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Ciao Daddo!

Publie le sabato 19 febbraio 2011 par Open-Publishing
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E’ nell’anniversario della cacciata di Lama dall’università che veniamo a sapere della morte di "Daddo", Leonardo Fortuna, compagno del Comitato Comunista Monte Mario che rimase gravemente ferito durante gli scontri del febbraio 1977 in piazza Indipendenza a Roma.

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, questo ricordo dei compagni di DeriveApprodi. Ciao Daddo!

Ciao Daddo

Abbracciamo Daddo, scomparso ieri. Uomo leale, generoso e coraggioso come ben sanno tutti coloro che lo hanno conosciuto, e come chiunque può intuire dalle due immagini che qui pubblichiamo in suo ricordo. Immagini scattate da Tano D’Amico il 2 febbraio 1977 a piazza Indipendenza a Roma. Tra le tante avventure vissute da Daddo vi è stata anche quella di aver partecipato, nel 1998, alla fondazione della casa editrice DeriveApprodi.

“Il 1 febbraio 1977 sono occupate le Università di Palermo, Torino, Pisa, Sassari, Cagliari, Salerno. Assemblee ed agitazioni nelle Università di Milano, Bologna, Padova, Firenze. A Roma una settantina di fascisti entrano nella Facoltà di Lettere e in quella di Giurisprudenza, armati di spranghe, bastoni e armi da fuoco. Un colpo di pistola ferisce gravemente al capo lo studente Guido Bellachioma.

Il 2 febbraio ci sono manifestazioni antifasciste in molte città. A Roma gli studenti e le forze politiche si dividono sulle modalità della protesta antifascista: Fgci, Pdup e Ao scelgono un comizio dentro l’Università, menre numerosi studenti, l’Autonomia Operaia e gli ex LC decidono di manifestare nelle strade vicine all’università e di assaltare la sede fascista di via Sommacampagna. Il corteo viene disperso dalla polizia. In uno scontro a fuoco restano gravemente feriti gli studenti Paolo Tommasini e Leonardo Fortuna (detto Daddo), e l’agente Domenico Arboletti. Ugo Pecchioli, a voce del Pci, chiede la chiusura dei “covi” dei “cosiddetti autonomi”, affermando che il raid dei fascisti all’Università e le violenze dei provocatori cosiddetti autonomi sono due volti della stessa realtà terrorista. E’ la rottura, totale e definitiva, tra il Pci e il movimento degli studenti.

Il 17 febbraio il segretario della CGIL Luciano Lama tiene un comizio all’Università di Roma occupata. Gli studenti lo contestano con urla, fischi e slogan ironici. La situazione degenera quando il servizio d’ordine del sindacato e del Pci carica gli studenti. Dopo violentissimi scontri corpo a corpo Lama è cacciato dall’università e il suo palco assaltato e devastato.”

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Messaggi

    • Ciao Daddo, la tua risata ci mancherà

      Lo rividi nel pieno dell’edonismo reaganiano. Daddo veniva da anni difficili. Aveva conosciuto la galera e più volte aveva fatto i conti con il bisturi del chirurgo. Mi presentati, timidamente, consapevole che il nostro primo incontro, anni prima, si era dissolto tra i mille volti che costellavano le giornate militanti di zona Nord, come vieniva chiamata la zona di Roma dove vivevamo entrambi. Era approdato a il manifesto attraverso amici.

      Aveva una zazzera di capelli tirati all’indietro che metteva in evidenza un volto dai lineamenti forti, ma che ispirava tenerezza e immediata simpatia. Qualcuno aveva scherzato e fatto un paragone lusinghiero: «Assomigli a Marlon Brando». Daddo aveva aggiunto: «Sì, ma con qualche chilo in più», scoppiando in una risata inconfondibile.

      Leonardo Fortuna, per tanti solo Daddo, era diventato un nome e un volto noto per le foto che lo ritraevano quando sorreggeva un altro compagno a Piazza Indipendenza nel 1977. Un giorno di scontri con la polizia. Lui e Paolo, il nome dell’altro compagno, erano rimasti feriti, arrestati e portati in prigione. Per mesi, nelle strade di Roma e non solo si potevano leggere striscioni su «Paolo e Daddo liberi».

      Di quell’esperienza, quando ci incrociavamo nelle stanze del manifesto, non amava molto parlare. Dopo aver fatto di tutto al giornale, lavorava in amministrazione e si era gettato nel mare di conti sempre sul punto di travolgerci con la determinazione di chi vuole garantire alla nostra impresa se non una navigazione tranquilla almeno le coordinate per una rotta certa. Era tifoso della Fiorentina. «Ma come fai a tifare i viola, che sei di Roma?», era una domanda abituale. E lui: «È da quando ero piccolo che tifo Fiorentina, perché mai dovrei cambiare solo perché vivo in questa città?». Poi, con aria scanzonata ti bruciava con una domanda dalle difficili risposte.

