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1978 FAUSTO E IAIO, UN DELITTO ANCORA IMPUNITO

Publie le lunedì 15 marzo 2010 par Open-Publishing
20 commenti

Ci sono delle favole, ma raramente a lieto fine, sono favole per i grandi, in cui essi finiscono per giocare al rompicapo. Poi ci sono degli armadi, alcuni socchiusi, giusto per fare ipotesi, alcune volte giuste, sacrosante, con l’occhio a spiare dal buco della serratura. Poi ci sono quelli sigillati ed è la maggioranza dei casi. Come quelli socchiusi di cui sopra, o ancora peggio, del contenuto ne è a conoscenza buona parte di coloro che trovano ad aggirarsi per quelle stanze. Hanno differenti mansioni, alcuni addirittura sono preposti come severi guardiani a far sì che ogni visitatore curioso si affacci quel poco, contempli le ante serrate e gli si dica senza mezzi termini che è di quel contenuto che deve contentarsi, sia chiaro una volta per tutte.
Altre volte invece c’è chi capita come a finirci dentro, un po’ per malizia e un po’ per curiosità. Un po’ per caso ed altre ingenuità. Tutto il resto è fatto di chi tiene le chiavi legate alla cintura e chi dall’altra parte non vede né armadio, né chiavi né stanza e ne ignora l’esistenza come una cecità voluta e suggerita da vertici misteriosi ma sempre pronti ad agire nell’ombra.

Questa è la storia di due ragazzi, due militanti. Due compagni di Milano. Molti si ricorderanno di loro, e magari leggere non servirà o sarà un esercizio sommario di noia, difficile dirlo. Ognuno agirà di conseguenza e stabilirà di essere depositario di una verità minore o maggiore che qui tenteremo di raccontare. Due ragazzi come tanti allora, e la militanza era fatta d’atti e in misura minore di slogan. Certo, vedere i propri compagni morire per un buco senza poter replicare o ribellarsi, sfido io. Certo, vedere come ronde di mafiosi, camerati e malavitosi in genere quando quella zona, Parco Lambro e Casoretto proprio non ha bisogno di altri grattacapi, questo non è ciò che i due ragazzi si auspicavano. Poi c’è una via che guarda il caso conserva gelosamente la matassa ingarbugliata di una storia che ancora oggi presente tanti interrogativi, Via Monte nevoso: al civico 9 abita uno dei due ragazzi: Fausto Tinelli. Dirimpetto il covo dei brigatisti con Aldo moro prigioniero, carte raccolte, voci soffocate ma certamente movimenti che non potevano passare inosservati. Due prove pesanti fanno un solo indizio o uno che di per sé è molteplice, macroscopico. «Certo. È stata una cosa dei servizi segreti, legata a Aldo Moro. Noi abitavamo in via Montenevoso, davanti all’ appartamento delle Br. Nello stesso nostro palazzo c’ erano i servizi. Tante cose non sono spiegate, tante cose la gente non sa. È come se questi ragazzi non fossero esistiti» aggiunge oggi Danila, la madre di Fausto.
Dalla stanza di Fausto alla finestra del covo brigatista ci sono meno di dieci metri, e in quell’ambiente il ragazzo del Casoretto passa buona parte delle sue giornate, a leggere e ascoltare musica. Se esiste un misterioso legame tra il sequestro Moro e il duplice delitto di Milano, bisogna dare atto ai registi della trama di aver fornito anche la controprova: nel 1981 in provincia di Roma venne ucciso il capitano di polizia Francesco Straullu, e il delitto fu rivendicato dal nucleo fascista che si rifaceva a Franco Anselmi. Il fatto è che anche il nome di Straullu riporta al caso Moro: il capitano aveva indagato sul famoso borsello trovato nel 1979 in un taxi romano, e carico di "simboli" riferiti a Moro e al giornalista Pecorelli. Coincidenza per coincidenza, Carminati è stato indagato e prosciolto anche per l’omicidio Pecorelli. L’autore di quel delitto, chiunque fosse, indossava un trench bianco. Come i carnefici di Fausto e Iaio.
Fausto Tinelli viene da una famiglia semplice, ha i capelli chiari e i suoi passano dalla Germania a Trento e poi per cercare lavoro si trasferiscono a Milano. Lui ancora studia, vorrà fare l’insegnante o occuparsi del sociale, i problemi di quella che è la sua città ora. Va al liceo Hayeck, un liceo artistico, un professore ha lasciato una bellissima testimonianza di quei giorni, la mamma Danila avrebbe voluto che lo intitolassero a lui, ucciso a soli 19 anni. Quella sera avrebbero mangiato assieme, lui e Iaio Iannucci. Ricorda Danila: "Quel sabato avevo preparato il risotto e lo strudel perché li aspettavo tutti e due a cena. Era anche l’anniversario del mio matrimonio.
Alle 19.45 Fausto era sempre a casa per la cena, era sempre puntuale ma quel giorno non si vedeva. Alle 20.30 cominciai a preoccuparmi e dopo aver messo il piccolino a letto , decisi di telefonare a qualche amico di Fausto ma nessuno sapeva nulla. Il bambino quella sera non voleva dormire, era agitatissimo.
Poi ho sentito bussare alla porta e dalla finestra ho visto dei poliziotti. Sono saliti e mi hanno chiesto dove abitava Fausto Tinelli. Io ho risposto che era mio figlio. Poi hanno rovistato in giro per la casa e mi hanno chiesto dov’erano le armi. Fausto era onesto, non aveva armi. In camera sua c’erano solo libri e giornali. I libri erano le sue armi.
I poliziotti mi hanno poi detto che aveva avuto un incidente in manifestazione. Impossibile, perché quel giorno non c’erano manifestazioni in programma. Un incidente in auto. Ma Fausto non aveva neanche la patente. Infine mi hanno detto che aveva preso una bastonata in testa, consigliandomi di recarmi in ospedale.
Allora sono andata all’ospedale "Bassini" e ho chiesto notizie di Fausto. Mi ha risposto un poliziotto dicendomi che era morto già da un pezzo.
A quel punto sono scappata a casa e ho acceso Radio Popolare per sapere cos’era accaduto.
Ho sentito che avevano ucciso anche Iaio per un regolamento di conti riguardante l’eroina.
Io ho subito chiamato la radio smentendo questa cosa perché Fausto e Iaio lavoravano contro lo spaccio e per la prevenzione.
Il giorno dopo quelli di Democrazia Proletaria mi hanno detto di far eseguire l’autopsia sui corpi, per dimostrare che i ragazzi non assumevano nessuna sostanza.
L’autopsia è stata fatta e non è risultato nulla. Fausto non fumava nemmeno le sigarette.
Il Giudice ha ammesso che i ragazzi erano assolutamente puliti e che con la droga non c’entravano nulla ma fino ad ora non c’è stato giustizia e io voglio la verità."

