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MSI: COS’E’ STATO IL NEOFASCISMO ?

Publie le martedì 8 febbraio 2005 par Open-Publishing

Dazibao Estrema destra Storia Enrico Campofreda

ASSALTO DEI FASCISTI DELL’MSI ALLA FACOLTA’ DI LETTERE

Esponenti della destra all’Università.
Riconoscibile a destra Giorgio Almirante.
16 marzo 1968 Roma, universita’ la Sapienza.

Nella rievocazione che tanta stampa fa degli anni Sessanta e Settanta proseguono le riscrizioni della storia in salsa post e parafascista

di Enrico Campofreda

Dal revisionismo storico al revisionismo di basso profilo. Chiacchierate da bar che diventano pseudointerviste con ex militanti piazzatisi nella vita. Un’operazione light priva d’analisi e spessore politico nella quale anche il quotidiano “La Repubblica” si lascia vincere dal fascino discreto del pour parler. E produce robetta da trasmissioni di Maurizio Costanzo.

L’iniziativa serve a poco ma chi non c’era - i giovani d’oggi - se dovessero apprendere cos’è stato il Sessantotto da quel che narra Massimiliano Fukas, ex contestatore di Valle Giulia e da anni affermato architetto, o cos’è il neofascismo, secondo la vulgata di Marco Tarchi, ex Fronte della Gioventù, ora docente di Storia dei Partiti Politici all’Università di Firenze, non avrebbero certo un quadro né analitico né politico di quegli anni. Incredibile ma vero ci troviamo a rimpiangere Renzo De Felice, almeno il suo era revisionismo acculturato.

Tarchi, ora prof con farfallino d’ordinanza e pacata aria da collezionista di francobolli, in un’intervista pubblicata il 7 febbraio sul quotidiano romano, rievoca gli anni in cui i neofascisti: missini, Fronte della Gioventù, Fuan, Avanguardia Nazionale, Ordine Nuovo, non potevano parlare nelle assemblee studentesche e accedere negli atenei.
Il professore sorvola sugli ‘argomenti’ di quell’area politica e dimentica che i neofascisti in tante occasioni entravano eccome nelle università, con la protezione delle forze dell’ordine. E fra bastoni, pistole, saluti romani, Giorgio Almirante - che sempre accompagnava la sua gioventù assassina - cercavano di ferire o uccidere qualche studente. Ben lo ricorda Oreste Scalzone, quando nell’atrio della romana facoltà di giurisprudenza gli piovve addosso un banco scagliato dai missini asserragliati nei piani alti dell’edificio. Scalzone non morì, si fratturò soltanto, ma molti altri studenti e democratici non ebbero la stessa buona sorte. Durante quei fatti c’erano Stefano Delle Chiaie e altri eversori che fecero della loro peggior gioventù bandiera e vanto omicida, cercando di ripercorrere le imprese scellerate cui s’ispirava la loro militanza: il lugubre e criminale fascismo della Repubblica Sociale.

Tarchi dichiara, bontà sua, che nelle file dell’ultradestra c’erano squadrismo e stragismo ma c’era anche dell’altro. Cosa non è chiaro, se non il solito trito ‘idealismo’ ispirato ai miti di Tolkien e alle saghe nordiche (quelle d’infausta memoria riesumate dal nazismo?). La presunta anima idealista, cui lui stesso apparteneva, non vedeva che tutto poi sfociava nel viscerale anticomunismo antioperaio e antistudentesco, come testimoniano le centinaia di aggressioni e le decine di assassini di militanti di sinistra perpetrate per anni? E perché quelle anime candide continuavano a dar manforte ai camerati assassini? Il professore tace.
Rammenta la famigerata manifestazione di piazza dell’aprile ’73, quella in cui i missini misero a ferro e fuoco il centro di Milano squarciando con una bomba a mano il petto a un celerino. Tarchi parla d’infiltrazioni estremistiche ma ammette che quegli scontri li volle il partito, confermando come il confine fra l’ala legalitaria e quella eversiva e stragista era inesistente. Altro che partito d’ordine, le sedi del Msi erano luoghi d’aggregazione di violenti sin da quando nel dopoguerra il neofascismo si riorganizzò.

In ogni momento destabilizzante della recente storia d’Italia (Gladio, governi anticomunisti, tentativi di golpe, stragi di stato) il neofascismo è stato protagonista con propri uomini che agivano anche nei servizi segreti, nei corpi armati dello Stato (Esercito, Carabinieri) e nella politica ufficiale.

E se il neofascismo era relegato ai margini della società e della vita nazionale ciò accadeva perché, ancora trent’anni or sono, la coscienza antifascista degli stessi partiti dell’arco parlamentare si era tenuta alta. Sebbene la real politik degasperiana e togliattiana avesse rimesso in circolazione migliaia di criminali del Ventennio e collaborazionisti di Salò.
Ma negli anni Ottanta il disarmo ideologico di certi comunisti che rinnegavano le proprie radici, il craxismo con gli stivali che faceva il verso all’Uomo della Provvidenza, l’affarismo truffaldino democristiano e socialista più quello dei merenderos del pentapartito, hanno fatto tabula rasa della coscienza civile della Repubblica nata dalla Resistenza. Ed è via via cresciuto l’autolesionismo che ha aperto la strada alla rivalutazione dei sedicenti ‘ragazzi’ di Salò.

Mirko Tremaglia, ora ministro di quello stato democratico e resistente che lui combattè, può abbracciare il suo sponsor Luciano Violante, nel bel pastone buonista e revisionista interpartitico ormai diffuso e affermato. E squadristi missini come Alemanno e Storace, anche loro ministri e governatori, possono gioire delle lezioni di storia del professor Tarchi.
Una storia falsata, finalmente riscritta per i camerati, non certo per l’Italia democratica e antifascista che sa e non può dimenticare.