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Quattordici candidati per contagiare la politica

Publie le sabato 28 gennaio 2006 par Open-Publishing
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Dazibao Elezioni-Eletti Partito della Rifondazione Comunista Parigi Rina Gagliardi

di Rina Gagliardi

Nelle liste elettorali di Rifondazione comunista, per il prossimo 9-10 aprile, ci sono quattordici candidate e candidati - anzi quattordici "eleggendi" - che provengono, in gran parte, dall’esperienza della Sinistra Europea, e non dalla militanza di partito: a loro è affidata una funzione determinante, nonché un quinto dell’intera nostra rappresentanza istituzionale. Forse, a molti osservatori è sfuggito il carattere straordinario e singolare di questa scelta, che non ha paragoni nel panorama politico nazionale e internazionale. Forse, nemmeno a noi è chiaro che si tratta di molto di più di una pur importante volontà di apertura.

Chi sono questi candidati? Ci sarebbero tanti modi di definirli, se non fossero tutti inadeguati. Si potrebbe dire che sono "esterni" - ma esterni a che cosa, se è vero che sono prima di tutto "interni", internissimi, alle battaglie sociali e culturali alle quali il Prc partecipa in prima persona, o delle quali spesso è il motore attivo? Si potrebbe ripescare la classica dizione di "indipendenti" - di persone che non hanno cioè un legame di "dipendenza" da un’organizzazione o da un partito.

Ma la loro fisionomia concreta e la loro pratica politica "dipendono" moltissimo, invece, dai movimenti di questi anni, ai quali si sono, per lo più, "disciplinati". Si potrebbe provare a usare, infine, ad usare l’antica definizione di "compagni di strada" - che però rinvia ad un’idea di egemonia del Partito sull’area ad esso contigua che oggi (almeno per noi) non ha più corso. Insomma, questi futuri parlamentari costituiscono, semplicemente, una parte qualificata di quella sinistra d’alternativa che tanto è cresciuta in questi anni, in Italia e in Europa, con un’idea dominante: reinventare la sinistra, rifondare la politica.

Quando a Roma, in un emozionante incontro collettivo di maggio, nacque il Partito della Sinistra Europea, era a questo sogno ambizioso che si alludeva: non solo un nuovo soggetto, ma una nuova soggettività politica radicale, dove l’aggettivo andava - e va inteso - nel suo senso letterale. Andare alle radici del conflitto di civiltà ormai aperto. Ricostruire un progetto "progressivo", capace di sconfiggere le devastazioni del liberismo e del neooscurantismo, ma anche di ri-unificare i bisogni, le rivendicazioni, la lingua, le speranze dei diversi popoli che abitano la sinistra. Dare respiro europeo a una politica, compresa quella di tanta parte della sinistra, che oscilla tra pulsioni moderate, ecumenismo e "pensieri deboli".

Un’ impresa assolutamente ambiziosa, si capisce. Come si capisce che essa non si raggiunge attraverso le solite scorciatoie: la vecchia "politica delle alleanze", dei ceti politici che, più o meno, si uniscono e si "spartiscono" gli spazi, con mille astuzie tattiche e altrettante riserve mentali, non funziona più, se mai ha funzionato nella storia. Ma si capisce agevolmente anche che Rifondazione comunista - che pure ha molti meriti, specie ai nostri occhi - non poteva e non può pensare di farcela da sola, con le sue nobili ma esili forze.

Care, allora? Si avvia, provando e riprovando, un percorso processuale nuovo, che cioè non ha la pretesa di "mimare" o di applicare modelli precedenti. Il presupposto è che, nel movimento, nel vasto arcipelago della sinistra alternativa, non valgono le leggi dei numeri, o della potenza organizzativa: si è, in un senso preciso, "alla pari". Ci sono partiti, come il Prc, che tali restano, anche quando arrivano a mettersi in discussione. Ci sono strutture associative, nazionali, locali, orizzontali e veritcali. Ci sono irrinunciabili istanze di classe. E ci sono istanze non riducibili allo scontro di classe - come, su tutte, quella di genere. Ci sono dimensioni diverse del "fare politica", sindacato, movimento, opinione - un giornale, un sito Internet, una vertenza (o una issue) molto specifica.

