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Arafat ricoverato a Parigi. I medici parlano di "problemi nel sangue"
Publie le giovedì 28 ottobre 2004 par Open-Publishing1 commento
de Umberto De Giovannangeli
L’immagine è di quelle che segnano la fine di un epoca e il tramonto di un leader.
A mandarla in onda è la televisione palestinese. Abu Ammar ha smesso la divisa
e la kefyah a cui da sempre era legata la sua immagine: quella del condottiero
vincente, del simbolo vivente dell’irredentismo palestinese. Agli occhi di palestinesi,
israeliani, del mondo intero appare un Arafat magro ma sorridente, con una barba
bianca, seduto fra i suoi medici. Indossa un pigiama azzurro e un berretto. Sarà quest’uomo
malato, costretto sulla sedia rotelle, che stamani alle 6:30 abbandonerà la Muqata,
il quartier generale di Ramallah dove, su imposizione di Israele, l’anziano raìs
ha vissuto come un prigioniero per quasi tre anni. Ad attenderlo, nel piazzale
del compound, ci saranno due elicotteri dell’aviazione militare giordana che
porteranno Arafat e il suo seguito ad Amman, dove l’anziano raìs sarà imbarcato
su un areo francese alla volta di Parigi. Ed è lì, in un ospedale della capitale
francese, che «Abu Ammar» combatterà l’a più difficile tra le battaglie, quella
tra la vita e la morte.
Ad accompagnarlo in questo «viaggio della speranza» è la moglie Suha, giunta ieri pomeriggio da Parigi dove vive da tempo. Le telecamere delle televisioni di mezzo mondo hanno seguito a lungo la sua automobile con le tendine chiuse che lasciavano trapelare solo qualche ombra. Il presidente palestinese e sua moglie non si vedevano da quasi quattro anni, dall’esplosione della seconda Intifada. Israele ha dato il suo assenso al trasferimento del raìs gravemente malato e sarebbe disposto, dichiara Dov Weisglass, capo di gabinetto del premier Ariel Sharon, anche a consentire ad Arafat di rientrare nei Territori. In Cisgiordania e Gaza però non pochi ritengono che questo sia l’ultimo viaggio del presidente. È una folla muta di palestinesi con il volto segnato dalla tristezza e rigato dalle lacrime, quella riunita dall’altra notte davanti all’ufficio di Arafat in attesa di informazioni più precise sulle condizioni di salute dell’anziano raìs. Le notizie confortanti, su lievi segni di ripresa mostrati dal settantacinquenne presidente palestinese, sono immancabilmente seguite da voci di un aggravamento delle sue condizioni. Speranza e disperazione si alternano per tutta la giornata. L’ipotesi di un male terribile che sta uccidendo Arafat si fa più concreta nel corso del pomeriggio, dopo gli esami condotti dai medici giordani ed egiziani giunti alla Muqata. «Ha problemi nel sangue, la causa non è nota», rivelano, in condizioni di anonimità, alcuni funzionari palestinesi a contatto con i sanitari. La strada di Parigi si è fatta obbligata per Arafat poiché l’ospedale di Ramallah non è attrezzato per le cure necessarie. Il presidente palestinese lascia con riluttanza la Muqata e, soprattutto, la sua terra dove era rientrato dieci anni fa e in cui spera di poter far ritorno. In questi giorni ha ripetuto di voler morire come «shahid» (martire) nel quartiere generale di Ramallah, divenuto il simbolo della resistenza di «Mr.Palestine».
I palestinesi temono per la sua sorte e in tanti hanno seguito il viavai di notabili e uomini politici alla Muqata nella speranza di ascoltare qualche «buona notizia». «Sto pregando Dio per salvarlo, non voglio che muoia, lui è la nostra forza il nostro futuro», dice Dima Nassar, 16 anni, con il velo islamico e gli occhi gonfi di pianto. Di Arafat la ragazza ha conosciuto solo gli ultimi turbolenti anni, quelli della prima e della seconda Intifada, non lo ha visto alla guida dei fedayn lungo la frontiera tra la Giordania e Israele e nemmeno sulla nave dell’esilio che nel 1982 da Beirut lo portò a Tunisi. Era solo una bimba ai tempi della storica firma degli accordi di Oslo (1993). «In casa - aggiunge Dima - siamo tutti sostenitori del presidente, io sono una ragazzina ma mio padre e i miei fratelli più grandi mi hanno sempre parlato di lui e delle sue azioni a favore del popolo palestinese».
Ramallah è rimasta tranquilla. In centro la gente ha affollato i negozi colmi di dolci, datteri e altra frutta secca tipica del mese di Ramadan. I ragazzi sono andati a scuola regolarmente. Le radioline però sono rimaste sempre accese, in ogni casa, in ogni luogo di lavoro, sintonizzate sulle frequenza di Voce della Palestina, la radio dell’Autorità nazionale palestinese che sta seguendo dall’altra notte, con lunghe dirette dalla Muqata, l’evolversi della situazione. A Ramallah, come in tutti i Territori, si respira un’atmosfera fatta di mestizia, di dolore. E di timore per un futuro reso ancora più incerto dall’uscita di scena del vecchio presidente. «La gente ha paura di una possibile instabilità politica e s’interroga su chi succederà ad Arafat«, dice Aziz Halawah, proprietario di una pasticceria nel centro di Ramallah.
Ufficialmente, il tema della successione al presidente Arafat continua in casa palestinese a rimanere tabù. Dietro le quinte tuttavia i massimi dirigenti dell’Olp e dell’Anp discutono di tutte le eventualità, inclusa quella della nomina di un presidente provvisorio.
Accanto alla successione «istituzionale» c’è però anche quella politica, che scaturirà dai rapporti di forza tra quei dirigenti palestinesi che in questi ultimi anni sono riusciti a creare delle proprie correnti all’interno di Al Fatah, il movimento di maggioranza, e persino delle vere e proprie milizie attraverso le quali dettare legge nei Territori. Le maggiori fazioni palestinese, comprese Hamas e la Jihad islamica, promettono di rispettare, nel nome di Arafat, l’imperativo della coesione nazionale. Questo nell’immediato. La soluzione transitoria più probabile, concordano gli analisti palestinesi, è quella che dovrebbe portare alla designazione dell’ex premier Mahmud Abbas (Abu Mazen) come presidente a interim in quanto Segretario generale del Consiglio eseutivo dell’Olp, che equivale a «numero due» di Arafat. Ma nei Territori sono in molti a temere che questa transizione indolore, destinata a portare alle elezioni del nuovo presidente e a quelle politiche generali, avrà un peso solo nella fase immediatamente successiva all’eventuale uscita di scena di Arafat. Subito dopo potrebbe scatenarsi la lotta per la conquista del potere effettivo. Una lotta all’ultimo sangue.
http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=38783
Messaggi
1. > Arafat ricoverato a Parigi. I medici parlano di "problemi nel sangue", 29 ottobre 2004, 18:37
Auguri, grande Capo, ti auguro di riprenderti con la grinta di sempre. HastaSiempre!