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Betlemme: cronaca di una demolizione

Publie le venerdì 5 agosto 2005 par Open-Publishing

Diario di C., volontaria italiana in Palestina
 
Mi sono tagliata. Su un dito del piede, uno di
quei tagli lineari e sottili che fanno un male
cane. Mi sono tagliata anche nel cuore, uno dei
tanti tagli che mi faccio qui, sottili e che fanno un male cane.
 
Con A. e T. siamo seduti su un divano, sotto ad
un albero, in un villaggio vicino Betlemme.
 
Di fronte a noi, seduta per terra, la famiglia
cui stamattina l’esercito ha demolito la casa.
Siamo armati di penna e taccuino e spariamo proiettili a forma di domande.
 
Chissà cosa credono che potremo fare, contro
quelli che vengono armati di bulldozer e sparano proiettili veri.
 
C’è una donna anziana, proprio di fronte a me.
Non posso evitare di guardarla; mentre il figlio
racconta i fatti, lei parla, ha un racconto tutto
suo, indirizzato a tutti e nessuno, anche a me.
 
Durante tutto il tempo, ha le lacrime sul ciglio.
 
È stata picchiata dai soldati israeliani mentre
cercava di impedire la demolizione: una ferita al
braccio, lividi su entrambe le mani.
 
Gli uomini cercano, da maschi quali sono, una
spiegazione logica. Le donne stanno zitte.
 
Che devono fare? Sono arrivati alle sette del
mattino. Hanno avuto mezz’ora per spostare una
vita dalla casa e vedersela seppellire sotto
tonnellate di macerie. I risparmi di una vita, sepolti.
 
Dicono che l’ufficiale del DCO a cui l’avvocato
della famiglia ha telefonato stamattina sembrava
sorpreso.non deve esserlo stato abbastanza,
perché la casa l’hanno buttata giù lo stesso.
 
La vecchia mi prende la mano, la bacia e se la
porta alla fronte, poi mi racconta di nuovo tutta
la storia, e mi dice che ha preso due grossi
sassi e se li è battuti sl petto, perché era un
grande dolore. Lo fa di nuovo, adesso, davanti a me. Piange.
 
Fotografo le lamiere contorte e il cemento armato
divelto, i resti della bottega di fabbro ferraio, con la barre lavorate.
 
Arrampicandomi sulle macerie mi taglio il piede,
dal taglio esce sangue. Mi accorgo anche che mi
fa male anche altrove, però non ne può uscire
sangue, solo lacrime; ma non mi sento il diritto di piangere.
 
Altra demolizione, altra famiglia.
 
Vecchi (ma forse più nell’aspetto che di età) un
po’ spelacchiati armeggiano con improbabili
permessi, mappe spiegazzate, ordini scritti in
ebraico che non dicono niente, conservati tutti
insieme in una busta di plastica di aspetto vecchio come il proprietario.
 
Ce li mostra come se tutti quei fogli potessero
fare qualcosa, garantire una giustizia.
 
Inutili cartacce! Sciocchi illusi che non
capiscono che la legalità è funzionale a
distruggere, non a garantire loro qualcosa.
 
Le donne alle spalle, uditrici silenziose, prime
vittime della casa squarciata, annuiscono.
 
Perché? viene chiesto.non hanno risposta per
questo. Solo, di nuovo, la mappa spiegazzata, che
mostra un progetto di casa, ma ignora che questa
casa a sua volta si trovava troppo vicina ad un
insediamento di coloni e al Muro che lo "proteggerà".
 
La paura più grande è che tornino e distruggano quello che resta.
 
Andiamo via, abbiamo ascoltato, chiesto, preso
nota, fotografato, lasciato numeri di telefono, bevuto caffè, stretto mani.
 
Per il resto del giorno il mio stomaco si rifiuta di sbrogliarsi.
 
C.
diario
michele
comprendere senza agire e’ non comprendere.