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E’ tornata l’Unione.

Publie le lunedì 15 marzo 2010 par Open-Publishing

(da il megafonoquotidiano)

di Salvatore Cannavò

Una manifestazione riuscita a piazza del Popolo consacra la linea, e la leadership, di Bersani e ricostruisce l’unità del centrosinistra. Anche Rifondazione dentro l’alleanza in vista delle politiche. Di Pietro moderato porta il popolo viola dentro la coalizione mentre Berlusconi se la deve vedere con Tremonti e Micciché. Per il Pd «un’altra Italia è possibile» ma non spiega quale.

La novità è che sono cambiate quasi tutte le facce, tranne quella di Di Pietro. Non ci sono Prodi, Fassino, Rutelli, Bertinotti, Diliberto o Pecoraro Scanio. Al loro posto Bersani, Vendola, Ferrero, Bonelli, Bonino e, appunto, Di Pietro. L’altra novità è che stavolta c’è più umiltà. Ne parla esplicitamente il leader di Italia dei Valori, gli interventi politici poi non superano i cinque minuti e i vari rappresentanti di partito sgomberano velocemente il palco. Quasi a volersi scusare di tutti gli errori del passato, di tutte le cantonate prese, le panzane raccontate. Anche in questo caso, è Di Pietro a fare esplicitamente riferimento al conflitto di interessi di Berlusconi mai sanato dal centrosinistra e non è un caso se, forse, l’intervento più sentito, e davvero bello, sia stato quello di Riccardo Iacona, giornalista Rai che riversa sulla piazza tutta l’indignazione per come l’informazione è stata trasformata dal potere berlusconiano (e non solo).
Dopo di che la manifestazione di piazza del Popolo a Roma, certamente riuscita – anche se duecentomila persone in quello spazio non c’entrano neanche nel mondo di Lilliput – dice che è tornata l’Unione. Non già nella versione sgangherata che piace darne ai suoi critici – di destra o di centro – ma nella versione politica che abbiamo conosciuto recentemente. Un’alleanza tenuta insieme soprattutto dalle malefatte di Berlusconi, «il piduista», «Nerone», alfiere di un «fascismo di ritorno» come dice Di Pietro; «un disco rotto», autore di tante «bolle di sapone» come sottolinea Bersani; il «narratore di una storia incivile» come aggiunge Vendola. A tenere insieme la manifestazione, a descriverne gli umori, sollecitare la piazza, costruire un collante è ancora lui, il “puzzone”, certamente protagonista di uno scandalo al giorno, di un attacco al giorno, di una provocazione al giorno.
Ma nella manifestazione si sente anche il bisogno di qualcosa di nuovo, nel senso di più avanzato rispetto al quadro politico attuale. «Le cose possono cambiare» è il motivo con cui Bersani chiude il suo intervento conclusivo e l’insistenza sulla necessità di costruire «un’alternativa» è presente in tutti gli interventi. In quello super-applaudito di Nichi Vendola che nei concetti di alternativa, nuova narrazione, bisogno di futuro ci mette tutto l’immaginario che è capace di evocare – e che funziona alla grande in una piazza intimamente di centrosinistra come questa; in quello di Di Pietro che spiega, divertito, che il suo intervento contro Napolitano non è assolutamente in agenda e che d’ora in poi lui parlerà solo contro Berlusconi e per l’alternativa che serve; in quello di Ferrero, il più modesto e sotto tono e che si conclude con un evidente ritorno all’ovile quando propone, «al di là delle differenze tra noi, l’unità contro Berlusconi alle prossime elezioni politiche». E ovviamente in quello di Bersani che si concentra a lungo – nell’ambito di un intervento di cinque minuti – su «un’altra Italia possibile» fondata su «lavoro e democrazia» che devono tenersi insieme per dare davvero una garanzia di vittoria. Bersani prova anche a delineare i titoli di una piattaforma di governo: «dare lavoro tramite piccole opere affidate ai comuni, green economy, credito di imposta, qualche soldo in più nelle tasche di chi consuma» e poi «regole, serietà, onestà, civismo». Il programma dell’Unione di Prodi, con le sue 281 pagine, era troppo lungo, questo forse è troppo ristretto. Ma ci sarà tempo per recuperare. Intanto la piazza di ieri è servita a quello per cui era stata convocata: fondare il perimetro e suscitare l’attesa di una nuova alleanza che guarda al governo futuro e in questo senso costituisce un evidente successo per la linea di Bersani. Il tempo dell’autosufficienza del Pd, coniato da Veltroni, è finito: il Pd torna a essere un perno dell’alleanza di centrosinistra e si candida a fare da collante. In questo senso per Bersani si può trattare anche di un’investitura sul campo come possibile leader anche se deve risolvere il nodo del rapporto con Casini. Il presidente dell’Udc ha attaccato frontalmente la manifestazione definendola «un errore grave» per via di uno striscione apparso in piazza contro Napolitano. Un pretesto per rimarcare una distanza nel giorno in cui la leadership antiberlusconiana non è stata presa da Di Pietro – come insiste la propaganda di Berlusconi – ma proprio da Bersani. Anche se, ascoltando gli applausi della piazza, una candidatura Vendola in eventuali primarie del centrosinistra avrebbe senz’altro un consenso molto più alto di quanto ottenuto a suo tempo da Bertinotti contro Prodi.
Ovviamente, gli occhi restano incollati sul fronte avversario. Per quanto tutti abbiano segnalato l’incrinatura, il tramonto, la fine della parabola berlusconiana nessuno pensa ancora a un crollo del centrodestra. Per quanto i segnali si moltiplichino: oggi è stato il proconsole siciliano Micciché a dire di essere pronto a lasciare il Pdl per fare il Partito del Sud insieme al presidente della Sicilia, Lombardo. Mentre a nord, Tremonti ha messo l’accento sulla necessità «di tre o quattro anni, dialogando con tutti» per fare una vera riforma fiscale. Certamente non il tempo auspicato da Berlusconi.
L’Unione torna in campo, quindi, e di per sé non è una cattiva notizia. La notizia non buona è che la sua ipotesi resta l’unica alternativa alle destre e che alla sua sinistra non appare una forza con un’influenza di massa determinata a rappresentare un’alternativa. L’Unione vista all’opera in piazza del Popolo è saldamente imperniata sulle idee del Pd condite dalla tensione democratico-radicale di Di Pietro o del “popolo viola” con un riferimento classista puramente ornamentale. Da questo punto di vista non ha nemmeno al suo interno l’anomalia rappresentata nel 2006 dal Prc e dovrà gestire, per vincere, un rapporto con l’Udc. Per chi voglia far vivere un’ipotesi alternativa ci sarà molto da fare.