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Crisi capitalista: non solo Europa. Il rischio delle nuove economie globali
Publie le giovedì 29 aprile 2010 par Open-Publishing4 commenti
I mezzi di informazione italiani sono oltremodo concentrati nel raccontare la situazione economico-finanziaria estremamente precaria della Grecia, in particolare ora che l’effetto domino si sta materializzando in tutto e per tutto. Infatti gli altri tre Paesi già fortemente a rischio come l’Irlanda e l’intera penisola iberica (Spagna e Portogallo) stanno subendo ulteriori declassamenti nel settore creditizio da parte delle agenzie preposte al controllo del medesimo, come Standard & Poor’s. Ad onor del vero, va sottolineato come fosse la stessa S&P a lodare le politiche adottate dall’istituto di credito Lehman Brothers minimizzando la caduta verticale (si può leggerne un esempio cliccando QUI, in un articolo battuto a luglio del 2008), che con il suo crollo ha dato il via allo scoppio della gigantesca bolla-balla dei soldi "virtuali" delle banche.
L’intera Unione Europea per prima è ampiamente e costantemente mobilitata per monitorare la situazione, in particolare quella greca; Francia e Germania, veri e propri motori economici continentali, insistono per aiutare il Paese ellenico, anche in considerazione dei forti investimenti in campo bellico da parte di Atene verso Parigi e Berlino (a seguire un post dedicato).
Ma, mentre i governi dei vari Paesi tentano di gettare acqua sul fuoco con grotteschi proclami e profetizzazioni circa una lenta ma costante ripresa, la situazione capitalista internazionale non farà altro che precipitare; basti, a titolo esemplificativo, chiedersi quanti mezzi informativi abbiano dato notizia dei 160 miliardi di euro letteralmente bruciati dalle borse europee nella sola giornata di martedì.
La filo-atlantica Gran Bretagna, estranea al capitolo "moneta unica europea", ha un quadro più oggettivo della situazione: è l’istituto di credito Standard Chartered di Londra a lanciare l’allarme circa una nuova ondata nera sul capitalismo globale. Il rapporto stilato da SC è stato ripreso l’altro ieri dal quotidiano inglese Guardian.
Il filo conduttore è molto semplice e sotto gli occhi di tutti: i grandi investitori di capitali hanno cominciato da tempo a portare le proprie risorse nei Paesi che rappresentano le nuove economie mondiali, come ad esempio la Cina o il Brasile e l’intero sudamerica; per quanto riguarda il padronato nostrano, basti pensare ai 26 miliardi di euro promessi dalla FIAT nella crescita internazionale del mercato per il quinquennio 2010-2014. Una così ingente massa di capitali porterebbe inevitabilmente a grosse ripercussioni sulle economie dei singoli stati: non si tratterebbe infatti di un’oggettiva crescita e sviluppo, ma viceversa verrebbe a crearsi una letale spirale inflazionistica che farebbe lievitare progressivamente i prezzi al consumo coinvolgendo le popolazioni autoctone come quelle straniere.
Gerard Lyons, economista della Standard Chartered, ha sottolineato come tali attività suicide siano già in atto per la maggior parte nel continente asiatico ed in fase di espansione in sudamerica, Est Europa e nell’intero continente africano. Per questo, stati più lungimiranti e previdenti come Cina e Singapore hanno già provveduto a tassare le speculazioni nel settore immobiliare, punta dell’iceberg e causa principale scatenante della crisi capitalista tra il 2007 ed il 2008. In buona sostanza, si razionalizza il flusso di capitali trattenendone una parte sul proprio territorio, dando così tra le altre cosa una maggiore stabilità dei conti. "Esattamente l’opposto di quanto sta facendo l’Occidente", ha ribadito criticamente Lyons.
Per il padronato globale, dunque, una nuova gatta da pelare ogni giorno che passa. Per la classe operaia, una prova sempre più lampante dell’esasperazione e del meccanismo di implosione del sistema capitalista. Un quadro chiato nella sua complessità che deve fornire argomentazioni convincenti per passare, da subito, dalla contestazione dello status quo all’organizzazione ordinata e classista per lo smantellamento dell’esistente. Oggi più che mai, ancora una volta dopo oltre mezzo secolo, si può oggettivamente fare.