Fausto e Iaio, lui viene dal Sud invece, si conoscono da bimbi,mentre giocano con i calzoni ancora corti alla parrocchia di Santa Maria Bianca,nel cuore del Casoretto.Frequentano i corsi di catechismo e in preparazione della Prima Comunione.Da allora sono diventati inseparabili,amici per la pelle.Giocano per ore,senza stancarsi con quelle scarpette sempre sporche di terra.
Sempre insieme alle feste con gli amici,al Lambro,al Leoncavallo.
"Da qualche mese aveva trovato da lavorare presso un restauratore,un impiego senza libretto che però gli risparmiava l’umiliazione di chiedermi le cinquecento o le mille lire per il cinema"-dirà anni dopo la madre di Iaio.
Da due anni suona la chitarra.Lo zio,un magazziniere della scuola elementare,gli regala una sei corde.La ricordo perché un pomeriggio al Parco Lambro suonammo per alcune ore,senza fermarci. Amava il blues. E’ portato per la musica.Ha un orecchio particolare. Lui abita in due locali al terzo piano di un vecchio stabile in piazza San Materno. Qualcosa come ventimila lire al mese d’affitto.In casa ci sta poco perché non possiede una sua stanza, neppure un angolo per le cose personali.Dorme in una brandina nella stanza da letto dei genitori. Così e’ sempre in movimento. Adora i bambini.Una volta sulla 62 chiede a una giovane signora che non conosce:"Mi presta il bambino che ci gioco un po’?".La signora avvicina suo figlio a Iaio. E giù boccacce e risate a crepapelle.E’ fatto così. Allegro,sempre sorridente,di un sorriso imbarazzante.Sa essere spontaneo anche quando torna a casa dal suo lavoro: dal falegname decoratore lo sfrutta ma poco prima di morire intende lavorare in artigianato con altri. Sempre preso a far progetti di vita,con il suo amico Antonio sogna di comprare una fattoria o aprire una comune. Ama viaggiare: se avesse tirato su qualche soldo sarebbe andato certamente in India.Veste come va di moda negli anni Settanta ma lui e’ libero anche da quegli schemi:si cuce perfino i pantaloni larghi addosso.Quando è al Leoncavallo si sente un re. Gli piace mettersi la bombetta,comprata da un amico nei mercatini di Londra.
La porta sempre. E balla per ore,senza fermarsi.E’ buffo con quella faccia da giovane indiano.Uno splendido indio dai capelli neri”.
Maria, la sorella, lo ricorda ancora oggi."Quando aveva 14 anni lo chiamavano Pollicino,perché era piccolo,poi quando andò alle superiori divenne alto,magro,coi capelli lunghi a caschetto:il suo modo di fare affascinava le ragazze con le quali aveva un rapporto bello,era amato dalle persone e si era costruito un gruppo intorno a lui". Nota che nei giorni prima di essere ucciso è cupo,triste." Non mi raccontò nulla a proposito di ciò che lo assillava: solo dopo la sua morte collegai questo suo atteggiamento a qualcosa di più grave,inerente alle indagini che stava svolgendo insieme ad altri sul mondo dello spaccio della droga nel quartiere,qualcosa che lo angosciava in modo profondo". Politicamente è un "cane sciolto", nel senso che non fa parte di un’organizzazione politica.Va al Leoncavallo,vive anche i momenti delle case occupate.Ce n’e’ una in via Pasteur dove andava spesso. Si avvicina all’area dell’Autonomia operaia milanese pur con qualche distinguo.Rifiuta però le etichette. Di lui rimangono i ricordi degli amici e tante poesie,scritte da anonimi ragazzi milanesi che posano i loro pezzi di carta in via Mancinelli,nel luogo del delitto."Sai Iaio,quando mi sei tornato davanti agli occhi? Sentendo un pezzo dei Rolling Stones.Ti ho visto ballare al Leoncavallo.Si erano accese le luci,ma tu continuavi, scuotendo la testa,i capelli,con la camicia marrone fuori dai pantaloni,sulla maglietta.Poi eri venuto in radio,al di là del vetro,col naso schiacciato.Ridevi sorridevi. E sceglievamo la musica in silenzio,frugando per trovare quella giusta”.
Quella sera, proprio prima di morire, hanno trascorso una giornata tranquilla: Lorenzo in piazza Duomo insieme alla sua ragazza, Fausto al Parco Lambro con gli amici. Mezz’ora prima si sono incontrati alla "Crota Piemunteisa", un bar-trattoria di fronte al centro sociale Leoncavallo, e ora si dirigono verso casa di Fausto, in via Montenevoso 9, per l’appuntamento del sabato col risotto di mamma Danila. L’edicolante all’angolo tra via Casoretto e via Mancinelli li vede fermarsi davanti alle edizioni straordinarie dei giornali, a commentare i titoli sul sequestro Moro. Sono ragazzi come oggi ce ne sono sempre meno, Fausto e Iaio: attenti al mondo intorno a loro, impegnati nel quartiere. Negli ultimi mesi hanno lavorato ad un dossier sullo spaccio di droga al Casoretto.
All’altezza dell’Anderson School di via Mancinelli ci sono tre persone infagottate in trench bianchi. Una signora, Marisa Biffi, vede Fausto e Iaio fermi alla loro altezza. Ecco il suo racconto, tratto dal libro Fausto e Iaio, di Daniele Biacchessi: "Tre ragazzi sono in piedi sul marciapiede, a 5-6 metri da me. Contemporaneamente un altro giovane è leggermente piegato e si comprime lo stomaco con entrambe le mani. Odo tre colpi attutiti che lì per lì sembrano petardi. I tre giovani sul marciapiede scappano velocemente mentre quello che è piegato su se stesso cade a terra. Mi avvicino al giovane caduto... Subito oltre il suo corpo, a un paio di metri, il corpo di questo ragazzo che prima non avevo visto né in piedi né a terra. Nessuno dei due ragazzi pronuncia un parola... Altrettanto fanno gli assassini che fuggono nel silenzio, avviandosi verso via Leoncavallo. Noto che il giovane con l’impermeabile ha un sacchetto che sembra di cellophane bianco in mano".
Dalla testimonianza si deduce che gli assassini sono professionisti: agiscono rapidamente, non dicono un parola, raccolgono i bossoli nel sacchetto di plastica che la signora Biffi ha visto nelle mani di uno dei killer. A sparare otto o nove volte è stata una Beretta 80 calibro 7,65, arma leggera e agile, ideale per colpire da vicino. Prima è caduto Fausto, colpito all’addome, al torace, al braccio destro e ai lombi. Poi è toccato a Lorenzo: torace, ascella destra, inguine, fianco destro.
Dopo l’omicidio, il gruppetto di tre sparisce nel nulla. L’indomani un funzionario della Questura parla con i cronisti: "E’ chiaro, si tratta di una faida tra gruppi della nuova sinistra, o inerente al traffico di stupefacenti". La scientifica fa circolare la voce che l’assassino abbia sparato con una pistola calibro 32. "E’ un’ipotesi tirata per i capelli, come del resto quasi tutte quelle formulate - scrive L’Unità -. C’è almeno un elemento certo nelle indagini sulla barbara uccisione di Lorenzo Iannucci e Fausto Tinelli. I killer per uccidere hanno usato pistole automatiche avvolte in sacchetti di plastica".
L’articolo è firmato da Mauro Brutto. Non ancora trentenne, Brutto è il prototipo di una specie oggi in estinzione, il cronista di nera. La Milano di quegli anni, splendidamente raccontata da Scerbanenco, gli offre mille spunti di lavoro. Ma Brutto è anche un uomo di sinistra, e nella morte di Fausto e Iaio vede chiaramente la mano della destra milanese. Ne parla mesi dopo il delitto con Danila, la mamma di Fausto: "Mauro venne a casa mia - ha raccontato la donna - si stava occupando del connubio tra trafficanti di eroina, fascisti milanesi e romani, apparati dello Stato; mi disse che la verità su Fausto e Iaio non era chiara".
Per mesi Mauro Brutto raccoglie elementi sul delitto di Via Mancinelli. In novembre qualcuno gli spara tre colpi di pistola senza colpirlo. Pochi giorni dopo il giornalista mostra una parte del suo lavoro ad un colonnello dei carabinieri. Il 25 novembre, dopo cena, Brutto ha appuntamento con una sua fonte. Lo vedono entrare in un bar di via Murat, comprare due pacchi di Gauloise, uscire, attraversare la strada. A metà della carreggiata si ferma per far passare una 127 rossa. In senso inverso arriva una Simca 1100 bianca, lo investe e scappa.
"La Simca sembrava puntare sul pedone", dirà nel corso della rapida inchiesta l’uomo a bordo dell’altra auto, la 127. Sparisce il borsello di Brutto, pieno di carte, forse trascinato dalle auto in corsa. Lo ritrovano qualche ora dopo in una via vicina, vuoto.
Ci sono elementi sufficienti per fare ipotesi, ma non per evitare che la morte di quel bravo cronista sia archiviata come incidente, mentre prosegue l’inchiesta su Fausto e Iaio. Dopo il delitto sono arrivate alcune rivendicazioni di ambienti di estrema destra. La più credibile appartiene all’Esercito nazionale rivoluzionario - brigata combattente Franco Anselmi. Anselmi era un neofascista romano, morto dodici giorni prima dell’omicidio di Fausto e Iaio, mentre tentava di rapinare un’armeria della capitale. Tra i camerati del gruppo di Anselmi c’è Massimo Carminati, il guascone senza paura che svolge i lavori sporchi per conto della banda della Magliana, la più potente organizzazione criminale romana, e ha rapporti con i servizi deviati. Tra le molte cose, Carminati è stato accusato di aver ucciso Carmine Pecorelli ed ha lavorato con due ufficiali del Sismi a un tentativo di depistaggio dell’inchiesta sulla strage di Bologna...
Dopo anni d’indagine, Carminati sarà prosciolto per l’omicidio di Fausto e Iaio insieme ai camerati Claudio Bracci e Mario Corsi. Nei loro confronti ci sono alcuni indizi e le dichiarazioni dei pentiti, ma niente che si tramuti in prove certe. Del gruppo, oggi il più famoso è Corsi. Lo chiamano Marione, ed è il conduttore di una popolare trasmissione calcistica sulla Roma, in onda su "Centro Suono Sport” e si chiama “Te la do io Tokyo”. E’ stato un capo tifoso, quando la squadra giallorossa era di un presidente discusso come Ciarrapico, è stato in grado di ricattare la dirigenza, è stato indiziato dell’omicidio di Ivo Zini e per aver dato fuoco ai cinema Induno e Gardena. Amico di personalità come Fiore, Zappavigna e Kapplerino. Annovera fra i suoi “fiori all’occhiello” vere e proprie trasmissioni di politica e di attualità in grado di orientare gli ascoltatori e di indirizzare opinioni fra un brano di Guccini e uno del Ventennio.
Nel dicembre 2000 il GUP di Milano Clementina Forleo dispone l’archiviazione del fascicolo. Pur riconoscendo di essere in presenza di indizi concreti a carico di esponenti della destra eversiva, al giudice "... appare evidente allo stato la non superabilità in giudizio del limite appunto indiziario di questi elementi...".

