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FRANCA SALERNO - COMUNISTA

Publie le giovedì 3 febbraio 2011 par Open-Publishing
9 commenti

Ci ha lasciato la compagna FRANCA SALERNO.

E’ morta la nostra compagna Franca Salerno.

http://baruda.net/2008/12/04/una-vecchia-intervista-a-franca-salerno/

La mamma di Antonio, lei che lo tenne in pancia durante il suo arresto, che lo partorì in cella e che gli diede i primi tre anni di vita a Badu e Carros, il terribile carcere di Nuoro.

Antonio l’ha lasciata poco dopo la fine della sua vita da detenuta.

http://baruda.net/2011/01/17/antonio-salerno-piccinino-cinque-anni-fa/

Il suo amato figlio è morto sul lavoro, ammazzato dalla strage quotidiana della precarietà…
e il corpo stanco di Franca non ha retto.

E’ morta stanotte, dopo una malattia lacerante.

Franca ha una lunga storia che è la storia di tutt hTh noi

Ciao Franca, abbracciaci Antonio, almeno quello!

PER CHI VOLESSE SALUTARLA, DOMANI (4 FEBBRAIO) DALLE 13 ALLE 16 CI SI VEDE AL LABORATORIO ACROBAX, EX-CINODROMO (PONTE MARCONI)

Messaggi

  • Se ne parla poco.

    Quando lo si fa è per chiedere ancora galera.

    Estrema vergogna d’una sinistra che da tempo ha venduto anche l’anima.

    Ho studiato la vita di mille “sovversivi” e qualcuno ora sa chi furono e se li ricorda.

    Altri faranno questa via dopo di me, che sono vecchio ormai.

    Altri la faranno. E la memoria non si perderà.

    Giuseppe Aragno

    • Ciao Franca e ciao Antonio. Non vi ho conosciuti, ma siete carne e sangue nostro.

    • L’ultimo saluto all’ennesima vittima del canagliume picista. C’é chi sta in parlamento e chi stava (e sta!) in galera; c’é chi ha trasformato la storia del movimento comunista in un fumetto hard-horror e chi ha cercato, senza peraltro riuscirci, di portarla a compimento; chi ha venduto milioni di morti in cambio di quattro briciole caduta a terra dalla tavola imbandita dell’imperialismo e chi, i morti per la libertà, la verità e la felicità, li rivendica con orgoglio. E li saluta per l’ultima volta...
      Fino alla vittoria!
      biondo

    • Liberazione 4 febbraio 2011

      Franca Salerno, militante dei Nap durante gli anni 70, sedici anni di carcere duro sulle spalle, un figlio nato in prigione poco dopo l’arresto, si è spenta ieri a Roma dopo aver resistito a lungo contro la malattia. Quel bambino, Antonio, che aveva tenuto con sé in cella nei primi anni di vita l’aveva perso cinque anni fa, ormai uomo e impegnato politicamente in uno dei centri sociali della Capitale, l’Acrobax, portato via da un incidente sul lavoro. Le foto d’archivio in bianco e nero di Maria Pia Vianale e Franca Salerno col bimbo nel grembo, riprese mentre sorridono dietro la gabbia di un’aula giudiziaria, provocano oggi quasi un senso di vertigine. Una distanza siderale le separa dalle figure femminili che la cronaca politica diffonde in questi giorni.

      Valerio Lucarelli, autore di un recente volume sulla storia fin troppo dimenticata dei Nap, Vorrei che il futuro fosse oggi. Nuclei armati proletari, ribellione, rivolta e lotta armata (Ancora), sottolinea quanto l’esperienza femminile fosse stata pregnante nella storia di quel gruppo, originale e innovativo nel panorama delle formazioni politiche che impugnarono le armi. D’altronde un ruolo decisivo e di vertice le donne l’ebbero anche in altri gruppi armati della sinistra, dove la presenza femminile è risultata sempre la più alta rispetto ai gruppi legali.

