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Destini del PRC

Publie le giovedì 3 marzo 2005 par Open-Publishing

Dazibao Partiti Partito della Rifondazione Comunista Parigi

Le scelte del PRC nell’ultimo anno alla luce delle peculiari caratteristiche di questa formazione. Solo con queste premesse analitiche è possibile comprendere la posta in gioco del prossimo congresso e in generale le prospettive del partito. REDS.

Il Prc si avvia al suo sesto congresso. Nulla però lascia presagire che si tratterà di un congresso memorabile. Eppure di un congresso memorabile ci sarebbe assai bisogno. Di parlare del Prc con un linguaggio e dei contenuti da addetti ai lavori ha senso? Non molto. Ci infileremmo in polemiche in gran parte estranee al dibattito e al sentire della gran parte degli attivisti giovani e non che hanno animato i movimenti negli ultimi tre anni. Preferiamo un approccio "didattico". Cercheremo cioé di spiegare cos’è il Prc (e, conseguentemente, le caratteristiche del suo congresso) a chi del Prc non è, ma magari lo vota, o lo ha votato, o lo voterà.

Cos’è il Prc, oggi? Chi sta fuori dal Prc ha un’idea del partito assai diversa (e migliore) di quel che il partito nella realtà è. Rifondazione è un grosso spazio elettorale con un piccolo corpo militante e un leader, Bertinotti. La sproporzione tra numero di militanti ed elettori è senza precedenti nella storia dei partiti della sinistra in Italia. Si guardi la seguente tabella:

 
1992
1994
1996
2001
elezioni Camera: voti assoluti
2.202.574
2.334.029
3.215.960
1.868.113
numero di iscritti
117.462
113.580
127.073
92.020
% iscritti su votanti
5,3
4,9
4,0
4,9

Con varie oscillazioni dunque vi è una media che oscilla intorno 5 iscritti su 100 elettori. Qualche confronto: vi sono 10 iscritti ogni 100 elettori tra i Ds, mentre ve ne erano 20 su 100 con il Pci.

Il Prc raccoglie il consenso di una larga fetta di elettorato (variabile dal 5 all’8%) di elettorato di orientamento radicale, non sempre molto politicizzato, con una componente giovanile non indifferente. Si tratta dello stesso elettorato che in altri Paesi vota i comunisti ortodossi in Grecia e Portogallo, o i trotskisti in Francia o i postcomunisti in Svezia o Germania o Izquierda Unida in Spagna. Le percentuali sono simili e simile è l’elettorato. Le strutture partitiche che "occupano" quello spazio hanno tradizioni le più disparate: quell’elettorato risponde a dei bisogni oggettivi di rappresentanza politica, e vota "quel che c’è", e quel che c’è è il residuato della storia passata di quel determinato Paese. In poche parole non vi è una relazione diretta tra elettorato radicale e la sua ristrettissima militanza. E’ così in Italia, ma è così anche in Europa.

In Italia questo spazio elettorale è "occupato" dal Prc, ma potrebbe anche essere occupato da altri. Nel senso che la politica portata avanti dal partito è relativamente indifferente a questo genere di elettorato, sensibile invece all’immagine complessiva di "radicalità" e di opposizione. Questa è la ragione fondamentale che spiega l’incremento dei Comunisti Italiani nelle ultime elezioni. Tra la massa dei giovani che ha votato alle scorse amministrative è assai arduo individuare chi davvero conosce le differenze tra Prc e PdCi. Il PdCI si sta avvalendo di una sorta di rendita da nome (accompagnato da una visibilità istituzionale che serve a pubblicizzarlo) del tutto simile a quella dei Verdi, una formazione senza alcuna base militante e alcun radicamento sociale, ma che continua a prendere voti grazie alla semplice esistenza di un settore di elettorato che vuol votare qualcosa che abbia a che fare con l’ecologia.

Il consenso di questa fascia di elettorato radicale viene meno solo nel momento in cui in maneira plateale il partito che lo "occupa" non risponde più alla domanda di radicalità che gli si chiede di incarnare. Per questo in un periodo di forte radicalizzazione antiberlusconiana il Prc è destinato a crescere, in maniera abbastanza indipendente da quel che fa o dice. Del resto sta accadendo anche ai Ds, in maniera ancor più immeritata. La gente vuol farla finita con Berlusconi, e dunque vota quel che c’è. Solo nel momento in cui il Prc non risponde più a questa domanda di radicalità, e in maniera visibile anche a chi non legge i quotidiani, allora i consensi calano. Il calo elettorale del Prc non si è registrato, contrariamente a quanto si crede, dopo l’uscita dalla maggioranza di governo che sosteneva Prodi, ma durante le due tornate di amministrative sotto il governo Prodi, dopo che il partito aveva votato a favore di due finanziarie lacrime e sangue. Se il Prc fosse rimasto sarebbe arrivato al 3% cui s’era ridotto il Pcf dopo la partecipazione ai governi Jospin.

