Home > Da Dien Bien Phu ad oggi
Da Dien Bien Phu ad oggi
53 anni fa, il 13 marzo 1954, le forze del Viet Minh guidate dal generale Vo Nguyen Giap, , il liberatore di Hanoi dall’occupazione giapponese nel 1945, che lo aveva fondato nel 1938, attaccavano la base militare di Dien Bien Phu, un villaggio del Vietnam il cui nome sarebbe diventato il simbolo della guerra di liberazione del popolo vietnamita, tenuta da paracadutisti francesi e da truppe della Legione Straniera.
Dopo 55 giorni di combattimenti, il 7 maggio 1954, i Francesi capitolavano e la bandiera rossa del Viet Minh veniva issata su quel che restava della base : gli ultimi cinque mesi di guerra erano costati 7 000 morti francesi e 20 000 vietnamiti, mentre 11 000 Francesi venivano fatti prigionieri dal Viet Minh. In breve tempo, i Francesi erano costretti a lasciare definitivamente l’intero territorio del Vietnam.
Un popolo di poveri contadini provava che era possibile sconfiggere una grande potenza europea combattendo per una causa giusta e basandosi soprattutto sulle proprie forze, aprendo la strada alle lotte di liberazione di tutti i popoli oppressi, dopo avere sconfitto i Giapponesi e prima di sconfiggere gli “imbattibili” Americani.
Dien Bien Phu fu l’ultima e decisiva battaglia della Guerra d’Indocina, iniziata nel 1947, che i Francesi combattevano per rientrare in possesso della « loro » colonia - De Gaulle chiedeva che venisse ripristinato lo status quo di prima della II guerra mondiale - ed i Vietnamiti per l’indipendenza del loro paese.
Durante buona parte della sua storia plurimillenaria, il Vietnam aveva dovuto subire il dominio del potente vicino cinese, ma già nel X secolo aveva conquistato l’indipendenza e si era in seguito vittoriosamente opposto all’invasione mongola che aveva sottomesso la Cina, ma non il Vietnam.
A metà del 19° secolo, la Francia aveva colonizzato la penisola indocinese, venendone temporaneamente espulsa durante la II guerra mondiale in seguito all’occupazione giapponese. Fin dagli anni ‘30 il Partito Comunista Vietnamita, guidato da Ho chi minh e Vo Nguyen Giap, si era posto alla testa del movimento per l’indipendenza del paese, sviluppatosi sull’onda del risentimento dei Vietnamiti verso il dominio coloniale e del loro forte sentimento nazionale.
Alla fine della guerra, nel 1945, il primo presidente della Repubblica, Ho chi minh, chiamato affettuosamente dai suoi compatrioti « zio Ho », dichiarando nullo il trattato di protettorato siglato nel 1883 con la Francia, proclamava l’indipendenza del Vietnam.
Nel novembre del 1946, in seguito ad alcuni incidenti violenti per questioni doganali nel porto di Haiphong, incidenti repressi nel sangue dalle truppe francesi, l’incrociatore francese Suffren bombardava il quartiere cinese della città : 6 000 morti.
Nel 1949, i Francesi tentavano di dar vita ad un nuovo stato nel Sud del paese, ponendo alla sua testa il vecchio imperatore dell’Annam, Bao Dai e stabilendone la capitale a Saigon, l’odierna Città di Ho Chi Minh. Il nuovo « stato » veniva subito riconosciuto da Harry Truman, presidente « democratico » degli USA, che non lesinava le armi ed i consiglieri militari per sostenerlo.
Nel 1953 - erano già in corso i preparativi per le trattative di pace - la tentazione di far pesare sul tavolo del negoziato una grande vittoria militare spingeva i Francesi ad organizzare un’operazione su vasta scala, l’operazione Castor, che impegnava oltre 10.000 paracadutisti a Dien Bien Phu, Vietnam nord-occidentale, nella costruzione di una base aerea dotata di due piste di decollo e nella contemporanea occupazione e fortificazione delle otto colline che circondavano la valle.
Ma, una volta completata la costruzione della base, i Francesi venivano sorpresi dal fuoco dei pezzi di artiglieria che i Vietnamiti avevano spostato lungo ripidi pendii coperti di vegetazione giudicati – errore rivelatosi in seguito fatale – impraticabili. Fatto inaudito, il gatto si trasformava in topo : il comandante dell’artiglieria francese, colonnello Piroth, si suicidava e veniva seppellito in gran segreto per non demoralizzare le truppe.
Altra sgradita sorpresa : i Vietnamiti disponevano di un’efficace contraerea per impedire i rifornimenti aerei della base e di cannoni in grado di distruggerne le piste. A conferma della nota teoria di Mao tse-tung, secondo la quale le truppe di occupazione, generalmente ben equipaggiate, sono la migliore fonte di rifornimenti per le forze di liberazione, a corto di tutto, molto spesso il materiale paracadutato destinato ai Francesi finiva sul territorio controllato dal Viet Minh. Alla fine di aprile, la stagione dei monsoni segnava il crollo definitivo delle posizioni degli occupanti, ormai completamente circondati.
