplus politico nella consultazione, insomma ha votato a sinistra".

Ha indicato Bertinotti come leader dell’intera coalizione, come possibile premier: una cosa da matti, a pensarci bene. E al termine di una campagna elettorale nella quale il leader del Prc si è giocato la partita senza avere alle spalle né una grande organizzazione, né grandi mezzi, né l’appoggio delle altre forze della sinistra alternativa. Sì, se guardiamo a questa vicenda con il necessario "distacco analitico", possiamo considerarci soddisfatti, anche se certamente ci aspettavamo qualcosa di più. E ora? Ne ragioniamo proprio con il segretario.

 Un giudizio d’insieme su queste primarie, quasi ancora a caldo

Beh, è successo qualcosa di così straordinario - la voglia di partecipazione - che sarà bene non solo non disperderlo, ma cercare in ogni modo di metterlo a frutto. Cominciando con una riflessione accurata e davvero approfondita, che coinvolga anche gli esterni e che spieghi a tutti perché sono andati a votare oltre quattro milioni di persone, quando i più ottimisti di noi, i meglio disposti, avrebbero scommesso, al massimo, su un milione e mezzo. Io credo che sia questo il significato prevalente delle primarie: una grande domanda di politica e di cambiamento politico. Essi si sono espressi nella forma, se così si può dire, più "naturale" e antica: l’unità, la fedeltà massiccia al valore dell’unità, che resta parte integrante del Dna del popolo di sinistra.

 Il consenso quasi plebiscitario per Romano Prodi lo si spiega così? Quasi fosse, prima che la scelta di una persona o di un leader, la scelta dell’Unione?

Non userei una parola come "plebiscito", che rischia di essere fuorviante. Prodi è stato votato a valanga in quanto è stato - ed è - percepito, vissuto, assunto, come la sintesi unitaria più credibile dell’Unione: insomma, come la figura che, più o meglio di altre, rappresenta la coalizione che si candida a governare il Paese e a metter Berlusconi fuorigioco. Prodi non è stato votato, voglio dire, come una parte dell’Unione, o come il portatore di un programma particolare e definito, ma come la figura politica che può garantire oggi l’unità della coalizione, il suo pluralismo interno, la ricchezza delle sue articolazioni. Nel voto di domenica si sono quindi espressi sia la voglia di decidere in prima persona sia la "necessità" di attribuire una delega e un mandato credibili. Era in fondo logico che così fosse. Solo che è avvenuto in dimensioni così grandi e inattese da determinare una vera e propria "onda d’urto", tale da spiazzare molti schemi di partenza

 Infatti, molti di noi si aspettavano un risultato un po’ più consistente per il candidato Bertinotti: un’aspettativa che, mi par di capire, era misurata su un’ipotesi partecipativa assai diversa da quella reale. Siamo soddisfatti, o anche un po’ delusi?

Credo che dobbiamo essere molto soddisfatti. Abbiamo investito, molto più di altri, nell’opportunità che le primarie potevano rappresentare: e abbiamo avuto ragione. D’ora in avanti, sarà difficile privarci di questo strumento, che comunque intercetta un bisogno vero delle persone e della società. Abbiamo saputo reggere all’onda di cui dicevamo (significative, a proposito, le cifre dell’Emilia-Romagna, dove Prodi ha preso l’88 per cento), raccogliendo un consenso lusinghiero, politicamente molto impegnativo e audace, per chi ce l’ha voluto dare. Abbiamo dimostrato, sul campo, che la credibilità di Rifondazione comunista è reale, molto più di tante altre sigle. Ma proviamo a pensare "al rovescio", per capirci: che cosa sarebbe successo se, per dire, avessimo deciso di non esserci? Credo proprio che sarebbe stato un disastro: la nostra scomparsa dalla scena, la dichiarazione definitiva della nostra "minorità" politica..

 Ma ora - ecco una domanda che frulla nella testa di tanti compagni - spostare a sinistra il programma dell’Unione sarà più facile o più difficile? Prodi ha già rivendicato la sua piena "responsabilità", leggi il suo primato indiscutibile, e ha usato, se posso dire, un tono comprensibilmente soddisfatto, ma anche un po’ autoritario....

Senti, intanto non credo proprio che Romano Prodi possa comportarsi secondo il vecchio adagio "passata la festa, gabbato lo santo". O addirittura secondo il motto "ghe pensi mi". Come se tutto quello che è successo in queste primarie fosse, semplicemente da archiviare: le assemblee, i "voglio", le domande concrete restano tutte, chiedono risposte, non possono in nessun caso essere eluse. Ora, l’esplosione partecipativa, e la domanda di politica, che sono per natura un "semilavorato", vanno interpretate, sviluppate, arricchite, insomma tradotte in proposte - certo, non potranno avere come loro sbocco autentico la decisione di un singolo. L’Unione è una soggettività politica ricca e plurale, dove si confrontano anime e posizioni diverse: da questo dato non si può recedere. Perciò alla tua domanda, non posso che rispondere così: spostare a sinistra la faccia concreta della coalizione, è oggi sia più facile che più difficile. E’ più facile, perché la partecipazione alimenta di per sé un processo incentrato sui contenuti - sulla ricchezza delle soggettività, degli attori, del popolo bisognoso di un cambiamento vero, non solo di classe dirigente - e mette in campo la necessità, ormai non rinviabile, di una riforma in grande della politica. E’ più difficile perché la domanda di unità è così forte che tende a mettere in secondo piano il confronto stesso sui contenuti - rischia, cioè, di "assolutizzarsi", soverchiando ogni altra istanza.

 E quindi?

Quindi, essendo ben consapevoli sia dell’eccezionalità dell’esperienza - che vogliamo far diventare patrimonio permanente di questa coalizione - sia della difficoltà dei compiti che oggi ci aspettano, noi puntiamo oggi sulla crescita vera, e massiccia, del programma. E’ il tempo, per capirci, del "vogliamo", del coinvolgimento sempre più intenso dei soggetti politici organizzati, dei movimenti, degli attori sociali, della costruzione politica collettiva.

 Un po’ come se le primarie continuassero?

Esattamente. Il voto sui singoli, per teste, è stato esaltante. Ora, però, dobbiamo passare agli "Stati generali": ad una fase nella quale la politica pesa come "corpi" collettivi, come proposta, come soggettività plurale. Questa è una risposta necessaria al processo partecipativo che si è messo in moto - un abbozzo del "noi" che si può costruire. Insomma, dobbiamo fare un cammino simmetrico (ancorché rovesciato) ed opposto rispetto a quello della Rivoluzione francese dell’89: dove il processo rivoluzionario si avviò quando i deputati cominciarono a discutere se votare, appunto, per Stati (ciò che automaticamente avrebbe dato la maggioranza alla nobiltà e al clero), o per teste - ciò che avrebbe reso evidente la forza della borghesia, o come si chiamava allora, del "Terzo Stato".

 Vuoi dire che noi, ora, siamo il "Terzo Stato"?

Ma sì, se non ti pare esagerato

http://www.liberazione.it/giornale/051018/LB12D6E7.asp

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