Danila ricorda ancora: «Due ore prima di essere ucciso, Fausto stava guardando in televisione i funerali della scorta di Moro. Mi ha detto: ma come si possono uccidere così delle persone? Poco dopo, è toccato a lui».
Maria Iannucci si oppone al discorso di pacificazione fra rossi e neri e a un’omologazione di comodo:
“L’uccisione di Fausto e Iaio è stata una cosa enorme anche per questo: loro erano due ragazzi molto noti nella zona, perfettamente calati in quella realtà. E io sono sempre stata convinta che il senso del loro omicidio sia stato proprio questo: hanno colpito loro due non perché avessero scoperto chissà cosa circa il traffico di droga, ma perché volevano colpire due ragazzi in cui gli altri potevano identificarsi. Volevano distruggere qualcosa di più grosso che stava nascendo”.
E Danila ancora una volta non intende abbandonare la lotta e ribadisce il suo appello:
“Sono la madre di Fausto Tinelli e voglio esprimere quello che provo, oltre alla mia sincera solidarietà verso i parenti delle vittime delle stragi e di quelle cadute sotto un gioco perverso. So quello che si prova in quei momenti, l’ho sperimentato sulla mia pelle.
All’inizio non capisci, non ti rendi conto di quello che è accaduto. Vivi come un brutto sogno, stupito e incredulo. Vivi nel frastuono: un bel funerale di stato, belle parole e con questi gesti tutti se ne lavano le mani. Subito dopo ritorni alla realtà. Il dolore ti fa impazzire, entra in te come l’aria che respiri. E allora cerchi aiuto e conforto.
Chiedi una mano e riponi tutte le tue speranze nella giustizia, che ti aiuti a capire. Ma ti si chiudono le porte in faccia perché tu non sei di serie A anche se sei una persona onesta, come lo erano Fausto e Iaio, due ragazzi che frequentavano il Leoncavallo e perciò "carne da macello". Il privilegio di sperare giustizia, di avere un processo, di essere risarciti del sangue dei nostri cari non è un nostro diritto.
Anche se sono vittime innocenti della strategia di quel periodo e nessuno si azzardi a dire il contrario.
Da ben 22 (32 ndr) anni mi sono costituita parte civile in un procedimento contro 3 individui di estrema destra, ma questi vivono tranquilli e fanno carriera.
Perché nessuno li tocca?
Eppure ci sono 6 pentiti che li accusano.
Perché i pentiti dei nostri processi non sono attendibili?
Forse lo sono solo quelli che vogliono loro e i nostri non sono tra questi.
Dove sono tutte quelle belle frasi che da bambina ti hanno insegnato a scuola, come ama la patria, difendila e rispettala. Io l’ho fatto questo, ma lei non mi ha ricambiato.
Noi per lo stato siamo vittime invisibili, che non vuole proprio vedere. E io mi sento come una madre argentina e Fausto e Iaio dei desaparecidos”.
E’ dal 22 marzo del 1978, giorno dei funerali dei due ragazzi del Casoretti, che Milano non ha smesso di chiedersi il perché,