      Vianale e Salerno furono le prime donne ad evadere. Era il 22 gennaio 1977 quando, aiutate da altri tre militanti giunti dall’esterno, scalarono le mura del carcere di Pozzuoli. Impresa pagata a caro prezzo. Dopo quella fuga i loro volti furono diffusi ovunque e la loro cattura divenne un’ossessione per le forze di polizia. Franca Salerno ebbe modo di raccontare anni dopo che al momento dell’arresto: «se non ci fosse stata la gente a guardare dalle finestre sarebbe stata un’esecuzione. Ero incinta e mi picchiarono. Erano fuori di sé perché eravamo donne. Averci prese, per loro, era una vittoria anche dal punto di vista maschile».

      Nicola Pellecchia, un passato importante nei Nap, racconta: «Quando dal carcere la portarono al Fatebenefratelli di Napoli per partorire, nonostante l’imponente dispiegamento militare mezzo ospedale tifava per lei. Fui uno dei primi a conoscerla. Di lei ricordo la vivacità, la spontaneità, la sua capacità di essere politica senza venire dalla politica. Aveva un intuito formidabile, era una combattente vera». Già, ma cosa erano i Nap? «Senza i Nap – risponde Pellecchia – non ci sarebbe stata la riforma carceraria.

      Il primo regolamento di quella riforma fu scritto dalla commissione carceri dei detenuti di Poggio Reale di cui facevamo parte. Molti istituti innovativi, come la socialità, vennero pensati dalla commissione di Poggio Reale. Prima in carcere si parlava di “ricreazione”, come all’asilo. Venne istituzionalizzata la rappresentanza dei detenuti, poi recepita nel regolamento carcerario».

      Sante Notarnicola, altro protagonista delle lotte carcerarie, ricorda l’arrivo di Franca Salerno a Badu ’e Carros, il carcere speciale di Nuoro, qualcosa di molto vicino ad un lager. «Franca arrivò col suo bambino di pochi giorni. Occupava una sezione isolata, la vedevamo e la sentivamo. Ci fu subito la corsa a prendere le celle che davano sul suo lato. La sera si spegnevano tutte le televisioni e sul carcere calava un silenzio surreale. Cominciava così il dialogo. Anche se ero uno dei pochi compagni, e quindi avevo con lei un rapporto privilegiato, Franca era ben attenta a non trascurare nessuno. Il piccino fu subito adottato da tutta la comunità carceraria e così i pacchi di cibo che arrivavano dalle famiglie venivano mandati a lei. Una mattina, fatto insolito, mi urlò dalla cella.

      Improvvisamente il carcere si ammutolì. Il bambino stava male e le guardie non facevano niente. Franca mi chiese di chiamare il capo delle guardie. Quel silenzio totale risuonò per loro come una minaccia. Il maresciallo arrivò di corsa chiedendoci di restare tranquilli che il medico sarebbe arrivato entro 5 minuti. Una macchina era stata spedita a prenderlo. “Avete rischiato molti – gli dissi -, siete feroci ma non potete immaginare quanto potremmo diventarlo noi per una cosa del genere”». Sante si ferma, è commosso, «Quanta forza venne dai Nap, organizzazione fatta di studenti e detenuti. Di fronte allo sfacelo che c’è oggi nelle carceri, a Franca vorrei dire “avevate ragione voi"

      Paolo Persichetti

    • Sangue del nostro sangue, nervi dei nostri nervi, come fu quello dei fratelli Cervi.
      Ciao Franca

    • A FRANCA SALERNO

      by Oreste Scalzone

      Non avevo avuto il dono – che è, il più spesso, fortuito – di conoscere personalmente Franca Salerno. Avevamo appartenuto a ‘storie’ diverse, rivoli diversi di uno stesso flusso, confluenza. Diversi, per molti aspetti che non erano fatuamente aneddotici, « ideologici » o « politici » (« Politica » è infatti, nella « modernità-Mondo », « professione », « sapere/potere separato », « arte del Governo » – che « non si può praticare senza crimine », come spiegava, e poco importa se al dritto o al rovescio, Machiavelli ; dunque « governamentalità », questo mestiere fondato – come l’imprenditorialità o la passione per “giudicare e mandare”, fin oltre la morte ‘via’ la pena integrativa della « damnatio memoriæ », su vocazione al comando : che chiede, attira, provoca corrispondente servitù, in basso e ancor più in alto…, poi che « sarà difficile ridurre all’obbedienza chi non ama comandare », e dunque è anche l’inverso, la servo/padronalità oscena e infinitamente capace di viltà maramaldesca ne è riscontro e controprova).