Messaggi
1. Crisi capitalista: non solo Europa. Il rischio delle nuove economie globali, 29 aprile 2010, 20:09
Eppure dovrebbe essere chiaro che le cosidette agenzie di rating sono inutili se non dannose e sono complici di truffe esemplari. Basti ricordare che davano la tripla A a Lehman fino a poche ore dopo che era fallita, che davano la tripla A al debito argentino fino a due giorni prima del fallimento( cioè quando le banche l’avevano rifilato ad ignari clienti), davano la tripla A a tutta l’immondizia tossica dei subprime e dei CDS, insomma sono estremamente generosi quando si tratta di truffare. Ora stanno truffando di nuovo , questa volta con la complicità del governo americano al quale non sta bene che i cinesi e gli arabi stavano prefendo l’euro al dollaro. Semplicissimo: si abbassa il rating fino a livello spazzatura di qualche paese europeo in difficoltà( ma non eccessivo), si vende allo scoperto i suoi titoli e questi cominciano a scendere.Le banche ed i fondi a questo punto sono costrette a vendere deprimendo le quotazioni e così anche i risparmiatori vendono a qualunque prezzo presi dal panico e non comprano i nuovi.Ovviamente questo apre una crisi di liquidità dato che l’euro non può essere stampato a volontà e che nessun paese può restituire il suo debito immediatamente ma questo succederebbe a chiunque se le banche imponessero di restituire, per esempio,tutto il mutuo immediatamente anche se siamo delle entrate ed abbiamo l’immobile a garanzia. A questo punto il gioco è fatto o, se preferite, la truffa è consumata perchè basta dire che la crisi della Grecia è la crisi dell’euro( che non è vero tecnicamente) e l’euro crolla sempre "aiutato" dalle banche americane ed inglesi che vendono allo scoperto con immensi utili per loro e la sicurezza che i cinesi non venderanno i dollari per il governo americano. Dio mi guardi dai nemici ma soprattutto dagli amici.michele
1. Crisi capitalista: non solo Europa. Il rischio delle nuove economie globali, 29 aprile 2010, 23:57, di Mattia Laconca
Il tuo quadro della situazione è ampiamente eurocentrico e non tiene in considerazione ciò che il padronato europeo sta facendo da anni: ovvero "delocalizzare" nei nostri Paesi per spostare intere produzioni (e quindi ingenti masse di capitali, dato che oltre il 90% delle aziende che investono all’estero è SPA o comunque quotata in borsa) negli stati che rappresentano la nuova frontiera economica del Ventunesimo secolo. L’esempio facile che facevo è proprio quello della FIAT (gruppo finanziario IFIL), che butterà 48 mila miliardi di vecchie lire in 5 anni in "investimenti sul mercato internazionale" (testuale dalla relazione del quinquennio 2010-2014 di Marchionne e soci).
A noi operai poco interessa la tassazione ed il livello di rendita (reale e/o virtuale) degli investimenti: in ogni caso di qua o di là decine e decine di posti di lavoro saranno tagliati. Basta vedere quanto sta avvenendo in Serbia, con l’acquisizione da parte di FIAT della ZASTAVA.
La comprensione dei meccanismi economici e finanziari è sì indispensabile e fondamentale, ma non deve distogliere dall’organizzazione classista contro il sistema padronale borghese che sta per implodere. Restando nel piccolo, quanti sindacati preferiscono salvare il 90% dei posti di lavoro anzichè entrare in aperto conflitto con il padronato di turno? salvare lo stato greco, o quello portoghese, o quello spagnolo, non farà altro che salvare qualche poltrona alle rispettive borghesie internazionali.
Il nostro primo compito, parlando da oggi alla prossima scadenza, è sostenere nella maniera più esplicita e visibile possibile lo sciopero generale ellenico del 5 maggio prossimo, e stringere una fitta rete di collaborazione e rapporti con la classe operaia a livello internazionale, che si chiami convenzionalmente "greca" o "spagnola" o "portoghese".
Come chiudevo l’articolo di cui sopra l’altro giorno, dopo oltre mezzo secolo un ribaltamento dei rapporti di forza è di nuovo ottenibile. Stavolta però non stiamo ciecamente a sentire il solito gruppo dirigente popolare, solone ed arrogante, che ci detta le scadenze della ribellione. Una volta per tutte, che l’operaio decida per sè e per il proprio destino. Detta cruda ed ai minimi termini, l’unica soluzione borghese per l’uscita dalla crisi è il conflitto globale. Dopo il crollo della borsa americana del ’29, sono passati solo 10 anni dall’invasione nazista in Polonia, con la Germania di Hitler che ben conosceva le reazioni ad un atto di tale violenza e portata internazionale.