Fausto e Iaio avevano diciotto anni.
Oggi conosciamo una verità storica ma non abbiamo ancora giustizia.
Dimenticandoli li uccideremo una volta ancora.

Messaggi

  • "Dirimpetto il covo dei brigatisti con Aldo Moro prigioniero ..."

    E’ certamente intrigante ed inquietante la coincidenza tra il luogo della uccisione di Fausto e Iaio ed il fatto che nelle immediate vicinanze ci fosse una importante base delle BR.

    Anche se giustamente si è sempre ritenuto che i fascisti romani che andarono ad uccidere Fausto e Iaio agissero nell’interesse del clan Turatello ( mandati a loro volta dal boss romano della Magliana Abbruciati, intimo dello stesso Turatello) e che i due compagni siano stati eliminati per il loro ruolo di controinformazione rispetto ai traffici di eroina, non è affatto da escludere che, magari senza che nemmeno i fascisti assassini ne fossero coscienti, quell’attentato fascista fosse pure un segnale alle Br ... sia Turatello che Abbruciati avevano infatti notoriamente a che fare pure con le "barbe finte" dei servizi segreti ...

    Ma cerchiamo di non esagerare con le "suggestioni" ... Aldo Moro era "prigioniero" a Roma in Via Montalcini e non a Milano in Via Montenevoso.

    Radisol

    • "Prigioniero" non era inteso come presenza fisica dello statista. Fai bene a virgolettare e a aspecificare che era a Via Mancinelli a Roma (ed è naturale il fraintendimento), mai dare niente per scontato. Su Turatello, e il controllo della zona per una sorta di monopolio dello spaccio, è acclarata ogni forma di responsabilità come mandante "morale" del delitto duplice del Casoretto.

    • Molto bello, grazie al compagno che ha scritto questo pezzo. Sui giornali quasi mai si trovano le storie dei nostri compagni trattate così, con amore (direi) precisione e rispetto. Ma d’altra parte i giornalisti devono seguire linee guida e forse la passione, come un medico dopo tanti pazienti, l’hanno persa.
      Fausto e Iaio vivono e vivranno sempre, hanno sconfitto il tempo e l’ingiustizia. Hanno sconfitto i loro miserabili assassini.

    • Certi soggetti non perdono mai l’occasione buona di tacere. (mi riferisco al primo commento)

      Fausto e Iaio Vivono!

    • Ma vaffanculo ....

      E’ a forza di inseguire teoremi suggestivi e ad effetto ( come la vicinanza della base BR, che è solo una possibile concausa ma assolutamente non una certezza ), innamorandosi di tesi precostituite o letteralmente inventate a tavolino ( vedi le allucinate accuse a Fotia per Verbano degli scorsi giorni) che sia su Fausto e Iaio sia su Verbano non si è mai fatta chiarezza .....

      Se ci si fosse, ad esempio su Piazza Fontana, infognati su alcune tesi originarie del libro "La Strage di Stato" ( utile a far uscire fuori la responsabilità fascista ma alquanto depistante rispetto agli esecutori materiali visto che peraltro era stato largamente "ispirato" dall’allora capo dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale, Federico Umberto D’Amato) staremmo ancora inseguendo i fascisti romani di Delle Chiaie .... interni alla trama più generale ma estranei materialmente agli attentati milanesi .... e di Zorzi, Freda e Ventura non si sarebbe mai saputo nulla ...