      “Liberi e diversi come uccelli, e fraterni come stormo”, diversi – voglio continuare a pensare – per motivi non infimamente “identitarî” (« identità », è figura che rinvia al patrimonio, ad assi ereditarî, alla proprietà – « privata » o « pubblica », persino « di Stato » –, e fa pensare all’apertura notarile dei testamenti, che il più spesso divide, semina invidie, odî mortali, rancori, vittimismi, figure riflessive transitive, attive passive singolari plurali della “Colpa”, « passioni tristi » forme del risentimento, odio per la vita e autodivoramento suicidario-assassino…). Diversi nascevamo, come lèssico, come “dialetti” rispettivi, costitutivi e al contempo sotto-insiemi di una lingua che però aveva un’“anima” nel profondo, comune. Diversi come eravamo, per lingua, nojaltri di Potere Operaio, per esempio, e le compagne e i compagni di Lotta Continua. Al di là delle futilità, vanitas di concorrenze peraltro « mimetiche », c’erano alcune ragioni di approccio, di punto di vista, rispetto alle quali ci si addensava, ci si polarizzava diversamente – diciamo, ‘secondo inclinazioni’ rispettive, e che poi mettevano in forma anche i modi di esserci, le accentuazioni delle passioni – ciò che in versione nobile e non insignificante si chiamava « teoria », eppoi « linea ». Eguale, sotto, era l’istanza della ribellione. (Rivolta che è denominator comune, come lo è la Gemeinwesen, il ‘fundus’ comune che costituisce e distingue la specie, « razza umana » di esseri parlanti, aventi inferito la mortalità dunque consapevoli della propria morte, di sé e del resto, dell’alterità, gettatisi nel tempo e dannati[si] all’angoscia degli enigmi, fino ai dilemmi morali, senza più l’innocenza, anzi, l’estraneità a questa dialettica, dell’animale predatore e preda, e dannati a “conoscenza” e impossibilità di arrivarvi, a Storia e « cultura » e al fiume di sangue che ne segue, fino all’epoca della sua « riproducibilità tecnica » e della sua infinita clonazione virtuale.) Uguali, nella comunanza in quell’altro ‘specifico’ assoluto di questa « razza animale » irreparabilmente sui generis : la rivolta. Che noi vedessimo l’epicentro dello sprigionarsi della potenza, della « disperata vitalità » delle genti sottoposte a gerarchia, a utilizzazione strumentale, comando e qualsivoglia altra forma di mutilazione, d’ interdizione e confisca di ogni capacità di comunanza auto-determinata, d’autonomia singolare e comune – …, che noi collocassimo questo epicentro alle linee di montaggio delle Mirafiori, e poi in qualsivoglia altra forma che pur dissimuli e occulti l’economia di tempo-di-vita, di « nostra vita mortale » (come quello di Antonio figlio di Franca, ammazzato nella catena di montaggio dell’estrazione del plusvalore sociale, pur fatta risultare invisibile come la nebbia quando ci avvolge, e non è più “solo” banco di cui scorgiamo il profilo) ; e che invece Franca, e Maria Pia, e Anna Maria, e Antonio, e Luca, e Giovanni, e Martino, e Raffaele, compagno di Franca e padre di suo figlio Antonio, e Mimmo, Nicola, Pietro, Fiorentino, Alfredo e chi altro purtroppo non mi viene adesso al ricordo, vedessero il punto di svolta nel cortile di Attica !, e lo immaginassero, lo sognassero nel gesto semplice di Jonathan Jackson che si alza nell’aula del tribunale col suo fucile, enorme e austero per i sedici anni che lo impugnano, e dice a Corte e scorte armate, e contro gabbie e ferri, « Adesso decido io ! », non era un dettaglio, epperò era distinzione successiva, secondaria alla fraternità nella necessità/scelta primale della rivolta sovversiva di liberazione.

