Home > GERUSALEMME 700 donne per la pace giusta
Da ogni parte Sono venute da tutto il mondo. Fra loro israeliane e palestinesi,le poche riuscite a passare
de LUISA MORGANTINI * GERUSALEMME
Grandi gazebo situati nel giardino dell’albergo Seven Arches ospitano circa 700 donne provenienti da ogni parte del mondo, cambogiane, giapponesi, europee, canadesi, australiane, colombiane, sudafricane, serbe, corate, bosniache e naturalmente palestinesi ed israeliane, ed ancora altre. Dall’albergo, costruito dai giordani quando ancora dominavano i territori palestinesi poi occupati degli israeliani nel 67, si puo vedere la più stupefacente vista della vecchia Gerusalemme, la cupola della moschea si staglia contro il cielo, le sinagoghe, le chiese cristiane e il muro, quello antico che circonda la cittàsanta, non quello costruito illegamente dal governo israeliano che annette territorio e divide le famiglie palestinesi.
La tensione è molto forte in Israele e Palestina, sono i giorni dell’evacuazione dei coloni da Gaza, Gerusalemme ieri è stata chiusa, i palestinesi che la abitano, inferiori ai 45 anni non possono muoversi . I soldati e la polizia erano ovunque in attesa della manifestazione delle migliaia di religiosi venuti a pregare e marciare contro il piano di ritiro da Gaza.
Le settecento donne invece parlano di pace e di una visione femminista del mondo, sono parte della rete internazionale delle donne contro la guerra, donne che hanno scelto di abitare i luoghi del conflitto e che, come diceva Lepa Mladevic, donna in nero serba, uniscono la «relazione e la cura con la giustizia». Ieri abbiamo parlato della nostra visione del mondo, del rifiuto della violenza e della guerra, della necessità di disarmare eserciti e menti, dell’assunzione di responsabilità di ciascuna e della necessità di costruire relazioni e di rompere muri e frontiere, consapevoli di essere qui in un momento che può segnare un cambiamento.
Le palestinesi non sono molte, dalla West Bank e Gaza non sono potute venire, è vietato, solo qualcuna è riuscita ad arrivare per vie traverse, e lo hanno fatto per denunciare la loro condizione di libertà negate, la loro lotta per resistere e costruire uno stato palestinese democratico: «libero dall’occupazione militare israeliana ma anche dei fondamentalismi della nostra società», ha detto Amal Khreshi ed ha continuato Zahira Kamal, ministra per gli affari delle donne, «siamo qui in un momento di straordinaria importanza, il ritiro da Gaza può essere positivo solo se si apriranno negoziati che potranno portare alla fine dell’occupazione anche della Cisgiordania».
Le donne israeliane hanno denunciato, come ha fatto Tamar Gozanski ex parlamentare, il ritiro da Gaza «come una simulazione della fine dell’occupazione, tutto viene deciso da Sharon e Bush senza la leadership palestinese, ma noi donne stiamo dalla parte dei diritti e vogliamo una pace vera, così come combattiamo contro la povertà che in Israele continua a crescere». E’ intervenuta anche Sara la madre di Tali Fahima, la donna israeliana in carcere da più di un anno perché si è recata a Jenin dove ha incontrato palestinesi ricercati dai soldati israeliani; Sara ha chiesto alle donne di tutto il mondo di mobilitarsi per la libertà di Tali ma anche dei prigionieri palestinesi (che sono circa 7.000).
L’incontro continuerà fino al 16 agosto e domani si trasferirà a Ramallah con le donne palestinesi e manifestare contro la costruzione del muro nel villaggio di Bi’lin, come fanno da tempo israeliani, palestinesi ed internazionali.
Una grande differenza dalle iniziative dei coloni e delle donne in verde, che invece manifestano per il mantenimento dei soprusi, dell’ingiustizia e dell’occupazione militare israeliana, anche se leggendo i giornali o guardando la tv, sembra che i coloni siano poveri cristi cacciati dalle loro case. Molti di loro di case ne hanno due, una nei territori occupati e l’altra in Israele. Prenderanno comunque la compensazione, 400mila dollari a testa.
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