La base militante del Prc ha una consistenza superiore a quella di verdi e PdCI, partiti "finti", macchinette elettorali che sfruttano un nome. Ma non manca molto a che anche il Prc diventi come loro. Tra il corpo militante del Prc e lo spazio elettorale che teoricamente questo rappresenta esistono solo flebili legami.

Nel 2003 il Prc disponeva di 85.511 iscritti. La gran parte di costoro però non è affatto attivo. E’ uscito un ottimo libro per le edizioni Il Mulino dal titolo "Rifondazione Comunista. Storia e organizzazione" che consigliamo perché, pur con un taglio nettamente sociologico, per la prima volta vengono messi insieme dati utilissimi a comprendere questa formazione politica. Da questi dati possiamo comprendere quel che risulta chiaro a qualsiasi militante del partito, ma forse non molto a chi è esterno. Il Prc non ha una sua burocrazia interna. Questo elemento è determinante per comprenderne le dinamiche interne. Vi sono stati partiti nella storia del movimento operaio dove la presenza di questo strato sociale (la "burocrazia") è stato assai determinante: il Pci. Lo è tuttora in organizzazioni di altra natura, ad esempio quelle sindacali. Il Pci disponeva di un enorme apparato di funzionari stipendiati: funzionari di partito, sindacali (la cui nomina dipendeva dal partito), di cooperative, di organizzazioni di massa (Arci, Udi, ecc.). Si trattava di migliaia e migliaia di persone. Questa burocrazia costituiva una piramide, fortemente coesa, disciplinata ed orientata ad un saldo controllo di una vasta base militante. Il Pci appariva, ed in parte lo era, una sorta di "corazzata" assai poco attaccabile, se non dalla storia. Quei burocrati (in senso sociologico) dipendevano dal partito per mantenere il proprio posto, il proprio stipendio, la propria posizione e la speranza di far carriera. Questo condizionava pesantamente la loro psicologia politica: erano obbedienti in ogni contesto: sapevano che anche la loro posizione nelle istituzioni, nei sindacati, e ovunque si trovassero dipendeva, in ultima analisi, dalla benevolenza del partito. Dunque era il partito, la sua gerarchia e la sua struttura, al centro di tutto. Bene, il Prc è tutt’altra cosa.

Il Prc non ha una burocrazia interna. Naturalmente alcune correnti di tanto in tanto si lamentano di una qualche misura disciplinare che viene presa contro questa o quella iniziativa "frazionista". Ma il grado di repressione interna al Prc è risibile. E’ anzi abbastanza arduo trovare esempi di altri partiti dotati di pari consenso elettorale e che godano al loro interno di quel tipo di libertà di espressione. Tutte le correnti interne al Prc che criticano la direzione, adottano al proprio interno una disciplina di frazione più rigida di quella applicata dal partito all’insieme dei suoi militanti. NON stiamo affermando che nel Prc troviamo la massima democrazia possibile. Ma solo che un tizio con la tessera del Prc può dire e fare letteralmente di tutto, che non sia una rapina o un omicidio, senza correre il pericolo di essere espluso. Il numero di burocrati, cioé di distaccati dal lavoro e stipendiati dal partito, è patetico: una sessantina. Tenendo conto poi che gran parte di costoro svolge compiti tecnico esecutivi e non politici, si tratta di un numero assolutamente insufficente per controllare alcunché. Inoltre.

La maggioranza degli iscritti non è attiva (ma in questo il Prc segue la tradizione di tutti i partiti di sinistra e di massa). Nei congressi partecia poco più del 50% degli iscritti (54%) l’ultimo congresso, dunque circa 40.000 persone. Nei fatti tra un congresso e l’altro a fare attività sono i membri dei comitati direttivi, che oscillano intorno alle 15.000 unità. La ricerca citata calcola in 6-7.000 gli iscritti disponibili a volantinare.

Il partito soffre di un turn over cronico che in alcuni momenti supera il 20% degli iscritti, segnale evidente che la gente che si avvicina a questo partito con l’aspettativa che esso corrisponda all’immagine pubblica di rappresentanza della radicalità sociale, viene puntualmente delusa.