      L’unica cosa certa, nel caso di Fausto e Iaio, è che i killers parlavano romanesco e che in quei giorni almeno due fascisti romani, Corsi e Zappavigna, erano a Milano .... e non hanno mai saputo dare spiegazioni plausibili di questa loro presenza in quella città ....

      Nonchè il fatto che sia alcuni "pentiti" fascisti che alcuni "pentiti" della malavita romana hanno indicato in Abbruciati il mandante nell’interesse di Turatello ... e dato che è assodato che un altro fascista romano, Carminati, era praticamente il killer personale di fiducia di Abbruciati ed al tempo stesso controllava il gruppo di Corsi e Zappavigna .... non era difficile fare due più due ....

      Si fosse partiti da questi fatti certi ed inoppugnabili senza inseguire suggestioni di varia natura ... l’esito sarebbe stato certo diverso ....

      Radisol

  • TUTTA LA MIA SOLIDARIETA’ AI FAMILIARI DI FAUSTO E IAIO, NELLA SPERANZA CHE FINALMENTE SI SCOPRE LA VERITA’, SOLO COSI’ POSSIAMO RENDERE GIUSTIZIA A QUEI POVERI RAGAZZI!!

    • Vaffanculo te Radisol. Perché non vai in una questura qualsiasi o presso una casa editrice tipo quelle che si occpuano di fantascienza a racconatre le tue cazzate? Fatto sta che tutto quello, senza una virgola in meno, ma senza UNA CAZZO di virgola in meno, scritto nell’articolo corrisponde a verità. E’ inutile che batti tanto le chiappe per affermare qui le TUE verità strumentali, non ci riesci.
      !) che ci fosse una base BR non è una suggestione lisergica tipo le tue quando ti bevi tropa pepsi e cominci a sentirti parte chissà di quale organizzazione eversiva, tipo Qui Quo Qua e le giovani marmotte.
      !!) Che vi fossero Mario Corsi, Bracci e Zappavigna è altrettanto confermato, tanto che al Corsi, ORIGINARIO di Cremona e con dei parenti che gli offrirono una base in quella città vennero trovate a casa sua svariate prove in merito comprese delle foto e delle lettere e la pistola venne fatta sparire come dicono quegli scritti.
      Cosa ti preme Radisol, la tua libertà o quella dei neofascisti, o entrambe?
      Ma vaffanculo ancora.
      Rispetta almeno i compagni morti, ché ogni volta vieni a sputare fango e sentenze da professorino del cacchio senza considerare che chi ti legge ha già inteso da un pezzo la tua penosa strategia.
      Della tua giustizia fatta in casa radisol, così come della storia riscritta (vedi la merda che hai defecato precedentemente sul caso Verbano) nobilmente ci puliamo il sedere agli asini.

    • Radisol vecchio porco fascista e ti faccio un complimento. Ma perchè non ti fai un giro? stai sempre a rompere i coglioni e a proteggere fasci e smerdare i morti fatti da loro. Ma non ti fai schifo verme.