      Ho conosciuto Franca qui all’Acrobax. Chiederò al compagno che la filmava come ipnotizzato dall’intensità del suo volto e delle sue parole, di ripescare quel frammento e mandarvelo, come un fiore per lei. Non l’avevano piegata, Franca, gli anni del feroce totale isolamento in « braccî morti ». Ho imparato in galera la modestia e la grandezza dei “nappisti” : la vita, la cosiddetta Storia, sono feroci : non solo Loro, “LorSignori”, i funzionarî delle teologie di Capitale/Stato/tecnica integrati, e di tutte le forme moderne, antiche e ultra-moderne, di gerarchizzazione comando sfruttamento, tentativo di confisca ultima della potenza di persistere, d’inibizione in radice del principio attivo di comunanza auto-determinata, autonoma di questi animali parlanti, comuni mortali che ci troviamo ad essere, “razza paroletaria” ; anche le nostre rivolte sono state sanguinarie – e alla domanda di Canetti, “Quando si finirà di uccidere ?” non possiamo rispondere incollando sul cosiddetto “futuro”, a cominciare da quello “prossimo-venturo” nel ‘presente largo’ che è l’unico consistente (che passati, « futuri anteriorti », e « futuri remoti » continuamente ci confiscano, talché “il morto vuol seppellire il vivo”…), non possiamo rispondere alla domanda con alcuna certezza, una qualsivoglia ‘filosofia della Storia’. Una cosa ho visto : che quando avevano paura “dei Nap”, i guardiani e all’occorrenza massacratori di altri “animali di razza umana” rasentavano i muri, e le “squadrette” erano come sospese – migliaia di murati là dentro respiravano, respiravamo, un po’ meglio : questo ho visto. Dopodiché, una cosa è certa : forse era stato ottimista il Doktor Marx, nel suo incipit « … Abbiamo regolato i conti con la critica dell’al-di-là ; ora resta da passare alla critica dell’ al-di-qua ».

      Sotto, ancora sotto la questione di mortalità/tempo/estrazione del plusvalore, c’è la dannazione quasi “archetipale” del « Giudizio di Dio ». « Per farla finita col Giudizio di Dio », urlava rauco alla radio Antonin Arthaud. In effetti, possiamo dire che prima viene il Giudizio, la pulsione mortifera mortale alla designazione della Colpa e alla punizione infinita e all’infinito del Colpevole, poi l’ipotesi–Dio. Ben oltre un Leviathano microfisico, fino alla singolarizzazione, un’ossessiva centralità del “giudizio di d’IO” rifratto in tutte le forme, fa affondare nell’universo della peggiore, annichilante servo/padronalità tendenzialmente « di ciascuno contro ciascuno”. Contro la caccia all ‘uomo , l’Inquisizione, il linciaggio (peggio, frustrato dal legalismo e dato in appalto a chi lo demandi al “braccio violento della Legge”, del Dio-Stato,), l’inimicizia è limpido stato di guerra. Le forme – violenta, non… – sono solo corollario : il primo discrimine è qui. La nuvola di fiele di pensare solo e sempre in termini di Colpa, di Colpevoli, di delitto e castigo, è forse il consumo di merce tòssica più capace di far schermo e diversione alla rivolta di liberazione, e forse, alla vita stessa di una specie, che se si fa radicalmente logopatica si avvia allo ‘spavento senza fine’ della lunga agonia di un corpo col cervello avvelenato, che marcisce. Mi scuso delle divagazioni, un saluto per Franca, fuor di retorica bellissima persona.

      Parigi, febbraio 2010, Oreste Scalzone, e col dolore, il vuoto, l’amore anche di Lucia , di RossaLinda e altre e altri