Ma. Se i militanti son pochi e la burocrazia è inesistente, lo scheletro del partito è costituito da chi? Nel 2000 il Prc disponeva di 1.893 consiglieri comunali, 125 consiglieri provinciali, 39 consiglieri regionali, 32 sindaci, 387 assessori comunali e 16 provinciali, 5 regionali. In tutto: 2.500 persone. Questo numero è drasticamente cresciuto con le ultime amministrative superando certamente le 3.500. Si consideri questa cifra considerando il quadro attivo di 6.000 persone e si aggiunga un altro dato. Sempre nel 2000 si stimava che l’insieme dei funzionari periferici del Prc dipendenti dalle istituzioni (cioé dagli eletti nelle istituzioni) fosse di circa 400 unità. Numero oggi certamente aumentato.

In poche parole si tratta di un partito che dipende dalle istituzioni, e dai soldi delle istituzioni. Dal punto di vista materiale la "burocrazia" del Prc non è come quella del Pci dipendente dal partito, ma dalle istituzioni. La dipendenza del Prc dalle istituzioni spiega molte cose. Ad esempio che, al momento delle scissioni, regolarmente, gli scissionisti si portano via gran parte degli istituzionali (scissione Magri, scissione Cossutta). Spiega anche l’ininfluenza del Prc a livello sindacale: ci sono molti funzionari Cgil con in tasca la tessera Prc, ma costoro garantiscono la loro posizione nell’apparato grazie a cordate interne, ma non per intermediazione del Prc. E ciò spiega perché il Prc non può esercitare una politica sindacale: i funzionari con la sua tessera dipendono dalla benevolenza della burocrazia Cgil, o delle sue frazioni, e che potrebbero farli saltare con un soffio. In poche parole il Prc, come partito, ha scarsissime possibilità di incidere su se stesso, orientando l’attività dei propri militanti. La gran parte dei suoi militanti infatti si occupa di istituzioni, o stanno dentro, o quelli fuori discutono di quel che fanno quelli dentro. La discussione politica di un tipico circolo del Prc ruota tutto intorno all’amministrazione o alla gestione dell’opposizione nell’amministrazione.

Questi tre anni hanno visto scendere in campo quattro grossi movimenti: quello sindacale sull’art18, quello democratico dei girotondi, quello della scuola, quello noglobal-pacifista. Hanno mosso milioni di persone, hanno creato o riattivizzato decine di migliaia di quadri. Quanti di costoro sono finiti nel Prc? Terribilmente pochi. Eppure la linea movimentista che ha caratterizzato il partito fino a un anno fa avrebbe dovuto garantire un bell’afflusso. Il problema è molto semplice. Il corpo del partito aveva ingoiato passivamente le indicazioni centrali, ma nella realtà quotidiana la massa dei circoli si è comportata assolutamente come sempre, occupandosi sostanzialmente di propaganda, amministrazione, elezioni. Nei movimenti vi erano parecchi iscritti al Prc, ma come "singoli", oppure accorpati ad una qualche corrente di movimento che rispondeva a tattiche assolutamente indipendenti da quelle di partito. Qualsiasi attivista abituato ai movimenti e al loro stile di lavoro, all’interno di un circolo si troverebbe un pesce fuor d’acqua. Quelli che ci entrano, poi scappano.

Bertinotti è perfettamente consapevole della natura del suo partito: sa che si tratta di un grande spazio elettorale, con un corpo militante debole e socialmente sradicato. Dunque ha scelto da sempre di porsi in sintonia diretta con lo spazio elettorale "saltando" il partito, cioé il suo corpo militante. All’epoca dell’uscita salla maggioranza che sosteneva Prodi Bertinotti aveva correttamente intrepretato i segnali che venivano dalle elezioni amministrative parziali (cioé dallo spazio elettorale) ed ha agito di conseguenza. Quando sono sorti i movimenti li ha cavalcati cercando di entrare in sintonia con essi, cioé col suo spazio elettorale. Quando ha compiuto tutti gli strappi ideologici sulle foibe, la resistenza, l’ottobre, il novecento, ecc. il corpo del partito, legato ad un immaginario "comunista" che pur non pratica affatto, aveva reagito assai male e tra i militanti di ogni corrente ci si aspettava un crollo alle elezioni amministrative. Invece il partito ha guadagnato molti voti. E ciò non certo per merito delle uscite bertinottiane: semplicemente lo spazio elettorale del Prc non è fatto di nostalgici del tempo che fu, è poco politicizzato, ma è radicale. Esso ha votato Prc per effetto dell’antiberlusconismo e delle mobilitazioni.

Proprio perché in contatto diretto con quello spazio elettorale, Bertinotti si è fortemente allarmato al momento dell’ascesa del cofferatismo. Cofferati minacciava direttamente il suo spazio elettorale: se avesse costituito un suo partito si sarebbe ingoiato i voti del Prc in un sol boccone, dato che il Prc non ha saldi legami nella società, come abbiamo visto. Per questo Bertinotti ha agito per mettere in difficoltà colui che competeva per lo stesso spazio elettorale (e oltre): il referendum sull’art.18 è stato promosso anche con questa scopo tutto politico.