    • Mario Corsi

      Mario Corsi detto Marione,è uno degli indiziati per l’omicidio di Fausto e Jaio. Il giudice delle indagini preliminari Clementina Forleo ha archiviato la sua posizione per insufficienza di prove. Nel ’77, faceva parte del gruppo "Prati" aderente ai Nuclei Armati Rivoluzionari. Nel’79 riceve il primo avviso di garanzia per l’omicidio di Fausto e Jaio. Viene arrestato nel 1981 nell’ambito dell’inchiesta sulla strage alla stazione di Bologna, poi rilasciato insieme ad altri neofascisti romani. L’indagine parte dalle scoperte del giudice Mario Amato, assassinato dai Nar nel 1980. Amato aveva ereditato un dossier realizzato dal giovane esponente dell’autonomia operaia anche lui ucciso nella sua abitazione, davanti ai genitori. Il 20 aprile 1982 il Tribunale di Roma lo condanna insieme a Massimo Morsello, Emanuele Appio e Maurizio Catena per l’assalto alla scuola romana "Fratelli Bandiera" avvenuto nel ’79. Il 28 maggio 1982 è rinviato a giudizio insieme ad altri 55 neofascisti dei Nar.Al gruppo il giudice istruttore contesta 220 capi di imputazione che vanno dalla strage alla rapina, omicidio, violazione della legge sulle armi, danneggiamento doloso. Il 17 maggio 1984 arriva per Corsi un’altra condanna. Il Tribunale lo ritiene responsabile degli incendi nei cinema "Induno" e "Gardena", avvenuti a Roma tra il ’79 e l’80. E’ condannato a cinque anni. Nel dicembre dell’84 viene accusato dell’omicidio del giovane simpatizzante del Pci, Ivo Zini. Il 2 maggio 1985 c’è la sentenza denominata "Nar 1" . Corsi riceve una condanna a 9 anni ma per il delitto Zini viene prosciolto per non aver commesso il fatto. Il 19 aprile c’è il secondo grado. In appello Corsi viene condannato per l’omicidio di Ivo Zini. 23 anni di carcere. Per lui la Corte d’Assise di Appello di Roma emette un mandato di cattura. Il 9 aprile dell’87, la Cassazione dispone un nuovo processo per Corsi relativo sempre a Zini. Intanto le inchieste su Fausto e Jaio a Milano proseguono con nuovi accertamenti. Il processo Zini torna nuovamente in appello e Corsi viene assolto. Nell’89, la Cassazione ratifica e Corsi viene prosciolto in via definitiva. Nel 1991, il giudice Guido Salvini gli invia un nuovo avviso di garanzia per Fausto e Jaio. Siamo nel ’96. Corsi si mette a capo della tifoseria romanista. Il 27 settembre viene arrestato. Con lui finiscono in manette Fabio Mazzei, di 33 anni; Giuseppe De Vivo, di 36 anni; Daniele De Santis, di 30 anni; Guglielmo Crisera’, di 35 anni; Giuliano Castellino, di 19 anni, e Fabrizio Carroccia, di 22 anni. I sette sono accusati di aver organizzato estorsioni a funzionari della societa’ giallorossa, pretendendo trattamenti di favore e facilitazioni per entrare allo stadio in occasione delle partite della Roma. In caso contrario, minacciavano i funzionari avvertendoli che sugli spalti ci sarebbero stati problemi di ordine pubblico. Quattro di loro fanno parte del gruppo dei ’’Boys’’; gli altri tre di ’’Frangia ostile, cuore di Curva’’. Arrivano altre accuse. Irruzioni in radio private per imporre la loro partecipazione alla trasmissione e far leggere i loro comunicati; minacce a giornalisti sportivi, tra cui due cronisti di altrettanti quotidiani romani; striscioni esposti allo stadio con intimidazioni mirate. Il Gip del Tribunale di Roma emette per questi tifosi altri provvedimenti per violenza privata, dopo ulteriori indagini svolte dalla Digos della questura di Roma, diretta da Domenico Vulpiani. In particolare, per Mario Corsi, e Fabrizio Carroccia, 32, ’’er mortadella’’ il Gip disposto gli arresti domiciliari. Il 24 settembre 1999,il Pm di Milano Stefano Dambruoso chiede l’archiviazione per Fausto e Jaio. Oltre all’ estremista di destra Massimo Carminati, riguarda anche i neofascisti Claudio Bracci e Mario Corsi, accusati di quel omicidio. Chiedendo l’ archiviazione, il Pm Stefano D’Ambruoso sostiene che non sono state trovate sufficienti prove a carico degli indagati. Quando Mario Corsi fu arrestato nel ’78 a Roma per l’aggressione ad alcuni militanti della nuova sinistra, nella sua casa vennero trovate le fotografie di Fausto e Iaio e dei loro funerali, che Corsi dice di aver preso dall’archivio di uno zio giornalista a Cremona. La presenza di quelle foto, per il Pm, e’ del tutto ingiustificata. Altre ipotesi del coinvolgimento di Corsi e del suo gruppo vengono da alcuni pentiti dell’estrema destra, tra cui Angelo Izzo, uno dei quali parlo’ anche di una sorta di confessione ricevuta da Corsi al telefono. Il 18 marzo 2000, il consigliere di Rifondazione Comunista Umberto Gay, denuncia pubblicamente Corsi. ’’Io accuso Mario Corsi di essere nella migliore delle ipotesi la ’spalla’ e nella peggiore il killer di Fausto e Iaio. Mi assumo le mie responsabilità - spiega Gay, che per rendere pubblica la sua denuncia ha incontrato i giornalisti nel palazzo di giustizia di Milano - e per la prima volta siete di fronte ad un soggetto privato che sceglie di accusare una persona con nome e cognome per quel delitto. Tu, Mario Corsi, sei l’assassino di Fausto e Iaio. Il mio obiettivo e’ che ci sia una risposta da parte dell’ interessato e soprattutto che il giudice Clementina Forleo, che deve decidere se archiviare l’ inchiesta, valuti invece l’opportunità di disporre nuove indagini. Anche perché la Procura di Milano, tranne le prime indagini compiute dal pm Armando Spataro, se n’é sempre fregata di questo omicidio’’. Poche ore dopo la denuncia di Gay arriva la risposta di Corsi. ’’E’ assurdo che si facciano affermazioni del genere - ha detto Corsi - quando ci sono stati tantissimi giudici che non mi hanno ritenuto responsabile del duplice omicidio. A quest’ora non sarei libero. Oltretutto non sono protetto da nessuno, ne’ da gruppi politici, Fini e gli altri non mi stanno per niente simpatici, ne’ da clan mafiosi, ne’ da lobby. Non vedo perche’ un giudice onesto come Salvini avrebbe dovuto aver timori ad arrestare una persona come me. Non sono certo Sofri, che tra l’altro ritengo innocente, che viene difeso dall’intera sinistra’’. Corsi annuncia una querela nei confronti di Gay ma al consigliere di Rifondazione Comunista non è ancora giunto nulla. Poi c’è la definitiva archiviazione per insufficienza di prove del giudice Clementina Forleo del 14 dicembre 2000.

      http://www.faustoeiaio.org/html/corsi.htm

    • "Che vi fossero Mario Corsi, Bracci e Zappavigna è altrettanto confermato"

      Perchè radisol cosa cazzo ha detto ?

      La verità vera è che radisol ha ragione da vendere, a forza di inseguire teoremi sempre più complessi ed onnicomprensivi, la verità finisce per allontanarsi e non per avvicinarsi.

      E quantomeno mi sembra improbabile che apparati dello stato conoscessero con esattezza l’ubicazione del covo Br in Via Montenevoso e, invece di fare irruzione ed arrestare i brigatisti, abbiano voluto mandare loro un ipotetico segnale con l’uccisione in quella via dei due compagni del Leoncavallo.

      E per quanto i mandanti romani della Magliana fossero culo e camicia anche con i servizi mi sembra altrettanto improbabile che ad una banda di scagnozzi da strada come loro potesse essere affidato un segreto di stato così esplosivo.

      Poi certo, in assoluto, nella storia recente italiana devo ammettere che non si può escludere nulla.

      Ma se ci si fosse attenuti ai fatti sicuri ed incontestabili, cioè che gli attentatori erano sicuramente romani, che la presenza ingiustificabile a Milano di due o tre noti fascisti era cosa certissima, che sono almeno 6 i "collaboratori di giustizia" che indicano in Abbruciati e Turatello i mandanti del duplice omicidio e che il gruppo di Prati-Balduina di Carminati e c. lavorava, come dimostrato da altre inchieste su altri fatti, nel 1978 come sicari a pagamento proprio per Abbruciati, senza inseguire fantasiose supposizioni e fanfaluche, forse la verità e la giustizia su Fausto e Iaio sarebbe stata già raggiunta.

