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Basta lamentarsi é ora di organizzarsi.........
par ripreso da E.B.
Publie le sabato 1 ottobre 2011 par ripreso da E.B. - Open-PublishingBasta lamentarsi é ora di organizzarsi, Serve un polo politico alternativo a centrodestra e centrosinistra
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Pubblichiamo il testo del volantino distribuito da ControCorrente all’assemblea “Dobbiamo fermarli 5 proposte per un fronte comune contro il governo unico delle banche ” del 1 ottobre a Roma
Dopo tre anni di misfatti il Governo sembra finalmente arrivato al capolinea. Ma ciò non implica automaticamente un miglioramento per i lavoratori italiani. Perché Berlusconi non è in crisi, come nel ’94, in seguito a una mobilitazio-ne di massa. E’ in crisi perché non riesce a ‘tranquillizzare’ i mercati. Standard & Poor’s lo ha scritto in modo esplicito: il Governo non è abbastanza forte per ‘fare le riforme’ e affrontare le conseguenze che queste potrebbero scatenare sul piano sociale, in particolare quella dei lavoratori e del movimento sindacale. Nell’esultanza dell’opposizione parlamentare di fronte al declassamento del debito italiano e alle critiche della stampa economica internazionale, di Confindustria e della Chiesa a Berlusconi è contenuta implicitamente l’idea di un nuovo esecutivo – di larghe intese o di centrosinistra – in grado di fare ciò che Berlusconi non riesce: realizzare il programma di S&P, della BCE, dell’Economist e di Confindustria. Un governo che potrebbe essere formato e cominciare ad avanzare come un rullo compressore tra pochi mesi. E se lo schema adottato sarà quello del ‘nuovo Ulivo’ beneficierà anche dei voti e del sostegno parlamentare dei ‘grandi’ partiti di sinistra, SEL, PRC e PdCI. Vendola, Ferrero e Diliberto lo hanno già detto: sosterranno un nuovo governo di centrosinistra e si impegnano a non farlo cadere anche se prenderà decisioni che la sinistra non condivide.
A sinistra, in particolare intorno alla FIOM, al sindacalismo di sinistra, ai movimenti sociali si è aperta una discussione interessante sulla necessità di dare un’alternativa politica a questo incubo. Ma bisogna intendersi su che cosa significa ‘alternativa’. L’appello che ha portato a questa assemblea dell’1 ottobre è quello che ha detto nel modo più chiaro che la politica economica del centrosinistra non rappresenta un’alternativa a quella del centrodestra. Chi ha detto no a Marchionne, ha vinto la battaglia referendaria, ha lottato contro la TAV ed è sceso in piazza per criticare la manovra ‘da sinistra’, chi non vuole ‘pagare il debito’ è totalmente privo di una sponda politica. Ciò avviene mentre si annunciano ulteriori manovre ‘lacrime e sangue’, la speculazione attacca l’economia italiana e si annunciano mobilitazioni importanti in Europa e nel nostro paese. In Grecia è già partita un’ondata di occupazioni da parte degli studenti. In Gran Bretagna, il 30 novembre, ci sarà probabilmente uno dei più imponenti scioperi nella storia di quel paese. In Italia la vertenza sul contratto dei metalmeccanici e una nuova ondata di lotte studentesche potrebbero rappresentare il catalizzatore e un riferimento simbolico per altri settori in lotta, da Fincantieri a Termini Imerese, dal pubblico impiego alla TAV, dalla lotta contro le privatizzazioni ai cosiddetti ‘indignati’. Dunque oggi siamo chiamati a rispondere in modo concreto a una domanda e cioè come le organizzazioni e i gruppi della sinistra di classe, invece di concentrarsi nel preservare se stessi, si organizzano sul piano politico per sostenere queste lotte e si pongono il problema di dare loro una rappresentanza politica ed elettorale. Non serve una ‘lobby dei movimenti’ per condizionare un futuro governo di centrosinistra. Abbiamo già visto come va a finire. Né aiuta avere tanti piccoli orticelli chiusi in se stessi. Serve uno spazio politico in grado di essere un punto di riferimento e di coordinamento delle lotte e di darsi un progetto alternativo.
LORO vogliono un governo di unità nazionale o di centrosinistra per fare ciò che Berlusconi non riesce a fare. NOI dobbiamo costruire un’opposizione sociale, politica e anche elettorale a entrambe le articolazioni di quel progetto. Una campagna e un referendum sul debito hanno senso se servono a costruire una rete di relazioni radicata sul territorio e nei posti di lavoro, una serie di assemblee di lancio in tutte le grandi città italiane, un coordinamento nazionale e dei coordinamenti locali per essere in grado di prendere delle decisioni. Ma proprio l’esperienza di questi mesi ci dimostra che senza un’alternativa politica si possono vincere non uno ma dieci referendum senza riuscire a cambiare la realtà di una sola virgola.