Gli unici amici che puoi trovare sul tuo cammino da qui in avanti sono le persone ad un passo dal baratro come me e te, supponendo che tu sia il classico lavoratore sfruttato, dipendente o con partita IVA, oggi, poco fa differenza.
Con i migliori saluti anticollaborazionisti, nella speranza che tu ti unisca alla causa in tutto e per tutto, grazie per lo spunto costruttivo ed intelligente di dibattito.
Rispetti,
Mattia Laconca - Per la Lotta Continua - Pavia
2. Crisi capitalista: non solo Europa. Il rischio delle nuove economie globali, 30 aprile 2010, 10:00
Ti quoto in pieno "mattia", gran parte dell’attuale crisi economica e delle sue conseguenze è dovuta alla spegiudicata delocalizzazione delle industrie americane ed europpe che hanno spostato immensi capitali nell’est ed in asia ed i cui maggiori profitti non sono stati reinvestiti nei paesi di provenienze ma sono andati semplicemente nel circuito bancario e consumi di lusso( proprio ieri 29/04 c’era un articolo del newyork times su pantaloni da 1000 dollari).Tale delocalizzazione ha distrutto il tessuto economico della nazioni terziarizzando l’economia( non è un caso se i maggiori datori di lavoro sono i supermercati)che però sono molto più fragili al ciclo economico rendendo impossibile l’allocazione dei lavoratori usciti dal ciclo economico.
Purtuttavia proprio il caso Argentina ci deve far riflettere e considerare che i costi del salvataggio della Grecia sono infinitamente inferiori ai rischi di un default. Ho un’amica argentina che vive a Rosario ed i raccapriccianti racconti dei tempi del default sono illuminanti:non c’era più energia elettrica e le strade di notte erano buie i disoccupati si contavano in decine milioni, nessuno riceveva più uno stipendio bande di ladri giravano industurbate per le strade e la mattina si faceva la conta dei morti in centinaia, la prostituzione e le malattie diffusissime, non c’erano ospedali se non pochi pronto soccorso retti da medici eroi, le violenze di tutti i tipi infinite, in città non si trovava praticamente nulla da mangiare e fioriva il mercato nero, la distribuzione di gas ed energia elettrica fu interrotta in inverno( e lì fa molto freddo)e migliaia di vecchi morirono di freddo e stenti.Moltissimi argentini sono dovuti emigrare in Brasile ed in Europa per dare qualcosa da mangiare alle famiglie. Oggi le cose lì vanno un pò meglio ma non si è ancora tornati al livello precedente il default nonostante gli anni passati.
Alloro io mi chiedo e ti chiedo è questo il futuro che vogliamo per la Grecia? Tu dici che il salvataggio salverebbe qualche decina di borghesi arraffoni che ne hanno fatto di tuti i colori (come in Italia del resto) ma io dico che se questo è il prezzo da pagare per evitare uno scenario simile forse non è troppo alto. michele
1. Crisi capitalista: non solo Europa. Il rischio delle nuove economie globali, 30 aprile 2010, 15:48, di Mattia L
Sinteticamente, ti rispondo che il popolo realmente comunista (quindi non so se includere o meno i partiti comunisti di governo) deve elaborare nel più breve tempo possibile una grande proposta alternativa costruita sull’organizzazione ed una linea ugualmente netta e radicale.Perchè la tua amica argentina può raccontarti quanta rabbia fisica e morale può scatenarsi contro chi ti ha tolto tutto. Dunque, dato che sarebbe impossibile reprimere questi sentimenti, e più empiricamente la fame, la rabbia deve essere indirizzata verso precisi soggetti ed ambienti. Come nella Lotta Partigiana, mirino preciso ed al contempo una rete di tutela per i più deboli che non possono intervenire. Se la Grecia diventasse un campo di battaglia come mi hai descritto l’Argentina, la popolazione attiva non può stare a guardare.
PS: se tieni un blog, o sito, mi piacerebbe continuare a leggere quello sche scrivi: fammi sapere, scambierei volentieri i contatti.
Con i migliori saluti anticollaborazionisti,
Mattia