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Con Susanna Camusso, una craxiana alla guida della Cgil

Publie le giovedì 4 novembre 2010 par Open-Publishing
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di redazione Contropiano

Ha perso quanche voto per strada – 12 astenuti, oltre agli scontati 21 contrari, su 158 votanti nel Direttivo – ma come previsto Susanna Camusso è il nuovo segretario generale della Cgil. Il 3 novembre 2010 passerà dunque alla storia come il giorno in cui il primo sindacato italiano, quello fondato e guidato dai comunisti per quasi un secolo, passava definitivamente in mano ai craxiani. Non che Guglielmo Epifani venisse da un’altra radice, ma - all’inizio del doppio mandato – la sua sembrava una parentesi quasi «dovuta», dopo un monopolio così lungo. Ora sappiamo che il passaggio di consegne ai «riformisti» è stato definitivo.

La Camusso arriva al vertice di Corso Italia con un mandato preciso: riportare la Cgil al tavolo delle trattative senza più nulla a pretendere dal governo e dalla controparte. L’unico gesto che Confindustria può rimproverare alla gestione di Epifani è, infatti, la mancata firma sotto la «riforma del modello contrattuale», siglato con Cisl e Uil a gennaio 2009. Da quel momento in poi, infatti, la Cgil ha siglato decine di contratti di categoria che recepivano in tutto o in parte quel «modello», con sfumature mai decisive. Solo con i metalmeccanici il gioco non è per ora riuscito. Non è un «buco» da poco, visto che in questo settore si concentra il 20% circa dell’occupazione e un quarto del prodotto interno lordo del paese. E, soprattutto, il nocciolo mitopoietico del movimento operaio italiano.

Azzerare l’autonomia residua della Fiom è quindi la sua vera prima missione. Non sembra perciò un caso che «la gelida» abbia riesumato – ancor prima di ricevere l’investitura – Gaetano Sateriale, altro «riformista» con lei nella segreteria nazionale della Fiom anni ‘90, affidandogli proprio l’incarico di «responsabile delle Politiche industriali e dell’innovazione». Una sorta di commissariamento cautelativo degli «antagonisti» (come in Cgil definiscono, poco affettuosamente, Maurizio Landini e il 73% dei metalmeccanici Fiom), per arrivare in tempi brevi alla «soluzione finale».

Il passaggio da effettuare è chiaro, anche se non semplice: accelerare la trasformazione della Cgil da sindacato «concertativo» in organizzazione «complice», sul modello già sperimentato da Cisl e Uil. Renderla una sorta di succursale degli uffici del personale, una specie di grande «centro servizi» che spazia dal Caf agli enti bilaterali, con funzioni centrali nell’«arbitrato» in luogo del ricorso al magistrato nelle controversie di lavoro. Tutto, insomma, meno che rappresentante di interessi diversi da quelli dell’impresa. Ci deve riuscire – e questo è più difficile - possibilmente senza perdere per strada pezzi consistenti, che andrebbero a quel punto ingrossare la schiera del «sindacalismo alternativo», già saldamente presidiato dal sindacato di base. Per il quale si apre invece quindi una stagione molto interessante, da gestire con intelligenza e indipendenza, saldezza di principi e duttilità politica.

Il compimento della mutazione genetica della Cgil, in piena crisi economica e fuga delle imprese, non sarà un bello spettacolo; il termine «riformista», alla fine, dovrebbe risultare un epiteto offensivo almeno quanto «craxiano» o «socialista».

Persino il manifesto, che certo non si può considerare antipatizzante con la Cgil, aveva accolto l’ascesa della Camusso alle «funzioni vicarie» di Epifani con una mini-biografia urticante. Che qui riproduciamo.

da il Manifesto del 18/06/2010

La Fiom, su Pomigliano, «tiene». E manda a dire ai lavoratori «il 22 andate a votare, sennò correte il rischio di ritorsioni da parte dell’azienda». Ed anche «votate come vi pare, tanto noi non firmeremo quel documento in nessun caso».
Ma la Cgil? Il vertice di Corso Italia ha «coperto» la scelta dei suoi metalmeccanici: di fronte a una pretesa incostituzionale (licenziare chi sciopera, cancellando un diritto individuale) non c’era alternativa. Ma dalla pancia qualche voce storta si è sentita. In Campania un dirigente regionale è andato a prendersi gli insulti degli iscritti pur di sostenere il «sì» all’accordo. Due giorni fa circolava una vocina che ipotizzava una «firma tecnica», magari distinguendo tra codicilli «potabili» e indigeribili. Sembra che la stessa Fiat abbia seppellito l’ipotesi: «tutto o niente».
Ieri la segretaria nazionale Susanna Camusso, appena investita del ruolo delle «funzioni vicarie» - sarà lei a subentrare a Guglielmo Epifani, a fine settembre - ha ricevuto gli auguri pubblici del cerbero di via Flavia, il ministro del lavoro Maurizio Sacconi, con l’auspicio che «possa operare per la ricomposizione dell’unità sindacale». Auguri che hanno solleticato i giornalisti presenti fino a far chiedere se «con la Camusso cambierà la linea dell’organizzazione». Sorriso al veleno: «Faccio affidamento alla sua provenienza socialista che mi fa ben sperare...».
In effetti la Camusso proviene dalle file del Psi craxiano; e in Cgil c’è sempre stata una componente «del garofano», anche se solo di recente, e proprio con Epifani, ha conquistato la carica più prestigiosa. La sua ascesa, in ogni caso, mostra l’incredibile vitalità di quel pattuglione di «riformisti» che si è fatto le ossa con Bettino (Cazzola, lo stesso Sacconi, i vari Tremonti, Cicchitto, Brunetta, ecc).
Anche il Corsera, nei giorni scorsi, era andato a ricostruire la biografia della «nata dirigente». E aveva insinuato fin dal titolo («Il ritorno della "tuta blu" Camusso per governare i ribelli del sindacato») che avrebbe ben presto usato il peso della carica per «lenire la ferita» del suo allontanamento dalla Fiom, nel 1997. Il quotidiano di via Solferino addebita però l’evento al «massimalismo» dell’allora segretario dei metalmeccanici, Claudio Sabattini, dipinto come desideroso di liberarsi dei «riformisti».
Leggende non innocenti. Nel ’94 la Camusso - «responsabile per il gruppo Fiat» - siglò un accordo unitario (Cisl e Uil comprese) che introduceva il lavoro notturno (i «18 turni») nello stabilimento di Termoli. Può succedere ed è successo altre volte. Peccato che in quel caso gli operai non ne furono informati che a cose fatte; il referendum stroncò l’accordo con il 70% di «no». Fu allora che Sabattini, dopo due mesi assemblee per ricucire con gli operai, pronunciò la frase che oggi in Fiom è ancora scritta sulla pietra: «mai più un accordo che non abbia il consenso dei lavoratori». Successivamente, in sede di contratto nazionale, siglò la parte che le era stata affidata, contenente per la prima volta la possibilità di licenziare il dipendente «lungodegente» (fin lì «in aspettativa» senza salario). Infine, durante l’ultimo accordo raggiunto con Fiat, Sabattini la sollevò pubblicamente dall’incarico per «manifesta incapacità sul campo». Non era però un problema di «riformismo» o meno. La missione, infatti, venne affidata - e con pieno successo - a un altro riformista: Cesare Damiano. Fare confusione tra idee politiche e pratica sindacale serve solo a giustificare la preferenza - delle imprese, di cui il Corsera è certamente organo rilevante - per una linea negoziale ampiamente accomodante.

Fucik

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