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"Ecco tutti i rischi della operazione Unipol su Bnl"

Publie le giovedì 18 agosto 2005 par Open-Publishing

Intervista a Beniamino Lapadula (Cgil).

L’ambiguità del piano Unipol e la battaglia contro la rendita

Conflitti di interesse

La vicenda è stata strumentalizzata, ma dobbiamo stare molto attenti perché alcuni raider non stanno facendo certo gli interessi dei lavoratori. Ripartiamo dalle regole

PAOLO ANDRUCCIOLI da "il manifesto" 17/8/2005

Attenzione ai conflitti di interesse e alle operazioni finanziarie troppo rischiose, come la scalata di Unipol a Bnl. E’ necessario comunque giudicare a partire dalle prospettive industriali, senza perdersi in dibattiti astratti sulla natura del nuovo capitalismo. «Dobbiamo stare molto attenti, perché per non far apparire il mondo della cooperazione come un «figlio di un dio minore», rischiamo poi di giustificare e difendere le cattive compagnie che si incontrano in queste scalate». Beniamino Lapadula, responsabile economico della Cgil, ribadisce il giudizio negativo del suo sindacato sull’Opa lanciata da Unipol per conquistare Bnl. «Il problema - dice il sindacalista - è giudicare il progetto industriale dell’Unipol e le sue ricadute strategiche. Ma c’è anche un problema di cultura politica della sinistra, che deve uscire dai suoi vecchi schemi mentali e avere il coraggio di aprire una battaglia contro la rendita e la speculazione pura».

Allora Lapadula, la Cgil teme che il conflitto di interessi si estenda anche nel campo della sinistra?

Voglio fare una premessa. La Cgil può esprimere valutazioni libere sugli scontri finanziari in corso perché si è messa a riparo da qualsiasi accusa di conflitto di interessi. Già dieci anni fa decidemmo di uscire da una compagnia assicurativa creata dai sindacati confederali e da Unipol per la previdenza integrativa. La seconda scelta è stata quella di uscire dal cda della stessa Unipol, cosa che ci ha permesso di esprimere i nostri giudizi liberi sulla scalata di Colaninno al tempo dei «capitani coraggiosi». Anche nel caso dell’Opa sulla Bnl, la Cgil si esprime dunque sul merito, ovvero sul progetto ed è su questo che abbiamo forti dubbi: il passo è troppo lungo, si acquista un’azienda che vale oggi 4 volte l’Unipol, l’onere di acquisizione (quasi 5 miliardi di euro) è troppo alto e la Bnl non è in perfetto stato di salute. Si ricorre all’aumento di capitale, al debeto e alla cessione di partecipazioni, ma a noi interessano molto anche le possibili ricadute negative sull’occupazione, ovvero tagli di posti di lavoro che si rendano necessari per ridurre i costi. Su questo noi siamo molto preoccupati perché oggi la Bnl ha circa 17 mila dipendenti e non sono certo rassiranti certe cose uscite nelle intercettazioni a proposito delle intenzioni di Unipol sulla struttura occupazionale. E’ chiaro che come sindacato noi non faremo sconti a nessuno. E poi c’è l’elemento forse più preoccupante di tutti: il diritto di recesso in caso di cambiamento della natura sociale. Come reagiranno i soci delle cooperative e come reagiranno i singoli azionisti di Unipol?

Nelle polemiche di questi giorni sono emersi anche dubbi sul valore strategico di questa scelta. E’ lungimirante unire una compagnia di assicurazione a una banca?

Il modello che si ha in mente è quello del nord Europa, dove si sono tentati vari esperimenti di rapporto tra banca e assicurazioni. Non si possano esportate modelli con troppa superficialità. Ci sono infatti casi positivi di sinergia tra banca e assicurazione ed esempi negativi come quello della Citybank. Il risultato non è per nulla scontato.

Oltre all’aspetto economico e sociale, in questi giorni si è scatenato un dibattito sulla natura del capitalismo, su quello buono e quello cattivo. Qual è il vostro giudizio politico?

E’ ovvio che questa vicenda è stata usata come un arma impropria. Non è neppure un caso che sulle operazioni di Unipol ci sia stato questo livello di attenzione. La grande stampa ha fatto l’analisi del sangue a Unipol. Anche nel centro sinistra si cerca di strumentalizzare la vicenda e questo preoccupa molto perché anche alcuni dirigenti di partito rischiano di prestare il fianco agli attacchi non prendendo posizione con forza contro l’operato di certi raider. Non si scherza con queste cose. Ma fino a qui ho parlato in base alle nostre posizioni in Cgil. Per quanto mi riguarda personalmente voglio però anche aggiungere una considerazione. Vedo un rischio mortale per il centro-sinistra nel dividersi tra chi difende il «salotto buono» del capitalismo italiano, chi appoggia i nuovi «capitani coraggiosi» e chi ripropone una distinzione obsoleta tra industria e finanza. Io penso che oggi servano sia una buona industria, sia una buona finanza. Si tratta quindi di combattere i settori del capitalismo che violano le regole e che sono oggettivamente da ostacolo allo sviluppo (come quelli nati nell’opacità, intorno al mondo del presidente del consiglio) e dare spazio invece ai settori che tendono allo sviluppo e che sono innovativi. Non si può neppure difendere ciecamente quello che una volta era definito il salotto buono della borghesia industriale italiana perché purtroppo tra questi molti hanno scelto le posizioni più facili legate alla rendita di posizione. Penso per esempio alle ricadute negative delle scelte di Pirelli/Telecom o di Benetton nel campo del tessile, a causa di certe privatizzazioni che non sono state accompagnare dalle lieberalizzazioni. In qualche caso si è solo sostituito un monopolio privato a un monopolio pubblico.

Quali sono invece i settori innovativi e quali sono le politiche più urgenti?

Per quanto riguarda le cose da fare io condivido ciò che ha detto Prodi a proposito della riforma delle Authority. Il conflitto di interessi è la caratterizzazione di tutto il capitalismo mondiale, ma noi, dopo gli scandali, abbiamo fatto molto peggio degli altri a proposito delle regole. Per quanto riguarda i settori del capitatalismo, penso che ce ne siano parecchi innovativi tra le aziende meccaniche, chimiche, farmaceutiche, nelle ex partecipazioni statali (la Finmeccanica per esempio), nella finanza come dimostra il caso positivo di Unicredit che ha saputo competere a livello internazionale. Bisogna creare le condizioni politiche per far crescere questi settori e combattere la rendita anche attraverso le politiche fiscali. Dobbiamo ripensare agli impieghi utili del capitale, ripensare l’efficienza e la competitività in funzione del benessere. Penso sia questa la battaglia principale della sinistra in questo momento.

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