Questa è, prima che un’analisi, la "realtà reale" delle esperienze di questi anni: che ha messo in discussione le gerarchie tradizionali e, spesso, le modalità stesse dell’agire, del decidere e del rappresentare; che ha proposto nuove sfere della politica (il femminismo, l’orientamento sessuale, ma anche l’etica), che un tempo nessuno considerava sotto il "pomposo" nome di politica; che ha rimescolato le separazioni consolidate, tra politico e sociale, tra rivendicativo e culturale, tra locale e globale. Anche per queste ragioni di fondo, non avrebbe gran senso ogni frettolosa proclamazione di "nuova sintesi". Quel che deve e può procedere è, appunto, il processo, il confronto, la costruzione per tappe: una trasformazione che è anche un’autotrasformazione, dove ci si influenza e ci si contamina, che è poi forse l’essenza vera di ciò che chiamiamo "democrazia".

Di tutto questo, i nostri quattordici candidati "non di partito" costiuiscono una tappa felice. Una pratica robusta di nuovo modo di far politica, oltre gli intenti e le chiacchiere. Forse è superfluo sottolinearlo: ma queste donne e questi uomini sono tutti rappresentativi di esperienze importanti, senza a loro volta esser legati a vincoli di "rappresentanza ufficiale" di qualcosa. Haidi e Alì, prima di tutti: le drammatiche e fondative giornate di Genova, la lotta storica per il riscatto palestinese. Vladimiro, ovvero la sfida "transgender" che inquieta tutte le nostre certezze e i nostri bisogni perbenistici. Un dirigente metalmeccanico: una gloriosa storia operaia che, anche in questi anni difficilissimi, ha saputo spezzare l’isolamento e mantenere ferma una bussola di classe. Francesco e Daniele: dal Sud a dal profondo nord milanese, dai disobbedienti al "Leoncavallo", le voci del movimento giovanile che ha cercato di coniugare ribellion e e alternativa. Pietro e Antonello: la sinistra storica che ha rotto con il continuismo e ha trovato il coraggio di tentare l’"oltre". Maria Luisa Boccia: un femminismo intriso di politica, che non rinuncia a misurarsi, senz’altre mediazioni, con la sfera della teoria.

Mercedes Frias: l’impegno globale, da Santo Domingo alla Toscana, per costruire nuovi cittadini migranti. Martone e Molinari: militanti di lungo corso, che hanno militato nei "movimenti sostanziali", l’acqua, l’ambiente, i beni comuni. Sabina Siniscalchi: Mani Tese, la Banca Etica, l’impegno di un’altra diplomazia. Lidia Menapace: una donna straordinaria protagonista di mille battaglie per la pace e per le donne. Vedete com’è facile, in fondo, dare la cifra di ciascuna di queste persone: ciascuna di loro, sono "uno di noi". Le abbiamo incontrate tante volte, alle manifestazioni contro la guerra, ai meeting nazionali, nelle lotte per in nuovi diritti - tutte le volte che era necessario e urgente "fare qualcosa di sinistra" e non perderne la memoria. Ognuno di loro, ora, ha scelto di sperimentare la politica istituzionale - si è fatto simbolo di se stesso, e del molto che tutti noi vorremmo. Non sarà un’esperienza facile: le istituzioni hanno, in sé e per sé, una enorme capacità di metabolizzare, ovattare o semplicemente negare, ogni diversità. Ma anche questo è parte integrante del percorso, e di questa tappa. Vuoi vedere che, anche grazie a loro, la politica cambia davvero?

http://www.liberazione.it/giornale/060128/LB12D6D0.asp

Messaggi

  • Speriamo davvero che queste persone possano contagiare questa politica, ogniuna con la propria appartenenza e la propria particolarità che arricchisce. W i movimenti, un mondo migliore è possibile, ora stà a noi!
    Matteo

  • "Sono un elettore di sinistra in crisi nella scelta per le prossime elezioni. Ho spesso votato i DS ma oggi mi riconosco poco in quel partito! Ero tentato di votare Rifondazione, apprezzo molto Fausto (anche se, in parte, gli addebito la responsabilità di aver fatto cadere il governo Prodi nel 98) ma ho un dubbio che alla fine mi porterà a non votare Rifondazione. Ve lo esprimo: come si fa a conciliare il pacifismo, l’impegno contro la violenza (tutte le violenze senza distinguere tra una "BUONA" quella nostra, e una "Cattiva" quella degli altri) e la candidatura di un violento come il Francesco (Caruso) citato nell’articolo? Tutte le volte che l’ho sentito parlare le sue parole sprizzavano violenza in tutte le direzioni. Ha dichiarato di non credere nella democrazia parlamentare. Ma perche si candida allora per essere eletto in un parlamento? Credo che se si voglia avere credibilità bisogna a volte fare scelte drastiche, dolorose, rinunciando anche ai voti che una candidatura puo portare. Questo è stato fatto coraggiosamente per Ferrando ma ci si è fermati a metà del guado, credo. Alla fine credo che darò il voto ai Comunisti Italiani."
    Saluti
    Ignazio