Gli accordi di Ginevra del 1954 dividevano temporaneamente il Vietnam in due zone, separate dal fiume Ban Hai, che avrebbero dovuto riunirsi in un Vietnam finalmente indipendente con le elezioni previste nel 1956. Ma il colpo di stato attuato nel Sud da Ngo Dinh Diem con il sostegno degli USA spaccava il Paese in due : al Nord la Repubblica vietnamita guidata da Ho chi minh ed al Sud uno stato fantoccio degli Americani.
Nel 1960 veniva fondato il Viet Cong, che unificava in un vasto Fronte di Liberazione Nazionale tutte le forze disposte a battersi per la cacciata di Ngo Dinh Diem ed il compimento del processo di indipendenza nazionale.
Nel 1965, mentre il regime di Saigon era ormai al collasso – Diem era stato assassinato nel 1963 – le truppe americane stazionate nella Corea del Sud, in Nuova Zelanda, in Thailandia ed in Australia, intervenivano per impedire la riunificazione del paese.
Ma erano ormai trascorsi quasi vent’anni dalla guerra di Corea, quando, per « combattere il comunismo » - in realtà per mettere sotto controllo economico e militare il continente asiatico dopo la II guerra mondiale – gli Americani avevano spaccato il paese lungo la linea definita nel 1953 dall’armistizio di Panmunjon che tuttora, dopo 50 anni, lo divide.
La guerra finirà nel 1975, con l’ingresso delle truppe del Viet Cong a Saigon, dopo essere costata agli Americani alcune decine di migliaia di soldati morti ed al Vietnam milioni di perdite umane, soprattutto civili, vittime di dieci anni di violentissimi bombardamenti a tappeto e della guerra chimica scatenata dalle forze americane.
L’esercito americano, che aveva sperimentato – unico nella storia – gli effetti della bomba atomica sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki per chiarire chi sarebbe stato il nuovo padrone dell’Asia all’indomani della II guerra mondiale, aveva saggiato gli effetti del napalm e di altre sostanze chimiche di produzione statunitense sulle cavie vietnamite : ancora oggi le conseguenze dell’agente Orange provoca un numero elevato di morti ed orribili malformazioni di neonati, mentre una parte del territorio vietnamita grande quanto la Svizzera é irrimediabilmente inquinata dai veleni sparsi dagli aerei USA.
La mente va all’ex Yugoslavia, amorevolmente sottratta dai bombardamenti umanitari alle campagne di pulizia etnica, alle vittime dell’uranio impoverito fra le popolazioni liberate e – anche se non nella stessa proporzione – fra gli stessi valorosi liberatori, all’Irak terreno di due guerre di esportazione della democrazia (con in mezzo un embargo che ha provocato due milioni di morti), all’Afghanistan dove i Talibani, che andavano benissimo quando si trattava di liquidare Najibullah ed i concorrenti sovietici, sono diventati in seguito impresentabili (do you remeber un certo Bin Laden ?), ad altri teatri di guerra e di sperimentazione di nuovi strumenti di morte, ad altrettante occasioni di lucrosi affari per il complesso militare-industriale americano e dei suoi vassalli occidentali di cui George Bush é l’attuale amministratore delegato.
Trent’anni dopo, il Vietnam si sta lentissimamente risollevando dalle conseguenze del colonialismo e delle guerre di liberazione nazionale necessarie per liquidarlo, sia pure a prezzo di dolorosi compromessi con i padroni del mondo.
Le sue difficoltà e quelle di tanta parte del mondo uscita da cinque secoli di sfruttamento coloniale – ma non da quello neocoloniale tuttora operante - che hanno fatto di noi, popoli del piccolo continente europeo e dell’America del Nord, i consumatori di più dei 4/5 delle risorse del pianeta, condannando alla miseria oltre la metà del genere umano (il 50% della popolazione mondiale dispone per sopravvivere dell’1% delle risorse del pianeta, mentre l’1% é proprietario del 50% delle stesse) , non cancellano l’enorme valore morale del suo esempio per tutti i popoli oppressi e per le forze che, in Francia come altrove nell’Occidente opulento, si sono battute e continuano a battersi al loro fianco.
Non é inutile ribadire questi concetti in un mondo come quello odierno, dove il revisionismo storico tenta di riabilitare il fascismo – Mussolini era un onest’uomo, secondo Silvio Berlusconi - e di far passare l’orribile avventura coloniale per un’operazione di diffusione del progresso : é recente il tentativo da parte dell’attuale governo francese, fatto fallire dalla dura opposizione delle forze della sinistra e dalla reazione sdegnata della pubblica opinione, di introdurre nei manuali scolastici un preteso valore positivo del colonialismo.
Parigi, 12 marzo 2007
Giustiniano Rossi