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Euskal Herria: la solidarietà rimossa

Publie le mercoledì 14 gennaio 2004 par Open-Publishing

Partiti Europa Marco Santopadre

di Marco Santopadre

La messa fuori legge della sinistra indipendentista ha privato almeno il 15% della popolazione
basca del diritto ad essere rappresentata. Ma come dimostrano i 150.000 voti nulli depositati nelle
urne dagli elettori di Batasuna nelle amministrative di maggio, il movimento popolare basco non
rinuncia alla lotta. Continua le mobilitazioni per il riavvicinamento dei prigionieri politici e per
la liberazione di quelli che hanno già scontato i 3/4 della pena; contro la tortura; per la
riduzione della precarietà nel mondo del lavoro e contro le morti bianche; contro la "ley de
estranjeria", una specie di Bossi-Fini ancora più restrittiva; contro l’alta velocità e l’inquinamento
elettromagnetico; contro la diga di Itoiz; contro le militarizzazione del territorio e la partecipazione
dei militari di Madrid alle guerre neocoloniali di Bush.

Ognuna di queste mobilitazioni ci ricorda che parliamo di una forza certamente non comunista ma
che mantiene tra i suoi obiettivi la costruzione di un ordine sociale ed economico diverso dal
capitalismo e che, ad esempio, rifiuta la costruzione europea perché in essa intravede un nuovo polo
imperialista pronto alla competizione globale, e per questo pericoloso per i popoli che la
compongono nonché per tutti gli altri.

L’illegalizzazione di Batasuna e la chiusura dei quotidiani hanno messo la pulce nell’orecchio a
una parte consistente della sinistra italiana, preoccupata della degenerazione autoritaria di
Madrid, i cui "caudillos" rivendicano il ritorno alla "vecchia Spagna eterna e civilizzatrice", come
suole ricordare il governatore della Galizia ed ex ministro del "Generalisimo", Fraga Iribarne.

Ed infatti si moltiplicano gli articoli su alcuni giornali della sinistra italiana - "Il
Manifesto", "Carta", "La Rinascita della Sinistra" - alcuni più informati e più obiettivi di altri, ma
tutti segno che la cosiddetta "questione basca" non può essere rimossa dall’informazione e tantomeno
dall’analisi. A ciò corrisponde un maggiore interesse per il confronto politico, dimostrato dalle
innumerevoli assemblee e incontri che esponenti della sinistra italiana - semplici simpatizzanti ma
anche quadri e dirigenti nazionali - hanno voluto realizzare con quella che è la componente
maggioritaria, oltre che più dinamica, della sinistra basca.

Decine di incontri realizzati in sedi di partito, feste estive, centri sociali, librerie o circoli
culturali hanno permesso a tanti compagni di riannodare il filo della solidarietà con il popolo
basco. I dirigenti della sinistra patriottica hanno potuto spiegare perché Batasuna non è la Lega,
perché pensano che l’indipendenza sia la soluzione migliore anche dal punto di vista della
liberazione sociale, perché la vera sinistra iberica collabori con l’indipendentismo basco e quella
"decaffeinata" invece no. Anche la partecipazione del responsabile esteri di Batasuna, Joseba Alvarez,
alla delegazione italiana in Libano per l’anniversario di Sabra e Chatila è stata un’ottima
occasione.

Ma una nota dolente rimane l’atteggiamento di Rifondazione che, nonostante l’evolversi degli
eventi, continua a ribadire la posizione ufficiale adottata il 15 settembre 2002 e che recita: "La
divergenza di opinioni sul ruolo dell’ETA tra il nostro partito e Batasuna rimane una distanza
incolmabile. Pertanto ribadiamo le decisioni già assunte in passato di non avere relazioni ufficiali con
questo partito."

Con queste due righe il Partito di Bertinotti si nega la possibilità di avere rapporti politici
con esponenti della sinistra basca, che pure riconosce come sottoposta ad un attacco che
contribuisce ad alzare la tensione e non, al contrario, alla risoluzione negoziata del conflitto
basco-spagnolo che tutti auspicano.

Sulla posizione del PRC pesano diversi pregiudizi: l’acritico legame con la sinistra istituzionale
spagnola che si è astenuta quando le Cortes hanno messo fuori legge Batasuna; un’accettazione
fideistica dell’UE come il male minore e degli attuali Stati Nazionali come gli unici possibili; una
scarsa consapevolezza sul ruolo dei movimenti di liberazione nella storia del movimento operaio
internazionale; la rimozione dell’obiettivo della conquista del potere e della possibilità di
costruire egemonia politica anche in condizioni di minoranza.

Per la segreteria del PRC la non condivisione dei metodi di lotta di una frazione della sinistra
basca giustifica l’espulsione di Batasuna dal novero dei movimenti con i quali collaborare.
Qualcosa di simile avviene per la resistenza palestinese, irachena e colombiana. Negarsi la possibilità
di interloquire con un’opzione politica per il solo fatto che essa non condanna esplicitamente e
apertamente le azioni armate (il motivo ufficiale che ha portato al bando!) vuol dire rinunciare ad
esercitare un qualsiasi ruolo politico anche contro l’uso delle armi come mezzo di azione
politica. Se cessa la lotta armata, si afferma, tutto cambierà. Eppure durante la tregua di 20 mesi
proclamata unilateralmente dall’indipendentismo basco solo pochi anni fa, non si è vista la sinistra
internazionale denunciare ad esempio il sistematico uso della tortura nei confronti di centinaia di
militanti del sindacato, delle organizzazioni giovanili, addirittura di giornalisti e preti.

Come è evidente ai più, la fine delle ostilità da parte dell’indipendentismo basco avverrà quando
il conflitto, che è di natura politica e storica, troverà una soluzione politica basata sul
compromesso ma anche sul rispetto di almeno una parte delle rivendicazioni del popolo basco difese da
Batasuna e da un settore consistente della società basca.

L’ha capito Tony Blair che, bisognoso di stabilità, ha messo tutti gli attori del conflitto
nordirlandese attorno al tavolo della trattativa, ma non sembrano comprenderlo i socialisti e i
"comunisti" spagnoli, imitati da alcuni dirigenti nostrani. Appellarsi alla "pace" senza adoperarsi per
costruirne le condizioni è mestiere da grilli parlanti.

Per fortuna registriamo il protagonismo di molti militanti e dirigenti del PRC (alcuni nella
neonata "Rete di Solidarietà con Euskal Herria"), che hanno portato gli esponenti della sinistra basca
fin dentro le sezioni e i Municipi, spesso accompagnati, invece che dai propri parlamentari, da
esponenti di altri partiti, come ad esempio il verde Mauro Bulgarelli.

Che i baschi non siano soli lo deduciamo dalla liberazione di Asier Huegun da parte della
guerriglia colombiana. Rapito dall’Esercito di Liberazione Nazionale insieme ad altri sei turisti
occidentali, il giovane basco è stato rimandato a casa in nome "della comune lotta del popolo colombiano e
di quello basco per la libertà e l’indipendenza".

Non ci aspettiamo gesti altrettanto plateali da parte della sinistra italiana. Ma è troppo
chiedere che termini la censura su Liberazione e che, ad esempio, un drappello di parlamentari italiani
ed europei sia spedito in Euskal Herria a rendersi conto di quanto sta avvenendo in quelle terre e
per, semmai, portare la propria solidarietà al popolo basco se non proprio a Batasuna?

(articolo pubblicato sulla rivista Contropiano del mese di dicembre del 2003)