      Raf

    • Radisol si parla addosso, questo è acclarato e Raf gli fa l’eco. Era già tutto presente nell’articolo e invece giù a fare lezioni puntualizzanti, da bignametto pretenzioso. Ma che lo offre la casa?
      Tutto questo cianciare è equivalente a quelle teorie nebulose o apparentemente tali che tanto accusate. Se Corsi come sottolinea Gay e di par suo Biacchessi non fosse stato protetto fino ad oggi, depositario di qualcosa dovrà pur essere stato, pure se bovino killer di strada con apparenti inevstiture ideologiche, e per protetto non intendo solo da ambienti istituzionali. Se foste rimasti al punto che sono passati 32 anni e Fausto e Iaio sono rimasti un delitto vergognoso e quasi dimenticato, perché chi li ha uccisi è nel pieno diritto di fare tutt’oggi la sua bella vita, beh.... non saremmo ancora a questo punto.

    • Claudio Bracci

      Claudio Bracci appartiene alla cosiddetta "batteria della Magliana",un gruppo di giovani neofascisti romani vicini agli ambienti della criminalità organizzata. Bracci è cognato di Massimo Carminati. Segue con lui gran parte delle attività del gruppo. E’ uno dei nomi che compare nel decreto di archiviazione del giudice Clementina Forleo per l’omicidio di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci detto Jaio. 8 maggio 1984. Il giudice Ferdinando Imposimato dispone per Bracci e Carminati il rinvio a giudizio per l’omicidio del tabaccaio romano Teodoro Pugliese. Il delitto, secondo la ricostruzione del giudice, viene commissionato direttamente dal boss della Banda della Magliana Franco Giuseppucci, trafficante di eroina. Pugliese viene ucciso da tre colpi di pistola calibro 7,65,una sorta di marchio di fabbrica della "ditta". Il movente? Intralcia i piani di Giuseppucci. Il 22 dicembre 1984, Bracci viene rinviato a giudizio insieme ad altri neofascisti dei Nar, per l’omicidio del capitano di polizia Francesco Straullu e del suo autista Ciriaco De Roma. Il 14 ottobre 1985,la Corte d’Assise di Roma assolve Bracci e Carminati dall’accusa di aver eseguito l’omicidio del tabaccaio. Il 24 maggio 1986, il pm D’Ambrosio chiede per Bracci l’ergastolo. E’ il processo denominato "Nar 1". Bracci viene condannato. Il 16 aprile del 1993 c’è l’operazione "Colosseo", realizzata dalla squadra mobile di Roma contro 50 appartenenti alla Banda della Magliana. Bracci viene tradotto in carcere insieme a Carminati. Il capo della mobile Cavaliere precisa: ’’Possiamo solo dirvi che la mafia ha utilizzato per suoi fini la banda della Magliana e in particolare che questo e’ avvenuto a Milano per l’attentato a Rosone’’. I reati contestati sono i più vari: dall’ associazione a delinquere, al traffico di stupefacenti, al sequestro di persona. Il 23 luglio 97 Bracci viene assolto "per non aver commesso il fatto". Per l’omicidio di Fausto e Jaio riceve un ‘informazione di garanzia dal giudice istruttore di Milano Guido Salvini,che indaga sulle attività dei neofascisti vecchi e nuovi e sulle trame che stanno dietro alla strage di Piazza Fontana. Anche per questa inchiesta, la posizione di Bracci viene archiviata, insieme a quella di Carminati e Corsi. Secondo le ipotesi investigative, il commando che uccide Fausto e Jaio in via Mancinelli, a sera del 18 marzo 1978, è formato da Claudio Bracci e Massimo Carminati (gli uomini con l’impermeabile bianco e la pistola calibro 7,65, modificata calibro 9) e Mario Corsi(il terzo uomo con il giubbotto marrone)

      http://www.faustoeiaio.org/html/bracci.htm

    • repetita iuvant.....grazie al compagn@ che ha scritto questo pezzo. Lascerei perdere la lunga coda delle "diatribe" con Radisol e Raf. Tanto ormai lo sappiamo, ogni volta che si parla di compagni ammazzati arrivano loro sapienti reduci. Ma basta!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

    • Mah, veramente io tanto "reduce" nemmeno sarei.
      Sono più vicino ai quaranta che ai cinquanta e quindi quei fatti non li ho direttamente vissuti da militante, in più ho trascorso gran parte della mia vita a Napoli e non a Roma o Milano.
      Il caso vuole invece che per diletto ( ma per un certo periodo anche per mestiere, lavoravo in una radio di movimento) mi occupo da oltre venti anni di "memoria" di quegli anni ( ma anche del periodo della Resistenza) e più in generale di controinfomazione militante.
      E nel fare questo ho imparato che l’efficacia sta nell’attenersi ai fatti e non nell’inseguire improbabili teoremi o complotti più o meno planetari.
      Nel caso specifico poi ho la netta impressione che, citando il caso del covo BR in Via Montenevoso, si tenti di buttarla in caciara.
      Roba, per intendersi, in stile spy-story alla Flamigni.
      Una specie di "notte in cui tutte le vacche sono nere" per cui ad essere in qualche modo "protetti" non sono solo i Corsi e i Carminati ma pure i brigatisti rossi.
      C’è stato, buttandola sulla coincidenza di quel covo nella stessa via, chi a destra ha tentato addirittura di attribuire proprio alle BR l’uccisione dei due compagni.
      Cazzate tipo il fatto che Fausto aveva visto dalla finestra qualcosa che non doveva vedere e per questo sarebbe stato eliminato dai brigatisti.
      Proprio quindi perchè invece penso che bisogna insistere su Corsi e c. non mi sembra appunto il caso di allargare il campo e di magari prestare argomenti alle speculazioni interessate dei fascisti.

      Raf

    • Maddai..... nessuno ha attribuito responsabilità di sorta alle BR ma smettiamola di leggere, forzandone il senso, dietro le parole e atteniamoci piuttosto all’etimo di esse, altrimenti come si dice a Roma "addio còre" e diventa propedeutica la soggettività della lettura al fatto in sé. Quello che conta è parlare e ricordare i compagni Fausto e Iaio.

    • "atteniamoci piuttosto all’etimo" ....

      Perfettamente d’accordo, atteniamoci all’etimo delle parole ed ai fatti certi.

      E allora che c’entrano le parole ambigue sul Moro "prigioniero" che farebbe pensare, ad un lettore di passaggio, che Moro fosse tenuto dalle BR proprio a Via Montenevoso ? ... se stessimo al cosiddetto "etimo" questo si sarebbe portati a pensare ...