      Talvolta gli chiedevo di persone di zona Nord perse di vista. Lui rispondeva con fastidio perché riportato a forza dentro sensazioni che, appunto, non amava ricordare. Del passato però non rinnegava nulla, ma credeva appunto che fosse passato.

      Rispetto al presente mostrava sarcasmo, ironia e tanto disincanto. Sapeva che quello in cui credeva, lui, allora militante comunista che veniva da potop, era stato sconfitto.

      Il mondo ripeteva il mantra del successo individuale e delle piccole meschinità per scalare la gerarchia sociale che aveva combattuto. Scrollava le spalle.

      Provocatoriamente, ti invitava a guardare senza indulgenza nelle cose che non avevano funzionato quando l’assalto al cielo non sempre era condotto a mani nude. Ma se riuscivi a portarlo a discutere di movimento, antagonismo, il suo lessico cambiava rapidamente e emergevano i pensieri e le riflessioni di un uomo appassionato, che non aveva mai smesso di pensare a come «abolire lo stato di cose presenti», frase che aveva commentato sarcasticamente tante volte, ma che faceva ormai parte della sua vita.

      Non amava parlare neppure della sua vita privata. Aveva cominciato a vivere con Francesca, un vulcano di vitalità e ironia che si affacciava sempre più spesso in Via Tomacelli. Dopo la nascita della loro figlia Nina, il riserbo di Daddo si accentuò. Daddo era infatti un uomo riservato. O meglio, sceglieva attentamente le persone con cui aprirsi e quando questo accadeva scoprivi sentimenti, fragilità, generosità inaspettate per chi voleva sempre mostrarsi a petto in fuori.

      A metà degli anni Ottanta Roma fu ricoperata di neve. Abitavamo vicini e dovevamo arrivare al lavoro. Con un altro de il manifesto, che poi ha lasciato il giornale, decidiamo di prendere comunque la macchina e avventurarci, anche se senza catene, per strade innevate. Sul cancello di una casa, una ragazza, quasi assiderata, perché se ne andava in giro con una maglietta e un giubbetto primaverile. Mai ho visto un uomo così premuroso come Daddo, quel giorno.

      Quando se ne andò dal manifesto, lo fece discretamente, ma con l’amaro in bocca di chi non era riuscito a garantire quella navigazione certa che ancora il giornale sta cercando.

      Aveva inziato un altro lavoro. Lo incontravo nelle strade del quartiere dove aveva vissuto la sua giovinezza. Sempre con una puzzolente sigaretta francese in bocca e sempre pronto a scherzare sulle crescita delle rispettive pance.

      Talvolta ci ritrovavamo a Piazza Walter Rossi a fine settembre, quando quella specie di piccolo fazzoletto di verde si riempiva di persone per ricordare l’assassinio di Walter da parte dei fascisti. In quelle occasioni il suo disincanto raggiungeva livelli irraggiungibili, al limite di un atteggiamento cinico. «Ogni anno sempre più acciaccati e con i capelli sempre più bianchi», amava ripetere. Ma poi si avvicinava a questo o a quel compagno e partivano abbracci, commenti salaci e prese in giro per quei capelli bianchi e quegli acciacchi, fino a quando Daddo interrompeva la sequenza delle prese in giro con una risata fragorosa che faceva girare tutti.

      Una volta ci incrociammo in una farmacia. Con un sorriso tirato e gli occhi tristi, mi disse che era venuto a fare il pieno. Mi raccontò della malattia, aggiungendo che lui non voleva certo mollare. C’era Nina che cresceva e voleva vederla diventare grande. E poi: «Ne ho viste tante, e non mi mettono certo paura questi maledetti che ho in corpo». Ci sono stati altri incontri, ogni volta i suoi occhi erano un po’ più tristi.

      Stamattina, la notizia della sua morte è arrivata dalla rete con due piccole e sbiadite foto. Una è di lui che sorregge il suo amico Paolo; l’altra ritrae uno striscione che chiede la libertà per tutti e due. Daddo era anche altro. Mi macherà quella risata, così raramente sentita negli ultimi anni.

      A Nina, a Francesca e al resto della sua numerosa famiglia va l’abbraccio di tutto il manifesto.

      dal sito de ilmanifesto 18 febbraio 2011