Una volta che Cofferati si è autoeliminato, Bertinotti non ha più voluto correre il rischio che qualcuno coprisse la sponda di sinistra del centrosinistra, ed ha svoltato verso quella che ora si chiama Gad. Doveva evitare un pericolo: quello di ritrovarsi in un raggruppamento di partitini (con Verdi e PdCI), con la sinistra Ds "imprigionata" nel nuovo partito riformista (la Fed) di Fassino e Rutelli, senza possibilità di incidere direttamente sulla coalizione. Quindi ha agito per disinnescare questo pericolo. La costituzione della Gad dove sono dentro tutti a pari titolo ha garantito questa condizione. E per ottenere questo risultato ha pagato tutti i prezzi che gli hanno chiesto di pagare: dalla rinuncia a chiedere subito e senza condizioni il ritiro delle truppe dall’Iraq a quello di promettere che avrebbe rispettato le decisioni prese a maggioranza nella Gad.

Cosa possiamo dire di questa tattica? Beh, possiamo dire che, per l’appunto, è un’ottima tattica. Ma una strategia disastrosa. Essa si colloca tutta al livello dei ceti politici, lavorando sugli spazi elettorali. La visione politica di Bertinotti è quella di ambire a muovere le masse dall’alto di una leadership illuminata, ignorando la necessità dei corpi intermedi, cioé dei militanti. I cambiamenti sociali però li fanno i militanti e le strutture radicate nella società. Le leadership, senza che abbiano dietro nessuno, diventano presto ostaggi di chi dietro ha gente e soldi. E i danni strategici di questa tattica per ora vittoriosa e indubbiamente intelligente, li si possono già vedere. La sparizione della "sponda politica" Prc ha potentemente contribuito a demotivare i movimenti, specie quello contro la guerra e li ha disorientati. Mancando un Prc che smarcasse a sinistra, le burocrazie di verdi, PdCi, e sinistra Ds non hanno potuto certo scavalcare a sinistra Bertinotti. Il risultato concreto è che oggi coloro che hanno perso le elezioni del 2001, dopo tre anni burrascosi di contestazioni alla loro leadership, sono saldamente in sella al comando, e Fassino ha preso la congresso Ds una percentuale bulgara. Ma se in campo non ci sono movimenti e militanti, ma solo uno spazio elettorale desiderante, Bertinotti non avrà alcuna arma "vera" da giocare per spostare a sinistra l’asse della Gad.

Il Prc dunque si sta mettendo in sintonia con il suo spazio elettorale, che vuole la cacciata di berlusconi, e con il partito in via di rapida istituzionalizzazione. E che una volta al governo e nelle amministrazioni regionali, diverrà "ingovernabile". Natualmente Bertinotti spera ardentemente che i movimenti continuino a stare in campo. Ma nessun movimento di questi anni è nato per mettersi agli ordini delle tattiche politiche sue, o di chiunque altro. E, non avendo costruito un partito "vero", i movimenti non è in grado nè di suscitarli, nè di crearli. Quindi se la Gad vincerà si ripeteranno cose già viste: un centrosinistra con una politica moderata e un Prc costretto a subire chiamando "grande vittoria" ogni cedimento? Calma.

Nel 1996 eravamo in pieno riflusso. Oggi no. Ci sono decine di migliaia di nuovi attivisti di movimento che non sono tornati a casa. E’ l’elemento nuovo e in parte drammatico. Queste persone infatti che si sono mosse su temi parziali (la pace, la scuola, l’art.18), oggi vedono la centralità della politica che si riassume nella volontà di mandare a casa Berlusconi. Ma non hanno una propria rappresentanza politica. Per la gran parte vota il Prc, ma non è entrata nel partito nella sua fase movimentista, men che meno vi entra ora che sta facendo queste strane manovre. Naturalmente il futuro (se vi sarà) governo Prodi non farà nulla di progressista (dato che il suo personale politico è esattamente identico e non ha pagato alcun prezzo), che farà allora il Prc? Esce dal governo? Di nuovo? Sarà incastrato là in mezzo. E che faranno dunque le nuove militanze? Si apre una fase dalle molte incognite. Questa situazione potrà dar vita a soggetti politici nuovi o alla profonda trasformazione di quelli vecchi, ma anche a derive estremiste di pezzi di movimento deluse ed arrabbiate. E’ tutto aperto, ma di questi dilemmi vi è scarsa traccia nel dibattito del partito.

http://www.ecn.org/reds/prc/VIcongresso/prc0502VIdestini.html