      E perchè nell’articolo si inizia subito e poi si insiste molto proprio sulla presenza del covo BR, alludendo in modo vago a chissachè, e poi solo dopo si parla, com’è giusto, di certi fascisti romani e dei loro mandanti mafiosi ?

      Il problema sta proprio nell’etimo delle parole tanto invocato e nella evidente volontà di essere suggestivi, con risultati disastrosi per la chiarezza dei fatti esposti.

      Tutto qua.

      Chi ha cercato di buttarla in caciara attribuendo il delitto alle BR sono stati ovviamente i fascisti, ma certo allargando, sempre per voler essere suggestivi a tutti i costi, il campo della questione si finisce fatalmente per portare acqua al mulino della disinformazione, disinformazione che è il terreno fertilissimo di chi vuole coprire la verità.

      Soprattutto quando la verità è scomoda per il potere.

      Raf

    • "Si sarebbe portati a pensare", questa si chiama deduzione. Non è attenersi alle parole, perché oltre ad essere NOTO che fosse tenuto a Roma (e non mi va di perderci ulteriore tempo) si tratta di prigionia come condizione, già detto e ribadito se leggi. Fatto sta che Fausto e Iaio ancora sono ben lungi dall’avere avuto giustizia e non certo per quella virgola in meno che tu pedantemente vai a cercare- Ripeto perché assai più certamente i responsabili sono ANCORA OGGI coperti e ben protetti. Le ragioni sono banalmente due: l’aver fatto un favore al POTERE o essere coinvolti con parti altrettanto ambigue che non possiamo non fingere che possano essere esistite. Patti e ricatti spesso sono in uno stato di similitudine e complementarità ed equilibrio.

    • Massimo Carminati fascisti e banda della Magliana ;-) ela mafia non esiste

      Uno dei maggiori indiziati per l’omicidio di Fausto Tinelli e Lorenzo "Jaio" Iannucci è Massimo Carminati. Carminati nasce a Milano nel 1957 e risiede nel capoluogo lombardo fino al 1983,quando chiede il trasferimento di residenza a Formello,in provincia di Roma.Militante di Avanguardia Nazionale,partecipa alle manifestazioni e agli scontri di piazza degli anni Settanta.Denunciato e condannato più volte per rissa,violenza,aggressione.Entra in contatto con la Banda della Magliana nel 1977.Per la Magliana uccide il tabaccaio Teodoro Pugliese a Roma e viene ritenuto responsabile.E’ significativa la lettera del pentito Angelo Izzo alla Digos del 5/2/1992 che viene riportata nella sentenza ordinanza del 1994 sul depistaggio sul treno Taranto-Milano,avvenuto il 13 Gennaio 1981 e successivo alla strage della stazione di Bologna del 2 Agosto 1980.Nella lettera Angelo Izzo afferma: "Massimo Carminati nasce nell’ambiente dell’estremismo di destra come amico e compagno di scuola di Valerio Fioravanti,al quale si lega in modo forte, e di Franco Anselmi.In breve diviene un personaggio carismatico di uno dei gruppi fondanti dei nar:quello cosiddetto dell’Eur.Pur partecipando solo marginalmente a scontri,sparatorie ed episodi della miniguerra che ha insanguinato la capitale intorno al 1977 fra estremisti di destra e di sinistra,Carminati gode di grandissimo prestigio.Probabilmente perché è la pesona dell’ambiente di destra maggiormente legata già allora alla malavita romana,alla nascente Banda della Magliana.Un altro motivo di prestigio naturalmente potrebbe essere legato all’omicidio milanese di Fausto e Jaio,a cui potrebbe aver partecipato.In questo caso il movente vero di tale omicidio sarebbe da ricollegare non tanto alla faida tra rossi e neri,ma considerata la personalità di Carminati e i rapporti che deteneva con ambienti strani,l’omicidio del Casoretto sarebbe da addebitarsi a manovre di spezzoni deviati dei servizi segreti controllati all’epoca dalla P2.Carminati nel 1977 partecipa al sequestro Iacorossi e a rapine in banca correo di quelli della Magliana.Forse ha mano nell’omicidio del dirigente missino Pistoleri ed è già un personaggio con molti legami che vanno dall’ambiente di Avanguardia Nazionale di Stefano Delle Chiaie,a Franco Giuseppucci detto il Negro,a Danilo Abbruciati,a Flavio Carboni.Questo gli permette di tenere un rapporto di superiorità con i sorgenti terroristi neri,ai quali è in grado di fornire appoggi e aiuti di ogni genere". Su questo punto il Giudice Istruttore di Bologna Leonardo Grassi,nel libro "Fausto &Jaio" di Daniele Biacchessi dichiara: "Il pentito Angelo Izzo,quando parla di Carminati è credibile.I fatti che racconta nella sentenza ordinanza sul depistaggio dell’inchiesta sulla strage di Bologna sono stati tutti accertati in via definitiva.Carminati è il terminale tra i servizi segreti e i gruppi di destra.Con Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte del Sismi aveva un rapporto strettissimo.Angelo izzo invia la lettera il 5 febbraio 1992,cioè prima che il pentito della Magliana,Maurizio Abatino,iniziasse a collaborare.Il documento contiene,riguardo a Carminati,una serie di indicazioni investigative che poi sono state in larga parte,puntualmente riscontrate" IL DEPISTAGGIO SUL TRENO TARANTO-MILANO Massimo Carminati è stato condannato per il depistaggio del treno Taranto-Milano insieme a Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, del Sismi e a Licio Gelli. In particolare Carminati ha prelevato dall’arsenale della Banda della Magliana,un mitra Mab, con numero di matricola abraso e calcio rifatto artigianalmente.Il mitra è stato ritrovato in una valigetta sul treno che conteneva due caricatori di cui uno con venti cartucce calibro 9 lungo, un fucile da caccia calibro 12,8, lattine con sette etti di sostanze esplosive innescate con capsule detonanti in alluminio e micce a lenta combustione, due passamontagna di lana color bleu, copie di giornali francesi e tedeschi, biglietti aerei.